di P. Ermanno Barucco ocd
La notte di Natale del 1886, a quasi quattordici anni, Teresa ha ricevuto da Gesù, il Figlio di Dio fatto debole bambino a Betlemme, la grazia della “conversione” che l’ha fatta uscire da un’infanzia ferita dalla malattia degli scrupoli e da un’eccessiva sensibilità cominciate dopo la morta della madre avvenuta quando aveva solo 4 anni e mezzo.
La forza che le dona il piccolo Gesù bambino la trasforma, come lei stessa scrive: «In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia vita, il più bello di tutti, il più colmo di grazie del Cielo. In un istante l’opera che non ero riuscita a fare in dieci anni, Gesù la fece accontentandosi della mia buona volontà che mai mi mancò. Come i suoi apostoli potevo dirgli: “Signore, ho pescato tutta la notte senza prendere nulla” (Lc 5,4-10). Ancora più misericordioso verso di me di quanto lo fu verso i suoi discepoli, Gesù prese Egli stesso la rete, la gettò e la tirò su piena di pesci. Fece di me un pescatore d’anime; sentii un grande desiderio di lavorare alla conversione dei peccatori, desiderio che non avevo mai sentito così vivamente. In una parola sentii la carità entrarmi nel cuore, il bisogno di dimenticarmi per far piacere e da allora io fui felice!» (Ms A, 45v°).
Teresa ha quindi ricevuto da Dio una vocazione e una missione particolari che ben presto si sviluppano e si esplicitano attraverso alcuni episodi particolari della sua vita, affinché sia “pescatrice di uomini”. Il primo episodio lo racconta subito dopo: «Una Domenica, guardando un’immagine di Nostro Signore in Croce, fui colpita dal sangue che cadeva da una delle sue mani Divine: provai un grande dolore pensando che quel sangue cadeva a terra senza che nessuno si desse premura di raccoglierlo, e decisi di tenermi in spirito ai piedi della Croce per ricevere la rugiada Divina che ne sgorgava, comprendendo che avrei dovuto, in seguito, spargerla sulle anime... Anche il grido di Gesù sulla Croce mi riecheggiava continuamente nel cuore: “Ho sete!” (Gv 19,28). Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e vivissimo. Volevo dar da bere al mio Amato e io stessa mi sentivo divorata dalla sete delle anime. Non erano ancora le anime di sacerdoti che mi attiravano, ma quelle dei grandi peccatori: bruciavo dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne…» (Ms A, 45v°).
Il secondo episodio, collegato al primo, è il desiderio di pregare per la conversione di un grande criminale, un certo Pranzini, condannato a morte per delitti orribili e che non si era pentito. Ma Teresa sa di non poter nulla da se stessa e si affida ai meriti di Gesù e ai tesori spirituali della Chiesa e dei Santi, fa celebrare messe e prega insieme alla sorella Celina: «Sentivo in fondo al cuore la certezza che i nostri desideri sarebbero stati esauditi; ma allo scopo di darmi coraggio per continuare a pregare per i peccatori, dissi al Buon Dio che ero sicurissima che avrebbe perdonato al povero disgraziato Pranzini; che l’avrei creduto anche se non si fosse confessato e non avesse dato alcun segno di pentimento, tanto avevo fiducia nella misericordia infinita di Gesù; gli domandavo soltanto “un segno” di pentimento per mia semplice consolazione» (Ms A, 46r°). Così accadde, come Teresa lesse nel giornale: «Pranzini non si era confessato, era salito sul patibolo e stava per passare la testa nel lugubre foro, quando a un tratto, colto da una ispirazione improvvisa, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presentava e bacia per tre volte le piaghe sacre!» (Ms A, 46r°). La conclusione si riallaccia al primo episodio: «Avevo ottenuto “il segno” richiesto e quel segno era la fedele riproduzione delle grazie che Gesù mi aveva fatto per attirarmi a pregare per i peccatori. Non era forse davanti alle piaghe di Gesù, vedendo colare il suo sangue Divino, che la sete delle anime era entrata nel mio cuore? Volevo dar loro da bere quel sangue immacolato che avrebbe purificato le loro macchie, e le labbra del “mio primo figlio” andarono a incollarsi sulle piaghe sacre!!!... Che risposta ineffabilmente dolce!... Ah! dopo quella grazia unica, il mio desiderio di salvare le anime crebbe ogni giorno; mi sembrava di udire Gesù che mi diceva come alla Samaritana: “Dammi da bere!”. Era un vero e proprio scambio d’amore: alle anime davo il sangue di Gesù, a Gesù offrivo quelle stesse anime rinfrescate dalla sua rugiada Divina. Così mi sembrava di dissetarlo, e più gli davo da bere più la sete della mia povera piccola anima aumentava, ed era questa sete ardente che Egli mi dava come la più deliziosa bevanda del suo amore…» (Ms A, 46r°-v°).
Perché riportare così lungamente questi testi che Teresa scrisse in Storia di un’anima? Perché sono al cuore della missione che Gesù dona a Teresa. In qualche modo lo aveva capito anche il padre Marie-Bernard, lo scultore di diverse statue di Teresa, il quale avrebbe voluto realizzare negli anni ‘20 del secolo scorso anche una statua che rappresentasse Teresa ai piedi della Croce mentre mendicava delle rose da donare a Gesù crocifisso. Certo lo scultore si riferiva più direttamente al desiderio della Santa di sfogliare i petali di rose per regalarli a Gesù, come ella faceva ai piedi del Crocifisso al centro del chiostro del monastero di Lisieux con le sue novizie. Ma preso da diversi impegni e da altre statue da realizzare padre Marie-Bernard abbandonò il progetto. La scena la troviamo però rappresentata da qualcun altro in un acquarello di una delle bozze (poi non inserita nella serie) delle immagini de La vita in immagini di santa Teresa, libricino che fu pubblicato nel 1923.
Lo sviluppo di quest’idea lo dobbiamo ad una suora artista del Carmelo di Lisieux, suor Maria dello Spirito Santo, che in quegli stessi anni ha realizzato un quadro, che a ben vedere però rappresenta Gesù crocifisso che dona le rose a Teresa, poiché le gocce di sangue che escono dalle sue mani e dai suoi piedi trafitti e dal costato aperto, si trasformano cadendo in rose o petali di rose che Teresa raccoglie nel lembo della sua cappa bianca e che con la mano sinistra ridistribuisce sulla terra come grazie per gli uomini. Si tratta di un’altra versione della famosa “pioggia di rose” ma che cerca comunque di recupera l’intuizione originaria di Teresa di tenersi ai piedi del Crocifisso per spargere il sangue di Gesù sulle anime, come abbiamo visto sopra. Questa rappresentazione artistica prevalse e fece scuola, anche nel Santuario di santa Teresa del Bambino Gesù di Verona Tombetta, dove si può ammirare in quattro versioni diverse.
La ritroviamo innanzitutto sulla porticina del tabernacolo dell’altare maggiore, proprio con uno stile e dei colori molto vicini al quadro di suor Maria dello Spirito Santo: si tratta di un pregevole intarsio formato da 1300 pezzettini di marmi svariati e rari, e di pietre dure variamente colorate, realizzato dai mosaicisti Fiaschi di Firenze. Nella primitiva cappella della Santa poi, la prima a sinistra appena entrati in Santuario, oggi cappella dei suoi Santi genitori Zelia e Luigi, in alto c’è la stessa rappresentazione realizzata a mosaico da U. Bargellini di Firenze (come scritto in basso a sinistra). Teresa è in ginocchio sotto il Crocifisso e ha le braccia totalmente allargate mentre le sue mani toccano le rose cadenti che escono a frotte dalle mani inchiodate di Gesù e che Teresa può quindi spargere sulla terra come pioggia di rose. Inoltre in sacrestia, in una serie di cinque affreschi dedicati al tema del “sacrificio” rituale realizzati da Agostino Pegrassi, si trova l’affresco della nostra scena con colori vivaci e luminosi e non scuri come nell’originale francese. Teresa è leggermente inginocchiata su una roccia e ha le braccia aperte ma alzate per riprendere il gesto di offerta rituale degli altri personaggi nelle altre quattro scene a fianco: Abele ed Elia a sinistra, Abramo e Melchisedech a destra, tutte prefigurazioni del sacrificio eucaristico che i sacerdoti che sono in sacrestia prima della messa si preparano a celebrare e subito dopo messa meditano rendendo grazie. A lato della scena alcune pecore brucano nel prato: sono il simbolo delle anime dei fedeli beneficiari della grazia del sacrifico di Cristo che sparge il suo sangue per noi? Sangue che diventa petali di rose raccolti e sparsi a sua volta da Teresa sulle anime dei peccatori?
Infine ecco un gruppo marmoreo “simile” a quello che avrebbe voluto realizzare il padre Marie-Bernard. Al centro del chiostro a fianco della chiesa, ricostruito nel 1951 richiamandosi a quello del Carmelo di Lisieux dove visse Teresa, si trova il Crocifisso come in Francia ma a Verona ai piedi della Croce appare anche la statua di santa Teresa con le braccia aperte e ancora, come in sacrestia, leggermente inginocchiata sulla roccia: solo conoscendo il racconto della Santa (o le altre immagini pittoriche nel Santuario) possiamo capire che ella vuole raccogliere il sangue che cade dalle mani inchiodate di Gesù per spargerlo sulle anime, che sono qui richiamate da una pecora e un cerbiatto che si abbeverano al ruscello che cola dalla base della Croce. In questa scena ci sembra di cogliere un riferimento ai versi di due salmi caratteristici: «come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio» (Sal 42, 2) e «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce» (Sal 23, 1-2), quest’ultimo che potrebbe essere evocato anche per le pecore nella stessa scena in sacrestia.
L’intuizione originaria di Teresa è qui meglio ripresa, senza gocce di sangue che cadendo diventano svolazzanti petali di rose (cosa peraltro impossibile da rendere in una scultura!) anche se in basso, nell’aiuola che circonda il gruppo marmoreo, scolpito probabilmente dagli Arrighini di Pietrasanta, non si è resistito a collocare poi delle piante di rose per offrire un ostinato riferimento “naturale” alla pioggia di rose. Teresa aveva infatti sottolineato il legame tra la sete di Gesù in croce e il sangue che cadeva mentre ella lo spargeva sulle anime poiché, infiammata dalla sete per la loro salvezza, offriva loro quel sangue che come rugiada divina le dissetava. Alla fine potremmo addirittura guardare con questo significato la stessa scena vissuta “dal vivo” da Teresa mentre abbraccia la grande Croce nel chiostro di Lisieux e immortalata in alcune fotografie che le furono scattate: novizia da sola nel gennaio 1889 e con un giglio in mano nel luglio 1896 attorniata dalla comunità.
Se si togliessero le piante di rose che circondano il grande gruppo marmoreo nel chiostro del Santuario di Tombetta, che peraltro non c’erano all’inizio nel 1951, gli accenni biblici dei Salmi sopra evocati si incrocerebbero con i rifermenti evangelici richiamati da Teresa nel suo scritto: Gesù che grida “Ho sete” e la sua richiesta alla Samaritana “Dammi da bere”. E allora sarebbe facile immaginare solo il sangue che cade dalle mani di Gesù crocifisso (aiutati pure dalla scritta sul bordo dell’aiuola in basso “sanguis Christi salva nos”), sangue raccolto e sparso da Teresa sulle anime dei peccatori, che tutti noi siamo, sangue che come rugiada di misericordia divina ci purifica e disseta.
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