di P. Aldino Cazzago ocd
«Io penso che, grazie alla diffusione mondiale che oggi internet consente, entro qualche decina di anni non ci sarà più bisogno di credere nell’esistenza di un Dio. Oggi nessuno crede più a Zeus, Vulcano, Posidone. Fra poco anche il Dio cristiano sarà relegato nei miti. Solo che in questo momento di passaggio credo che scienziati e religiosi dovrebbero avere un dialogo».
Questa dichiarazione non è tratta dagli scritti di un filosofo neopositivista del secolo scorso, convinto che la sola forza del progresso avrebbe finalmente liberato l’uomo dall’ingannevole idea dell’esistenza di Dio. Questo proclama non è neppure l’eco di qualche vecchio slogan di leniniana memoria, teso a dimostrare la falsità della fede religiosa. Non è stato forse Lenin a scrivere che «l’impotenza delle classi sfruttate nella lotta contro gli sfruttatori genera la fede in una vita ultraterrena migliore»? Alla recente fiera del libro di Francoforte, ad esprimersi in questi termini è stato il noto scrittore americano Dan Brown durante la conferenza di presentazione del suo ultimo romanzo.
Quando si leggono certe affermazioni in tema di questioni religiose viene voglia di citare perfino Emil Cioran che, quanto a nichilismo antropologico e negazione dell’Assoluto, non era certo secondo a nessuno. «Sono un miscredente - scriveva nei sui Quaderni - che legge soltanto pensatori religiosi. Il motivo profondo è che solo loro hanno affrontato certi abissi. I “laici” vi sono refrattari». In una intervista del 1988 così affermava: «Io non sono religioso, ma nemmeno insensibile alla dimensione religiosa. […]. Sono incapace di credere, ma aperto ai problemi che la religione ci pone. Anzi: credo che la religione vada molto più a fondo di qualunque altra riflessione, e che la vera idea del mondo sia religiosa. L’uomo che non sia passato attraverso la religione e che da questa non si senta attratto, è vuoto».
Molte sono le cose che si potrebbero scrivere in risposta a Dan Brown, ma qui è opportuno limitarsi a qualche semplice osservazione. A giudizio del nostro autore, i due millenni della storia del cristianesimo e prima di essi quelli della storia del popolo d’Israele narrati nella Sacra Scrittura, nati entrambi dalla idea dell’«esistenza di Dio», starebbero per soccombere davanti alla potenza di internet! Sfortunati tutti quelli che non hanno potuto giovarsi dei vantaggi che esso offre per sbarazzarsi, d’un colpo e una volta per sempre, di Dio, ma hanno dovuto elaborare una loro idea della sua non esistenza. Quanta fatica si sarebbero risparmiati i vari Marx, i vari Nietzsche e i vari Freud.
«Non ci sarà più bisogno di credere nell’esistenza di Dio». Il «bisogno di credere nell’esistenza di Dio» è altra cosa dal bisogno di bere, che si estingue una volta che ha trovato soddisfacimento. Alle parole di Dan Brawn si possono contrapporre quelle molto più autorevoli del grande studioso di storia delle religioni Mircea Eliade: «Il sacro è un elemento della struttura della coscienza, non uno stadio evolutivo della sua storia». L’uomo è strutturalmente homo religiosus.
«Oggi nessuno crede più a Zeus». Che la gente non creda più a Zeus può essere solo una constatazione; che da qui si possa inferire che in un prossimo futuro gli uomini ripagheranno con la stessa moneta il Dio della rivelazione cristiana è una affermazione che ha solo l’autorevolezza di chi lo ha asserito. Giovanni Paolo II era molto più realista dello scrittore americano e affermava che «oggi la gente vive come se Dio non esistesse». La differenza sta tutta in quel «come se».
Quanto alla necessità del dialogo tra «scienziati e religiosi», Dan Brown, è un po’ di ritardo, perché questa stessa necessità era già al centro della lunga Lettera che l’ 1 giugno 1988 Giovanni Paolo II scrisse a George V. Coyne, direttore della Specola Vaticana. A quasi trent’anni di distanza quello scritto conserva una sorprendente attualità. «La Chiesa - scriveva il pontefice - non propone che la scienza diventi religione o la religione diventi scienza. Al contrario, l’unità presuppone sempre la diversità e l’integrità dei suoi elementi. […] Per essere più chiari, sia la religione, sia la scienza devono conservare la loro autonomia e la loro distinzione. La religione non si fonda sulla scienza né la scienza è un’estensione della religione. Ciascuna ha i suoi principi, il suo modo di procedere, le sue differenti interpretazioni e le proprie conclusioni. Il cristianesimo ha in se stesso la sorgente della propria giustificazione e non pretende di fare la sua apologia appoggiandosi primariamente sulla scienza. La scienza deve dare testimonianza a se stessa. Mentre religione e scienza possono e debbono ciascuna appoggiare l’altra come dimensioni distinte della comune cultura umana, nessuna delle due dovrebbe pretendere di essere il necessario presupposto per l’altra. Oggi abbiamo un’opportunità senza precedenti di stabilire un rapporto interattivo comune in cui ogni disciplina conserva la propria integrità pur rimanendo radicalmente aperta alle scoperte e intuizioni dell’altra».
Immersi nel tempo come siamo, non sappiamo se a Dio sia rimasto poco tempo, sappiamo invece che è «la vita dell'uomo» ad avere «i giorni contati» (Siracide 37,25).