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Pubblichiamo una breve riflessione particolarmente adatta a questo tempo carico di dolore e di morte. Cristo Risorto cerca anche oggi persone disponibili a farsi carico di queste ferite.

di Elio Guerriero

Sulla via della croce si muovono tante persone. Alcune ostili, altre favorevoli, la maggior parte indifferenti. Ve n’è uno, tuttavia, che, pur non essendo tra i discepoli di Gesù, gli presta un aiuto prezioso. Si tratta di Simone di Cirene, probabilmente un ebreo originario della Libia, che si era trasferito a Gerusalemme da non molto tempo. Un caso non strano né raro.

Secondo gli Atti degli Apostoli nell’ antica capitale vi era un’intera comunità di ebrei di lingua greca provenienti dalla Libia. La circostanza è confermata dal fatto che i figli di Simone si chiamavano Alessandro e Rufo, un nome greco e un nome latino. Quel giorno Simone veniva dalla campagna. Era da poco passato il mezzogiorno e le strade erano affollate perché gli abitanti della città e i tanti pellegrini facevano gli ultimi acquisti. Anche Simone tornava prima del solito a casa perché, secondo la Mishnah, quel giorno si smetteva di lavorare in anticipo per potersi preparare alla cena pasquale che aveva inizio la sera. Ligio a questa usanza, Simone camminava spedito quando i passanti furono costretti a farsi da parte da un corteo di soldati. Accompagnavano al supplizio della croce tre condannati a morte seguiti da un piccolo drappello di parenti e amici, in particolare di donne. Tra i condannati ve ne era uno particolarmente provato, che a stento stava in piedi. E allora un soldato, per accelerare i tempi, si rivolse proprio a Simone intimandogli di avvicinarsi. Tolse dalle spalle del condannato il patibolo, la traversa orizzontale che doveva essere poi inchiodata al palo della croce già eretto sul luogo del supplizio, e la diede da portare a Simone. Costretto ad accompagnare il condannato il cireneo ebbe modo di vedere da vicino la sua infinita sofferenza. Gli evangelisti non ci hanno trasmesso delle notizie sui sentimenti di Simone. Probabilmente all’inizio aveva accolto con fastidio quell’imposizione imprevista, ma lo sguardo di Gesù lo aveva catturato. E il cireneo aveva fatto una scoperta straordinaria. Costretto a dare una mano a quel condannato comprese che l’infinita stanchezza e sofferenza di Gesù erano dovute al lungo cammino che aveva percorso. Non tutti i passaggi gli erano chiari; intuiva, tuttavia, che da tempo egli si era messo in cammino, aveva preso quella strada proprio per incontrare, per salvare lui, l’emigrato che gli antichi residenti di Gerusalemme guardavano con senso di superiorità.

Non sappiamo altro dell’uomo di Cirene. Probabilmente, però, quell’incontro, che sembrava così casuale, divenne il punto di svolta per la sua vita. Il Vangelo di Marco, infatti, testimonia che i suoi due figli, Alessandro e Rufo, erano cristiani ed ebbero un ruolo significativo nella prima comunità di Gerusalemme. E’ l’esperienza che dopo di lui faranno tanti santi, quanti ancora oggi si mettono in cammino per andare alla ricerca di Dio. Man mano, tuttavia, che si avvicinano a Gesù scoprono che questi li aveva preceduti nella ricerca. Era stato lui a lasciare la casa del Padre, a venire in questo mondo che fin dall’inizio l’aveva accolto con indifferenza se non con astio (Erode). Solo pochi come i pastori di Betlemme e i magi venuti dall’oriente si erano mossi per andargli incontro. Ed ora era giunto il momento dell’ora per la quale egli era venuto, per compiere l’ammirabile scambio, per donare la sua vita, per destare in loro il desiderio di Dio. E il piccolo gruppo di seguaci composto soprattutto di donne sembravano irrilevante tra quella folla ostile o distratta. La storia dirà che non era così. Particolarmente in questo anno, guardando alla passione di Gesù con il nostro carico di sofferenza, possiamo renderci conto che da lunghissimo tempo il Figlio di Dio si è messo in cammino per venirci incontro. E quel pezzo di croce che sull’esempio dell’uomo di Cirene ci tocca portare per lenire almeno per un attimo le sofferenze del Figlio di Dio, è il nostro piccolo importante contributo per generare altri figli di Dio, per salvare il mondo. In questo modo potremo cantare con maggiore gioia e partecipazione l’exsultet della notte di Pasqua.