di P. Ermanno Barucco* ocd
In alcune rappresentazioni mitologiche del dio Mercurio e dell’eroe Perseo questi hanno le ali ai piedi o sull’elmo, per indicare l’impresa di correre più veloci degli umani nel portare messaggi o nel fuggire i pericoli. “Avere le ali ai piedi” è usata a volte come metafora anche in ambito sportivo per descrivere una grande impresa dei corridori, di velocità o di fondo, ma ora sta pure diventando “realtà”. In effetti alcune grandi aziende produttrici di scarpe sportive stanno fornendo ad alcuni atleti delle calzature che migliorano le loro prestazioni, grazie soprattutto a suole di carbonio.
È come se gli atleti avessero delle molle nelle scarpe che li spingono avanti con più potenza e meno fatica. I risultati si vedono già da alcuni anni, ma alle Olimpiadi di Tokio 2020 (svolte in questi giorni del 2021 a causa della pandemia Covid-19) si attendono imprese da record. La domanda sorge quasi spontanea: si tratta di un potenziamento regolare delle capacità umane nel rispetto dello spirito e dell’etica dello sport?
Fino a qualche mese fa la Federazione Internazionale di Atletica permetteva di utilizzare scarpe con una sola suola di carbonio, per non eccedere nel potenziamento, e già disponibili in commercio, per permettere a tutti gli atleti di gareggiare “ad armi pari”. Fatta la legge però si è trovato l’inganno: le scarpe sono messe in commercio dalle aziende solo pochi giorni prima di un grande evento sportivo, come nel caso delle Olimpiadi di Tokio, permettendo così all’atleta da loro “sponsorizzato” di mantenere un discreto vantaggio. Inoltre le scarpe non vengono più controllate perché si è istaurata una certa fiducia nel rispetto delle regole da parte delle aziende: ma la fiducia non dovrebbe nascere invece dalla trasparenza nel verificare? Inoltre una nuova regola permetterebbe ad atleti “scelti” dalle aziende di usare per 12 mesi prototipi sperimentali. C’è chi ha fatto notare che nella commissione della Federazione che “cambia le regole” 7 persone su 12 hanno legami con le aziende produttrici e quindi non è fatto valere il principio etico di tutela rispetto al conflitto di interessi. Inoltre gli atleti scelti dalle aziende lo sono per quale motivo? Perché hanno più appeal mediatico e sono più adatti a “fare pubblicità” all’azienda perché così venda più scarpe e guadagli di più? Mica un’azienda ti privilegia gratis. Così però si rischia che lo sport si basi sempre più su procedure non sportive ma pubblicitarie ed economiche.
Qualcuno dirà che le stesse cose sono capitate in passato con i costumi dei nuotatori o con le aste di carbonio nel salto con l’asta, e in tante altre discipline. Questo è vero. Proprio per questo l’etica dello sport deve essere sempre vigile nel richiamare gli sportivi alla lealtà e porre dei limiti negli strumenti tecnologici.
La questione etica poi non si può dire risolta solo a livello del tempo presente, permettendo a tutti gli atleti di calzare quelle che sono state chiamate “le scarpe magiche” perché la competizione sia corretta e giusta. L’etica fa riferimento anche al passato, cioè tiene conto anche di quegli atleti che non hanno potuto gareggiare con questi “vantaggi”. Sono essi stessi che oggi si domandano se il fatto che i loro record (stabiliti qualche anno fa o decenni orsono) potrebbero essere battuti tra non molto da atleti con scarpe truccate non sia antisportivo, soprattutto perché ciò che non era permesso loro pochi anni fa dalla Federazione lo è stato ora. Anche solo il fatto di migliorare un record non è frutto dell’atleta in sé, ma di altro… e non bisogna pensare che alcuni decimi di secondo nelle gare di velocità o qualche secondo ogni chilometro nel fondo siano poca cosa. Sono tempi enormi nell’atletica professionistica.
C’è ancora un importante elemento dell’etica da considerare: l’atleta e la sua coscienza. È lui che dovrebbe in fondo scegliere di gareggiare lealmente. Altrimenti che sportivo è? O meglio, è ancora uno sportivo? Fama, successo, gloria e soldi (sempre loro e tanti soldi per un record battuto) fanno gola a molti. Uno sportivo famoso disse che il doping fa di un atleta normale un campione e di un campione un dio. Ecco le ali ai piedi di Mercurio! E se lo sportivo decidesse di rimanere “umano” non solo nelle prestazioni ma anche nelle scelte di vita e nelle decisioni etiche? Sono sicuro che la sua umanità, prima o poi, sarebbe ricordata, più di un record pompato. Non lasciamoci togliere la speranza di avere (e di essere) atleti così. Lasciateci sognare.
*Gremio di Bioetica
pubblicato in Gente veneta 30 (30 luglio 2021) p. 5