di F. Fabio Roana ocd
Avvicinandoci alla canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), che sarà celebrata il 4 settembre 2016, cerchiamo di cogliere le risonanze che hanno in lei l’esperienza, l’insegnamento e il linguaggio della santa di cui, all’inizio della sua vita religiosa, ha preso il nome: Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo.
Madre Teresa di Calcutta ha avuto non poco in comune con i grandi santi del Carmelo: con santa Teresa di Gesù (d’Avila), donna innamorata del Signore e madre fondatrice piena di zelo e dalla forte tempra; con san Giovanni della Croce, innamorato anch’egli di Dio e conoscitore profondo della notte oscura dell’anima. Tuttavia è con santa Teresa di Gesù Bambino che emergono le più evidenti affinità. Nonostante la sua reticenza a parlare di sé (e il disagio per il paragone con la Santa), Madre Teresa ha lasciato traccia anche di alcune sue esperienze intime che possono aiutarci a seguirne il cammino spirituale. Possiamo dire che ha fatto propria la lezione della Santa di Lisieux, senza nulla togliere all’originalità che la contraddistingue ma che qui non approfondiremo.
La partenza e il nome
Anjezë Gonxhe Bojaxhiu nasce a Skopje (Macedonia) nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1910 da famiglia albanese. Il nome Gonxhe in albanese significa “bocciolo”, mentre Anjezë (Agnese) viene da un aggettivo greco che si può tradurre “puro”, “casto”. Fin dalla sua giovinezza questo “Bocciolo puro” conosce Teresina, il «Fiorellino bianco» (ms A 2r°), prendendola presto ad esempio e considerandola così vicina a sé da sentirla come parte della propria stessa famiglia, salutando come il più grande avvenimento del primo quarto di secolo la sua canonizzazione (17 maggio 1925).
Il 14 dicembre 1927 santa Teresa è proclamata patrona principale delle missioni, lei che già prima di entrare in monastero ha desiderato essere missionaria e ancora da carmelitana «lasciare per una terra straniera la deliziosa oasi nella quale [viveva] così felice […]» (ms C 10r°), addirittura essere apostolo in tutto il mondo e per tutti i tempi (ms B 3r°); lei poi che ha avuto il dono di due corrispondenti missionari, che ha avuto caro il missionario martire Théophane Vénard (oggi santo) e si è rivolta con una novena «a san Francesco Saverio [patrono insieme delle missioni] per ottenere di fare del bene dopo morta»…
Dopo nove mesi, il 26 settembre 1928, Anjezë Gonxhe parte dalla Macedonia per diventare religiosa missionaria nel Bengala. Il 24 maggio 1931 pronuncia i suoi primi voti come suora di Loreto in India e assume il nome di Mary Teresa in onore di santa Teresa di Gesù Bambino (sembra che una consorella avesse già il nome francese di Thérèse), perché «il piccolo fiore […] faceva cose ordinarie con un amore straordinario». Dalla professione definitiva (24 maggio 1937) si firma «Mother Teresa» (Madre Teresa).
Non resterà un segreto questo riferimento personale: la missionaria lo confermerà sempre, il suo onomastico verrà ricordato lungo la sua vita, nel 1955 riceverà dal capitano Cheshire (un altro devoto) anche «una reliquia di primo grado di Santa Teresina, che a sua volta gli aveva dato Celine» (15 dicembre 1955) e un giorno le sorelle di Calcutta prepareranno un libretto dal titolo Two Lives, One Vocation (Due vite, una vocazione) per mostrare gli stretti legami tra le due, soprattutto intorno al tema della sete d’amore.
L’amore di Gesù
Punto di partenza di entrambe le storie di santità è il tenero amore di Gesù e per Gesù e il desiderio di dargli gioia, di fargli sempre piacere, di servirlo. La «piccola […] promessa sposa di Cristo» (1928) ha per Lui un amore esclusivo: «Sin dall’infanzia, il Cuore di Gesù è stato il mio primo amore» (24 luglio 1967); un amore come nessun altro: «Voglio amarLo come non è stato amato prima, di un amore tenero, personale e intimo» (8 gennaio 1969). Potrà dire che la vocazione stessa delle Missionarie della Carità è l’amore di Gesù, in sintonia con santa Teresina che scrive: «La mia vocazione è l’Amore!…» (ms C 3v°) e, più avanti: «O mio Gesù, ti amo! […] O Gesù, mio primo, mio solo Amico, tu che io amo UNICAMENTE, dimmi che mistero è questo?» (ms C 4v°). Però Madre Teresa soffrirà molto a lungo dell’incapacità di sentire l’amore di Gesù per lei e il proprio stesso amore per Lui, pur avendone sempre in bocca il nome e sapendolo scorgere nei poveri e nei sofferenti a cui presterà le sue amorevoli cure.
Così dirà a proposito del suo legame con la Santa: «Va bene parlare di Teresina. Non dobbiamo mai dimenticarla. Quel che abbiamo in comune è l’amore di Gesù. Lei diceva che il miglior modo di amare Gesù è fare delle piccole cose. Nient’altro che delle piccole cose. Ecco, è esattamente quello che noi facciamo qui [a Calcutta]».
[…]
La missione celeste
Madre Teresa muore il 5 settembre 1997, a pochi giorni dal centesimo anniversario dell’“entrata nella vita” di santa Teresina (30 settembre 1897)… «Se mai diventerò una santa, sarò di sicuro una santa dell’oscurità. Sarò continuamente assente dal Paradiso per accendere la luce a coloro che, sulla terra, vivono nell’oscurità» (6 marzo 1962). Almeno dal tempo della sua «Ispirazione», Madre Teresa sente fortemente di avere la missione di essere luce nel mondo per conto di Gesù e questo entra presto in tensione con la profonda oscurità spirituale che vive. Eppure il suo abbandono a Dio la fa andare oltre, accettando, assumendo l’oscurità come parte anche della sua futura missione celeste. Per esprimerlo “traduce” per sé le analoghe affermazioni di santa Teresina: «Conto proprio di non restare inattiva in Cielo; il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime. Lo chiedo al Buon Dio e sono certa che mi esaudirà […]» (lettera a p. Adolphe Roulland del 14 luglio 1897); «Sento che sto per entrare nel riposo… Ma sento soprattutto che la mia missione sta per cominciare, la mia missione di far amare il buon Dio come io lo amo, di dare la mia piccola via alle anime. Se il buon Dio esaudisce i miei desideri, il mio Cielo trascorrerà sulla terra sino alla fine del mondo. Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra […]» (Ultimi colloqui. Quaderno giallo, 17 luglio 1897).
Il 1997 è anche l’anno della proclamazione di santa Teresa di Gesù Bambino dottore della Chiesa (19 ottobre, Giornata Missionaria Mondiale, data poi della beatificazione di Madre Teresa nel 2003). Uno dei suoi più “grandi” discepoli sembra proprio la Santa di Calcutta, arrivata già in vita ad essere una missionaria senza confini, cercando con semplicità, profondità e audacia di andare incontro alle povertà umane e di portare luce in ogni parte del mondo.
L’articolo nella sua interezza sarà pubblicato nei prossimi mesi. Si soffermerà sul motivo delle piccole cose, sul voto di non rifiutare mai nulla a Dio, sulla sete di Gesù, sull’inizio della nuova opera (la fondazione delle Missionarie della Carità), sull’oscurità interiore, sull’abbandono amoroso a Dio, sulla piccolezza e sul sorriso. Saranno aggiunti i riferimenti bibliografici.
Piccola appendice: san Giovanni della Croce
Solo due riferimenti testuali per farsi un’idea dell’affinità di Madre Teresa con san Giovanni della Croce. Scrive la Santa di Calcutta nel 1961: «Ho due o tre pacchi di giornali cattolici, e oggi è arrivato il vostro libro di San Giovanni della Croce. Sto proprio leggendo le sue opere. In che modo meraviglioso scrive di Dio!…»; e nel 1969: «La sua lettera con le parole di San Giovanni era bella, e lei, sono sicura, rimarrà sorpreso di sapere che riesco a capire un poco e talvolta trovo godimento nelle opere di San Giovanni della Croce. I suoi scritti mi inducono ad avere fame di Dio, e poi mi fanno affrontare quella terribile sensazione di essere “non voluta” da Lui».