di P. Tarcisio Favaro ocd

1d8b530dff92f536dfd5b7d38c8970ec

Ero ancora uno studente di teologia quando un mio confratello scrisse un articolo con questo stesso titolo. Mi ha colpito quell’aggettivo legato alla Pasqua. E’ un aggettivo qualificativo, qualifica la festività. Nella mia memoria la Pasqua era sempre stata espressione di gioia, di vita, di rivincita della vita, di primavera, di campane ecc. Certamente conoscevo i vangeli pasquali e il fatto di Gesù che, di nuovo fra i suoi, mostrava le sue piaghe. Ma non ci pensavo, o l’abitudine mi rubava la novità e la stranezza di queste ferite: come può essere la vita ferita nel giorno della risurrezione?

E così cominciai a pensare anche a queste strane ma evidenti piaghe in quel Corpo glorioso. Certo sono la prova della continuità storica tra quel Gesù battuto e crocifisso e il Gesù risorto: è proprio Lui. Colui che gli apostoli avevano ben conosciuto e poi lasciato solo a morire è lo stesso che ora stava loro davanti: le ferite sul suo corpo risorto, ne mostrano l’identità e la continuità.

Le ferite sul suo Corpo glorioso. Da qui una Pasqua gloriosa ma ferita. Gloriosa e ferita. C’è una incredibile continuità. E’ lo stesso Gesù. D’altra parte esisteva e esiste la convinzione che la gloria del Signore già si mostra nella sua morte (quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me). Di conseguenza alcuni artisti pitturavano o scolpivano il Cristo in croce con la corona regale, le vesti regali e senza dar risalto alla sofferenza: appunto un Crocifisso glorioso. Una crocifissione dove risplende già la gloria e la forza della resurrezione. Dunque un Crocifisso glorioso e una Pasqua ferita.

Così il prete nella veglia pasquale, toccando le cinque ferite di Gesù e infiggendovi un chicco di incenso, dice lentamente e solennemente (anche tu che leggi, non correre): per le sue ferite … sante … gloriose ... ci custodisca e ci protegga … Cristo Signore. Gesù risorto vuole che gli apostoli vedano le sue piaghe: tu Tommaso metti qua il tuo dito e guarda le mie mani, stendi la mano e mettila nel mio costato. E’ lo stesso Gesù: glorioso nella morte e ferito nel giorno della vita: c’è tanta risurrezione in questa morte e ci sono ancora tante ferite in questa risurrezione. E noi, suo Corpo, continuiamo nelle nostre persone e nella storia il suo dolore glorioso e la sua vittoria sofferta.

Nel film romeno Benedetta Prigione, nel mezzo della notte di Pasqua dalle baracche del lagher si innalza, all’inizio timidamente, poi, man mano che i prigionieri capiscono e partecipano, solennemente maestoso l’augurio e la preghiera pasquale: Cristos a înviat … Stupore e silenzio dei carcerieri. Mentre umile e fiero il canto prosegue portando un sorriso, una lacrima, un sussulto di umanità in quel dolore immenso. E’ una sofferenza gloriosa, un dolore redento, ma anche una Pasqua (era proprio la notte di Pasqua) con molte ferite.

C’è una bambina (cinque anni) che soffre di una malattia rara: si gratta in continuazione fino a farsi delle piaghe. La mamma, le notti, dorme con la piccola abbracciata a lei, cosi le mani, abbracciandola, restano ferme. Una sera, a letto, la bambina dice alla mamma, serenamente, positivamente: mamma, Gesù fa tanti regali e porta doni ai bambini. A me ha dato le sue piaghe. La mamma la stringe e la assicura. Ma un brivido di amore intenso, un brivido di Dio e di sofferenza la attraversa tutta. Poi la piccola dorme e la mamma può piangere.

Così anche in questi giorni sospesi c’è tanto dolore, ma anche tanto amore, c’è lontananza dei parenti di chi si ammala, impossibile da colmare se non attraverso la vicinanza di chi parente non è. C’è tanta gioia in chi ritorna tra i suoi cari dopo un mese di ospedale. C’è tutto il paese ad accoglierlo: bentornato fra noi! Tutti sono in festa e anche i balconi sono colorati per l’occasione. Ma lui si commuove. Perché torna a casa? Certo. Perché e vivo. Ma la sua gioia ha un mese di attesa, ha giorni di sofferenza sua e di altri. Ha una memoria. È una gioia più profonda che dà lacrime.

Ecco dunque che noi continuiamo la sua passione gloriosa e le ferite della sua Pasqua. Ma anche le due realtà (sofferenza e gioia) si possono forse interscambiare? Gli stessi esempi valgono per tutte e due? Quasi.