SANTA TERESA MARGHERITA DEL SACRO CUORE DI GESÙ
(ANNA MARIA REDI)
1747 - 1770
Festa, 1 settembre
L'infanzia
Anna Maria Redi nasce nel 1747 da una nobile famiglia aretina. Il papà, Ignazio, è "Balì" (cioè Gran Maestro) dell'Ordine Militare Cavalleresco di S. Stefano Papa. La madre, Camilla Ballati, è una nobildonna senese: la piccola Anna Maria sente la mamma un po' troppo estranea, soprattutto quando la vede incline a una vita spensierata e salottiera, anche se è una donna cagionevole di salute. Anna Maria ha invece una vera passione per il papà, giovane uomo di ventisette anni, con il quale ha una profonda e spirituale sintonia; non solo perché egli accondiscende ai suoi giochi e si prende cura della sua educazione, ma soprattutto perché egli risponde sempre alle sue innumerevoli domande su Dio e sul mondo degli angeli. Fu il papà a insegnarle a pregare, a spiegarle la sacra dottrina, a farle gustare i sacramenti, a farle amare la natura e i messaggi che da essa promanano.
Ma c'è di più. La casa di Ignazio Redi si era aperta alla devozione del Sacro Cuore, proclamata alcuni decenni prima dalla monaca visitandina Margherita Maria Alacocque che diceva d'aver avuto una particolare rivelazione. Allora la Chiesa non si era ancora espressa (la beatificazione della monaca visitandina sarebbe avvenuta un secolo dopo): la festa che oggi si celebra con tanto affetto sarà estesa al mondo intero solo nel 1856. Il cuoricino che la piccola aveva era tutto pieno dell'amore per suo padre, e il papà le diceva che il cuore di Dio era ancora più paterno e più affettuoso del suo, e glielo faceva esperimentare. «Lo sa bene Gesù – dirà più tardi Anna Maria al suo confessore – che io fin da piccina non ho mai voluto altro che piacere a Lui e farmi santa».
Il papà come direttore spirituale
A nove anni – secondo l'uso del tempo – venne affidata a un monastero di benedettine per ricevere una istruzione adatta al suo rango. La ragazza, tra i dieci e i quattordici anni, sceglie come sua guida spirituale il papà, col quale "stringe una alleanza spirituale", mantenendo con lui una fitta corrispondenza. Ignazio racconterà poi la meraviglia che provava al vedere "quanto profondamente lo Spirito di Dio si comunicava a un'anima in così tenera età".
Quando, proprio lui, dovrà testimoniare ai processi canonici per la beatificazione di quella figlia amata, morta a soli 22 anni, dirà: «arrossisco, perché io peccatore ho osato istruire una vera santa». Il biografo commenta: «è forse l'unico caso dell'agiografia cristiana in cui una giovane abbia avuto come direttore spirituale il proprio babbo». Questa esperienza unica, più che rara, avrà per Anna Maria una duplice conseguenza benefica: da un lato il papà le divenne "doppiamente padre", dall'altro lato la ragazza non farà più alcuna fatica a considerare come suoi veri padri i sacerdoti, ai quali in seguito si affiderà nel sacramento e per la direzione della sua anima. E anche Ignazio fece l'esperienza, invidiabile per un padre, di cosa sia avere non soltanto una figlia di sangue, ma anche – come diceva splendidamente – "una figlia dell'anima".
La chiamata al Carmelo
Quando Anna Maria tocca i sedici anni di età, le accade l'unico episodio della sua vita che abbia qualcosa di straordinario: si presenta al parlatorio del monastero benedettino una fanciulla di Arezzo; viene a salutare le suore che la hanno educata da bambina, e le altre collegiali, perché ha deciso di entrare nel Monastero Carmelitano di Firenze. Per qualche minuto, in quel parlatorio, tutti parlano del Carmelo, ed ecco che Anna Maria sente dentro di sé, chiaramente, una voce che le dice: «Sono Teresa di Gesù e ti voglio tra le mie figlie». Emozionata fugge via e corre a gettarsi davanti al tabernacolo, e la voce interiore le ripete con più forza ancora: «Io sono Teresa di Gesù, e ti dico che ti voglio tra le mie figlie». Racconterà poi Anna Maria che si era sentita «come se le stringessero il cuore in un abbraccio, con un gran fuoco» e che «le pareva dall'allegrezza di essere diventata pazza...».
Tornò in famiglia e attese in affettuosa obbedienza il compimento dei diciassette anni di età: il papà le aveva detto che prima di allora non voleva discutere con lei di progetti vocazionali. Doveva usare i mesi che ancora mancavano pregando e riflettendo e lasciandosi condurre da Dio. Anna Maria cerca silenziosamente di vivere già come una carmelitana: quello che sa con certezza è che dovrà offrire tutto, e perciò innesta nelle giornate e nelle abitudini dei segni della sua appartenenza a uno Sposo Crocifisso: piccole e grandi rinunce colte al volo nel normale scorrere degli avvenimenti, qualche sofferenza volutamente ricercata, e il dominio costante della propria istintività.
Nel Settecento, pettinarsi con acconciature elaborate e preziose è per le donne "il problema del secolo; ma il parrucchiere che viene spesso ad acconciare le donne di casa Redi, osserva strabiliato che quella fanciulla – al termine del suo lungo lavoro – rifiuta lo specchio che egli le offre. «Grazie, non importa», risponde l'Annina.
Finalmente Anna Maria può decidere della sua vita, ma il papà esige prima che la ragazza venga esaminata da tre dotti e santi ecclesiastici, tra cui il Padre Provinciale dei Carmelitani. Costui – uomo particolarmente severo – le descrisse i rigori della vita carmelitana a tinte così forti che avrebbero sgomentato chiunque. Ma sembrava che Anna Maria desiderasse proprio quella radicale dedizione. Alle monache il Provinciale riferì poi di non avere mai incontrato una ragazza così: sembrava che S. Teresa d'Avila se la fosse preparata con le sue stesse mani. Nella lettera che ella scrisse al Carmelo, per chiedere l'ammissione, usò una espressione che sembra anticipare tutto ciò che dovrà poi accaderle: disse che voleva «fare a gara con quelle buone religiose nell'amare Iddio».
Nel monastero di Santa Teresa, a Firenze
Nel monastero in cui la ragazza chiede di entrare, vive ormai una comunità molto invecchiata, nella quale non erano entrate novizie da più di vent'anni. Quando Anna Maria si presenta alla porta del monastero, la Priora e le sue quattro consigliere hanno tutte più di settantadue anni. In pratica, 10 monache sono molto anziane e molto malate, e delle quattro in età giovanile (attorno alla trentina) una sta per ammalarsi in maniera ancora più seria e distruttiva di ogni altra. Altre quattro sono novizie, coetanee della nostra Santa.
Volle chiamarsi Teresa Margherita del S. Cuore di Gesù: Teresa, come la contemplativa di Avila; Margherita come la monaca visitandina che aveva chiesto ai cristiani di restituire "amore per amore" al cuore trafitto del Figlio di Dio. Disse subito, con assoluta sincerità, che «non avrebbe cambiato il suo stato col più felice del mondo, perché si trovava in Paradiso», e aggiunse che «era per lei una grazia esser venuta a fare da serva a quegli angeli». Cercò anzitutto di nascondersi nell'umiltà per lasciarsi guardare soltanto dal suo Sposo Divino, e vibrava di gioia a quell'avvertimento di S. Paolo che ai primi cristiani diceva: «La vostra vita è nascosta con Cristo, in Dio». In uno dei rari testi che ella ci ha lasciato si legge questa preghiera: «Mio Dio... ora e per sempre io intendo rinchiudermi nel vostro amabilissimo cuore, come in un deserto, per condurvi con Te, per Te, in Te, una vita nascosta di amore e di sacrificio».
Nel monastero di Firenze, la Maestra di noviziato aveva allora 78 anni: era davvero una educatrice eccezionale, ma oltre ad essere vecchia era anche tanto malata. Teresa Margherita venne scelta dalla Priora per assistere la Maestra come infermiera. Accadeva che la Maestra, pur provando una infinita tenerezza per la sua generosa novizia-infermiera, non le risparmiava proprio niente: nessun errore, nessuna distrazione, nessuna inavvertenza. Cercava volutamente pretesti per correggerla. Teresa Margherita moltiplicava le sue cure e le sue attenzioni, custodendo nel cuore e sulle labbra un'esclamazione adorante che aveva imparato dalle antiche tradizioni dell'Ordine Carmelitano. Si ripeteva: «Hic est Christus meus»: "è il mio Cristo" a parlarmi, a correggermi, ad esortarmi, ad essere esigente col mio amore. A volte qualche monaca diceva alla Maestra che quel suo rigore era davvero eccessivo, ma la vecchia educatrice rispondeva: «Non lo farei, se non fossi sicura di lei».
Fu così che Teresa Margherita visse il suo noviziato: da un lato assorbiva il normale ritmo della vita monastica, e dall'altro imparava a conoscere Dio, e il suo amore, e la sua volontà, e le dottrine spirituali in quel sublime incontro tra due anime grandi (la sua e quella della Madre Maestra) che non si risparmiavano nulla. Nel disegno di Dio quella situazione così particolare doveva preparare la giovane monaca a una specifica vocazione.
Al servizio delle membra sofferenti di Cristo
Nella tradizione carmelitana Teresa Margherita rimarrà come «la santa infermiera», titolo piuttosto originale per un Ordine dedito esclusivamente alla vita contemplativa. Da un lato ella doveva offrire alla Chiesa l'esempio di come si possano amalgamare tra loro la più totalizzante esperienza contemplativa e la più estenuante dedizione attiva alle membra sofferenti di Cristo; dall'altra ella doveva immergersi in un dramma mistico di cui vedremo tra breve la inaudita profondità.
Anzitutto dobbiamo dire che Teresa Margherita fu una infermiera volontaria: era entrata al Carmelo per cercare Dio solo, e Dio decise di manifestarsi a lei in quelle anziane sorelle che si ammalavano una dopo l'altra, e di cui ella chiedeva spontaneamente di prendersi cura.
Un monastero carmelitano – in cui le monache non possono essere più di una ventina – è un piccolo mondo in cui le responsabilità e gli uffici sono accuratamente distribuiti in modo che tutto proceda in maniera armonica ed efficiente. Se qualcuna si ammala le altre devono assumersi non solo il peso della assistenza richiesta, ma anche i compiti che la malata deve intanto abbandonare. Non è perciò difficile immaginare che cosa accadde, nel monastero di Teresa Margherita, quell'anno in cui più di dieci monache si ammalarono contemporaneamente in forma grave: ella si assunse il peso della assistenza a tutte le inferme, con una tale naturalezza che le altre finirono per considerarla una cosa normale. Di fatto ciò significava per lei la rinuncia ad ogni istante di tempo libero.
Affidare ciascuna nelle mani di Dio
C'era una monaca ormai ottantenne che era stata resa dalla malattia ombrosa e irritabile. Teresa Margherita la accudiva con tanta dedizione che la vecchietta ne era tutta soddisfatta, e diceva che mai aveva trovato una infermiera come quella. In comunità si notava che la malata era diventata così allegra che la Maestra chiese alla giovane come avesse fatto a ottenere quel risultato: Teresa rispose con semplicità che, sapendo la malata incontentabile, «lei l'aveva collocata nelle mani di Dio e ne aveva dato tutta la cura a Maria Santissima».
Un giorno nel refettorio deserto è rimasta una monaca dolorante che cincischia il suo povero cibo senza riuscire a masticarlo per un terribile mal di denti che la tormenta. Teresa Margherita, che ha servito a tavola ed è l'unica rimasta, le si avvicina, la guarda con compassione; al Carmelo vige la regola del silenzio, ma lei sembra dimenticarla: «Poveretta – le dice – lei spasima e perciò non può prendere cibo». Poi improvvisamente si china e le dà un bel bacio sulla guancia malata. La poveretta sente un dolore acutissimo che però subito scompare, per sempre. Vivrà ancora lunghi anni, ma non soffrirà mai più di quel male. La cosa fa un tale scalpore che se ne parla anche fuori del monastero, ma Teresa Margherita si sente tutta confusa perché ha mancato due volte alla Regola: parlando in tempo di silenzio e lasciandosi andare a una manifestazione affettuosa inusuale nel chiostro, perciò ne chiede perdono alla priora.
Un'altra anziana inferma è notoriamente sorda, tanto da non intendersi nemmeno col confessore, e ha un filo di voce. Anche lei non vuole altra assistenza che quella di Suor Teresa Margherita. E con l' infermiera discorre tranquillamente, e senza usare nemmeno il cornetto acustico. Non solo ma, quando Teresa Margherita è lontana, ad assistere altre malate, e la vecchina la chiama con voce flebilissima, lei la sente e da lontano risponde senza gridare, e la povera sorda la ode e si acquieta. Quando infine è giunto il suo turno, si lascia accudire in tutte le sue necessità e chiede alla Santa: «E adesso mi parli di Gesù!». Un giorno, senza che loro lo sappiano, c'è nella stanza accanto il prete venuto a comunicare l'inferma. L'hanno fatto aspettare apposta perché possa ascoltare: Teresa Margherita suggerisce all'inferma atti di fede e di abbandono in Dio, la esorta ad offrire a Lui ogni sofferenza, e soprattutto le fa ripetere atti di amore e di speranza. «Dovevo farmi forza per non piangere» racconterà poi il prete; e aggiungeva che molti sacerdoti avrebbero dovuto imparare da lei la maniera di assistere i malati e i moribondi.
Restituire amore per amore
Il poco tempo che le restava consisteva in prendere in tutta fretta un boccone (quando era possibile) e dedicarsi alla preghiera e al rapporto personale con Dio. Ma tutto ciò nascondeva un dramma mistico la cui profondità ci sfuggirà sempre. Si tratta di questo: Teresa Margherita aveva tratto dalla sua devozione al Sacro Cuore un norma di comportamento cristiano che ella esprimeva impetuosamente così: «bisogna restituire amore per amore». E poiché Gesù ci ha amato soffrendo per noi, noi dobbiamo voler soffrire per Lui. Non si trattava di inventare niente; le malate della sua comunità concretizzavano per lei ambedue questi movimenti d'amore e di croce: esse erano per lei l'immagine di Cristo che soffriva, e lei, per amarLo, doveva assumersi con gioia il durissimo peso del servizio. Diceva: «Lui in Croce per me, io in croce per Lui». Questo era l'ideale al quale si era consacrata per sempre. Il confessore di Teresa Margherita la vedeva crescere in questo amore divino come se un incendio interiore la bruciasse tutta, fin quando ella sembrò toccare l'intima sostanza di quel fuoco. La ragazza aveva solo vent'anni.
Una Domenica in coro, durante la liturgia, risuonarono le parole latine: «Deus Charitas est, et qui manet in charitate in Deo manet et Deus in eo» ("Dio è Amore. Chi resta nell'amore rimane in Dio, e Dio rimane in lui"). Teresa Margherita le aveva sentite indubbiamente spesso, ma quella volta ne rimase come posseduta: per alcuni giorni restò come trasognata, la vedevano muovere le labbra e capivano che si ripeteva quelle parole come ad assaporarle ripetutamente. Chiamarono il confessore, temendo si trattasse di una crisi isterica. Dopo averla ascoltata a lungo, nel segreto della Confessione, costui si limitò a dire alle monache: «Vorrei che tutte aveste la malattia che ha Suor Teresa Margherita». Quando ella riuscirà a spiegarsi, dirà che il pensiero di «vivere nella vita di Dio» e che «Dio viveva in lei», e che «era una sola vita, una sola carità, un solo Dio!» – un pensiero così! – l'aveva riempita di una gioia indicibile, tale che non c'era più spazio per altro.
La notte oscura
E qui comincia il dramma: a partire da questo stesso momento in cui ella sembra essersi avvicinata al cuore stesso della Divinità, Dio le toglie ogni "sensazione d'amore": prova ancora un desiderio sconfinato di amare Dio, ma come di qualcosa di cui ella è assolutamente priva: è infinitamente lontana da ciò che è amore, infinitamente indegna. Lei non ama Dio, non lo ha mai amato: ed è un pianto irrefrenabile, come se tutta la sua vita si raggrumasse nell'angoscia di essere priva di Dio. Gli esperti di esperienza mistica sanno di che si tratta. Permettendo questa terribile esperienza, Dio si prefigge due scopi (di altissimo amore). Da un lato Egli toglie alla creatura ogni ombra di egoismo. «Molti – spiegava S. Francesco di Sales – invece di amare Dio per far piacere a Lui, Lo amano per le consolazioni che provano nel suo santo Amore... Invece di essere "amanti di Dio", divengono amanti dell'amore che egli portano...». Il cammino mistico conduce nel centro della notte più oscura, perché soltanto là è possibile vedere sorgere il Sole in tutta la sua splendente gratuità.
Il secondo scopo che Dio si prefigge è quello di spiegare alle anime che più lo amano (e che Egli più ama) uno dei suoi più profondi misteri: che Egli "dà via" i suoi eletti – come ha fatto con suo Figlio – perché raggiungano i perduti e i disperati, condividano le loro angosce: fatti simili a loro in tutto, eccetto che nel peccato. E in modo che amino infinitamente quanto più sembrano privati d'amore, anche in sostituzione di chi ne è privo davvero.
Come affrontò una simile prova questa ragazza di vent'anni? Teresa Margherita decise di gettarsi a capofitto nell'unico amore che le restava possibile: sapendo per fede che Dio ha legato assieme i due grandi comandamenti (la carità verso di Lui e la carità verso il prossimo) decise di amare il suo prossimo – quelle malate che restavano lì, davanti a lei, e chiedevano di essere amate – e di amarlo divinamente.
Le venne concessa anche l'ultima crocifiggente esperienza, quando una delle consorelle più giovani si ammalò di demenza precoce, con periodiche crisi di violenza. Teresa Margherita si offrì volutamente, chiedendo di poter dare una mano nei momenti più difficili, finché pian piano anche quel difficile peso cadde tutto sulle sue spalle. Teresa Margherita, prima di entrare nella cella della malata, s'inginocchiava brevemente davanti a una immagine della S. Vergine, lì vicino, e a lei la affidava. E chiedeva coraggio. Poi era pronta ad accettare tutto: dagli strapazzi, agli insulti furiosi, a quel dover andare di qua e di là, senza quasi un respiro, per vedere di contentarla quanto più fosse da lei dipeso... e non dide mai segno minimo di stanchezza o di fastidio.
Accadde una volta che ella dovette fuggire in fretta perché la pazza aveva tentato di percuoterla: si rifugiò tutta tremante nella stanza di una consorella e si sfogò: «Non ne posso più!». La sera chiese perdono alla comunità dello scandalo dato, come se avesse commesso un grave peccato. «Fuggiva ogni occasione di essere da noi compatita», testimoniarono le sorelle. Eppure tutte sapevano che il suo carattere era «vivace e acceso»: nei primi tempi della vita monastica l'avevano vista spesso arrossire violentemente, nello sforzo di dominarsi davanti a qualche contrarietà.
Ma ora bruciava dentro, per quell'amore che voleva dimostrare a ogni costo al suo Dio che sembrava nascondersi e che pure era così presente nella sofferenza estrema di una sorella privata del più grande bene.
Consumata dall'amore di Dio
Aveva soltanto ventidue anni. Benché conducesse una vita di fatiche e di sacrifici, sembrava che la salute non ne scapitasse, anzi pareva che le sue forze crescessero di giorno in giorno. Ma una sera, mentre fa il solito giro delle malate, un violento attacco di dolori colici la piega fino a terra. Accorrono le consorelle che l'aiutano a stendersi sul suo pagliericcio. Mentre attendono il medico, Teresa Margherita chiede che tutte recitino con lei cinque Gloria Patri in onore del Sacro Cuore. Il medico non dà troppo peso all'accaduto. In realtà è in atto una peritonite, e la cancrena è già cominciata. Tiene tra le mani un Crocifisso e lo bacia a lungo con indicibile tenerezza. Nessuno si accorge che sta morendo. Al pomeriggio una sincope improvvisa. Riescono a darle gli ultimi sacramenti ma all'ultimo istante, quando forse è già morta.
Il giorno dopo, le esequie. A notte il corpo viene portato nei sotterranei del monastero – secondo gli usi del tempo – per una veloce sepoltura. Ma ecco che il corpo, contro ogni previsione, è ridiventato bello, giovane, come se fosse vivo. La sepoltura viene sospesa, nell'attesa che l'Arcivescovo decida il da farsi. E intanto nel sotterraneo si espande continuamente uno straordinario profumo che tutti possono constatare. Quando l'Arcivescovo giunge, dopo sedici giorni, accompagnato da quattro medici, trova «il corpo tutto flessibile, l'occhio umido, il colorito di una che sia perfet-tamente sana, inclusive la pianta de' piedi di sotto, rossa come se avesse molto camminato sino ad ora, insomma pare che dorma...».
«Come se avesse molto camminato...»: infatti era stata una contemplativa sempre in cammino nei lunghi corridoi del monastero a soccorrere le sue malate. E proprio questa grazia aveva chiesto a Dio: di «morire infermiera». Quel corpo è ancora oggi incorrotto. E le monache, fin dalla prima liturgia funebre, senza quasi accorgersene, non cantarono la "Messa per i defunti", ma quella "delle Sante Vergini". A casa Redi, il papà Ignazio riceveva in ricordo il Crocifisso che la figlia aveva tenuto tre la mani morendo. E anche da quel crocifisso, esattamente dalla piaga del costato, emanava lo stesso intenso profumo. Ed egli sentiva un profumo per la prima volta, perché per tutta la vita era stato privo del senso dell'olfatto. Era un piccolo miracolo, un piccolo dono che l'Annina faceva a colui che l'aveva educata alla fede.
È satata proclamata santa da Pio XI il 19 marzo 1934.
di P. Antonio Maria Sicari ocd
da Riflessi di Dio - I Santi del Carmelo, EDIZIONI OCD, Roma 2009.