di P. Ermanno Barucco ocd

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È possibile, mentre è in corso il Sinodo sui giovani, dire qualcosa sul loro rapporto con la bioetica? Dove i giovani “imparano” le questioni di bioetica? Dai film naturalmente! Anche se magari non sanno cosa sia la bioetica e che tipi di messaggi questi film stiano veicolando. Prendiamo, per esempio, il film del 2016 “Io prima di te”, tratto dal romanzo (2012) di grande successo di Jojo Moyes, di cui sono usciti i sequel con “Dopo di te” (2015) e “Sono sempre io” (2018). La storia sentimentale cattura il pubblico giovanile con il suo tono di commedia, con il finale drammatico e con le accattivanti canzoni proposte nel film.

Figlio di una ricca famiglia, 31 anni, Will è un brillante manager che ha successo nel lavoro, nelle attività sportive di tutti i generi (dal surf agli sci, dal calcio in spiaggia ai tuffi in mare lanciandosi da scogliere altissime) e anche con le donne. La sua idea della vita vera, come emerge più volte dalle parole del film. Investito da una motocicletta mentre cammina per strada rimane paralizzato, senza più l’uso di gambe e braccia, ed è ormai “costretto” sulla sedia a rotelle (seppur elettrica per potersi almeno spostare da solo). Imbottito di medicinali, stremato da semplici influenze fino a quasi morire e in fisioterapia continua senza alcun miglioramento, Will è ormai un apatico che non attende più nulla dalla vita. Tutti stereotipi calcati nel film per far passare l’idea di un uomo la cui vita non vale più la pena di essere vissuta. Ecco il primo messaggio del film ai giovani.

I genitori di Will cercano qualcuno disposto a stare con lui come persona di compagnia e dopo vari tentativi falliti trovano Lou, 26 anni, ragazza disperatamente in cerca di lavoro per aiutare i genitori poveri che non sanno come andare avanti. Proprio per la sua goffaggine nelle espressioni, i suoi vestiti ridicoli, ma soprattutto per la sua spontaneità relazionale, Lou riesce a conquistare Will, a fargli tornare la voglia di fare qualcosa e di riprendere i viaggi che tanto amava, ovunque tranne che a Parigi, dove sogna di andarci solo se tornasse il vecchio Will atletico e sano così da affascinare le donne. La storia sentimentale che nasce tra i due la si può facilmente immaginare in questo genere di film, arricchita dal tentativo di lei di far cambiare idea a lui che ha scelto di andare in Svizzera per morire tramite suicidio assistito. Il film presenta quindi diverse idee: quella del padre di lui, che rispettando la libertà del figlio ha accettato la sua scelta di non soffrire più terribilmente “morendo con dignità” e non tagliandosi le vene come ha già tentato di fare; quella della madre, che vuole convincerlo a desistere attraverso l’affetto della ragazza; quella dei genitori di lei, molto cristiani e contrari all’eutanasia perché è un omicidio. Il messaggio ai giovani diventa che in mezzo alle opinioni rigide, dettate dagli affetti o dalle convinzioni religiose, ciò che conta è la scelta libera del malato di volerla fare finita e che per questo non bisogna giudicarlo.

Infine il dramma sentimentale: se lei è convinta di poter rendere felice lui anche nella sua condizione, lui non solo non accetta un amore in cui lui non sia il prestante uomo di prima ma vive pure nella paura che lei stia con lui solo per pietà e che un giorno possa pentirsene. L’illusione di lei sembra quella di voler essere il salvatore del mondo dimenticando che questi c’è già, Gesù Cristo, ed è l’unico a poter veramente donare una speranza al cuore dell’uomo ferito… strano che una ragazza di famiglia cristiana non gli annunci mai Dio e Gesù. Inoltre Dio, nella sua misericordia, sa accettare anche l’impotenza davanti alla scelta dell’uomo, che ama e ha creato, di volersi dare la morte, mentre la ragazza non sembra saper vivere l’impotenza di non essere riuscita a fargli cambiare idea e decide di raggiungerlo in Svizzera dove lui si darà la morte. Ecco il messaggio ai giovani: l’amore deve condividere il gesto estremo dell’altro.

Tuttavia i giovani non la bevono così facilmente. Sono intelligenti. Alcuni sanno percepire i messaggi di morte che li vorrebbero complici e li rifiutano. Altri non capiscono perché una persona pur malata e con diverse incapacità ma amata e curata arrivi comunque a rifiutare questo amore e scelga di darsi la morte. Altri ancora non accettano che si possa non essere d’accordo con la scelta estrema dell’altro eppure raggiungerlo (sia i genitori di lui sia Lou) nella casa dove “morirà”, poiché sentono l’ombra della complicità e avvertono la maschera del potersi spingere fino a fare “per amore” ciò che invece amore non è.

* Professore di bioetica

Pubblicato in Gente veneta, anno XLIV, n. 35 (28 settembre 2018) p. 3