di F. Iacopo Iadarola ocd

sartre-1Sartre non ci piace: pur prescindendo da questioni confessionali, ci basterebbe la sua miope adesione allo stalinismo e maoismo (anche se poi ridimensionata) e alla proposta di depenalizzazione dei rapporti sessuali coi minori di quindici anni consenzienti (anche se allora condivisa da tanti altri raffinati intellettuali, ancora oggi molto di moda). Ma bisogna pur riconoscere a questo mostro sacro dell’esistenzialismo e dell’ateismo novecentesco una lucidità di pensiero che lo fa rimpiangere, se paragonato ai suoi attuali epigoni come Onfray o Odifreddi: “L’ateismo è la persuasione che l’uomo è un creatore, e che è abbandonato, solo, sul mondo. L’ateismo non è quindi un allegro ottimismo, ma, nel suo senso più profondo, una disperazione”. Un ateismo, quello sartriano, sempre in crisi con se stesso, consapevole del proprio dramma, della propria impermanenza e contraddittorietà: “La decisiva assenza di fede è una fede incrollabile”.

In questo senso non stupisce la possibilità che questa fede impossibile sia, almeno per una volta, capitolata. E’ quanto forse successe nel Natale del 1940, nel campo di prigionia dei nazisti di Treviri in cui erano rinchiusi tanto il trentacinquenne Sartre quanto alcuni sacerdoti cattolici, i quali gli proposero di scrivere un dramma natalizio: “Un medesimo rifiuto del nazismo mi legava ai preti prigionieri nel campo. La Natività mi era apparsa il soggetto capace di realizzare l’unione più larga tra cristiani e non credenti. Si era convenuto, che dicessi quello che avrei voluto. Per me, l’importante in questa esperienza era che, prigioniero, potessi rivolgermi agli altri prigionieri ed evocare i nostri problemi comuni”. Ne risultò Bariona o il Figlio del tuono, pièce teatrale scritta, diretta e anche recitata dallo stesso Sartre (nei panni di uno dei re magi). Qui se ne può leggere una lusinghiera presentazione fatta da Mons. Ciattini, Vescovo di Massa Marittima-Piombino e qui la sua citazione da parte del Card. Ravasi in occasione della presentazione del volume L'Infanzia di Gesù di papa Benedetto XVI: menzioni meritate giacché il dramma è realmente toccante e religiosamente coinvolto, e nessun spettatore o lettore penserebbe che a comporlo sia stato un ateo e miscredente.

La nausea di Bariona

Miscredente proprio come il protagonista del dramma Bariona, lucido anti-eroe della disperazione dalla psicologia simile al Roquentin de La Nausea - egli è capo di un villaggio in cui vorrebbe non nascessero più bambini, per risparmiar loro la nausea di vivere in questo mondo - ma che capitola completamente di fronte alla Santa Famiglia, in adorazione totale del Bambino che voleva strangolare ma che all’improvviso riconosce essere il Messia: al punto di sacrificare la propria vita per Lui andando a combattere insieme ai suoi sodali contro i sicari di Erode. E non fu la fede risvegliata di uno zelota in un Messia politico capace di sterminare i romani, ma precisamente la fede in Gesù Cristo che sarà crocifisso e il cui regno sarà tutto basato sulle Beatitudini, non sulle armi: così era stato spiegato a Bariona dal saggio Baldassarre. Eppure questo non era bastato ancora per disserrare il suo cuore e catapultarlo dalla disperazione più nera alla fede più gioiosa: né questo né pure lo scorgere, da dietro una porta, la cura amorosa di Maria per Gesù, descritta in una pagina di rara bellezza.

L’irruzione della Grazia, del dono della fede, avverrà invece per le preghiere di una madre, Sara, la moglie di Bariona incinta di un bambino che doveva anch’egli essere ucciso perché, nella folle mente del marito, in questo mondo “avrebbe sofferto e ti avrebbe maledetta”. Al che Sara aveva risposto: “Anche se fossi sicura che mi tradirà, che morirà sulla croce come i ladri, maledicendomi, lo partorirei ugualmente” “Ma perché? Perché?” “Non so. Accetto per lui tutte le sofferenze che soffrirà e pertanto, so che le risentirei tutte nella mia carne. Non c’è spina nel suo cammino che si pianterà nel suo piede senza piantarsi nel mio cuore. Sanguinerò a fiotti i suoi dolori”.

Questa eroica madre, venuta a sapere coi pastori che il Messia stava per nascere a Betlemme, si era precipitata lì per adorarlo, certa che avrebbe salvato anche il suo bambino dai tenebrosi piani del marito. Ma quando, dopo la nascita del Cristo, viene a sapere che Egli stesso corre il rischio di essere ucciso dagli erodiani, prorompe supplicando: “Figlio mio, mio Dio, mio piccolo! Tu che io amavo già come se fossi tua madre e che adoravo come la tua serva. Tu che avrei voluto partorire nei dolori, o Dio che ti sei fatto mio figlio, o figlio di tutte le donne […] Eri il mio bambino e il destino di questo bambino che dorme in fondo a me, ed ecco che si sono messi in marcia per ucciderti […] O Dio Padre, Signore che mi vede, Maria è nella stalla, ancora felice e sacra, e non può pregarti per salvaguardare suo figlio, poiché non dubita ancora di nulla […] Ma io, che sono sola sulla strada e che non ho ancora bambini, guardami poiché mi hai scelta in questo istante per sudare l’agonia di tutte le madri. O Signore, soffro e mi torco come un verme tagliato, la mia angoscia è enorme e simile all’Oceano; Signore, io sono tutte le madri e ti dico: prendimi, torturami, forami gli occhi, strappami le unghie, ma salvalo! Salva il Re della Giudea, salva tuo figlio e salva pure i nostri piccoli”.

Nel dramma, a questa supplica biblica e tuonante, segue “un silenzio”. Subito dopo, l’azione riprenderà, ma Bariona non sarà più un persecutore del Cristo e, abbandonate le ultime resistenze della sua disperazione, diverrà il provvidenziale strumento di salvezza per bloccare gli erodiani e salvare la vita al Bambino; nonché salvare la propria anima, anche se sta andando incontro a una morte certa: “Trabocco di gioia come una coppa troppo piena […] Pianti di gioia! Addio mia dolce Sara. Alza la testa e sorridimi. Devi essere gioiosa: ti amo è il Cristo è nato”.

La misericordia di Teresina

Thérèse-Lisieux

E così, la rivoluzione della misericordia di Dio è esplosa nel mondo per tramite di una donna, di una madre: Sara per Bariona, Maria per noi.
E qui entra in scena la nostra Teresina. Abbiamo trovato, infatti, un’impressionante somiglianza fra questa intuizione sartriana della cooperazione della madri ai misericordiosi piani di Dio e un passo di una Pia ricreazione di S. Teresa di Gesù Bambino, La Fuga in Egitto1: anche in questo caso una rappresentazione a tema natalizio (inscenata per le monache del Carmelo di Lisieux nel gennaio 1896) in cui, sulla scorta di un episodio tratto dai vangeli apocrifi, è immaginato l’incontro fra la Santa Famiglia e una banda di briganti. Anche in questo caso il violento capobanda, Abramin, da che stava per sterminare la Santa Famiglia, si converte al Cristo grazie alla moglie Susanna, che aveva ottenuto grazie al Bambin Gesù la guarigione miracolosa del loro bambino lebbroso - il futuro buon ladrone Dimas che morirà sulla croce accanto a Cristo. Ma subito dopo la guarigione dell’infante, ecco che la fedele Susanna implora la Madonna: “Io tremo all'idea di vederlo ancora abbandonarsi ai suoi disordini. Tremo che il mio Dimas segua gli esempi di suo padre. Allora che sarà di loro?” La Santa Vergine: «Certo, coloro che voi amate offenderanno il Dio che li ha colmati di ogni bene. Tuttavia abbiate fede nella misericordia infinita del Buon Dio: è così grande da cancellare i più grandi misfatti, quando trova un cuore di madre che ripone in essa tutta la sua fiducia»”.

La Fuga in Egitto venne parzialmente pubblicata dopo la morte di Teresina, circa 40 anni prima della messa in scena di Bariona: è probabile che gli amici sacerdoti e compagni di prigionia di Sartre la conoscessero e non è impossibile che gliene abbiano parlato o gliela abbiano fatta leggere, contestualmente alla committenza del dramma natalizio da inscenare nel campo. Del resto, Sartre stesso racconta che in quei mesi di prigionia lesse e apprezzò appassionatamente Il Diario di un curato di campagna di Bernanos, celebre per la sua citazione finale di S. Teresina: “Tutto è grazia”. I testimoni raccontano inoltre che Sartre, dopo la rappresentazione di Bariona, visibilmente commosso, unì la sua voce a quella degli altri detenuti per i canti di Natale: e qui non si stava più rappresentando ma si stava vivendo già il mistero del Natale.

Non ci è dato sapere se in quel momento il filosofo francese, come il suo alter-ego Bariona2, avesse realmente vissuto un momento di fede: lui lo nega esplicitamente nella prefazione alla pubblicazione del dramma, avvenuta nel 1962, ma sembra un classico caso di excusatio non petita. Mentre è del tutto franca e netta questa sua affermazione in un’intervista del 1980, la cui autenticità venne ribadita dallo stesso autore poco prima di morire: “Non sento di essere il prodotto del caso, un granello di polvere nell’universo, ma qualcuno che era aspettato, preparato, prefigurato. In breve, un essere che solo un Creatore potrebbe mettere qui. E questa idea di una mano creatrice si riferisce a Dio” (da Le Nouvel Observateur, marzo 1980). Affermazione che aveva scatenato lo scandalo dei suoi fedelissimi, in primis della sua compagna Simone de Beauvoir, che lo aveva tacciato di essere un voltagabbana (en passant, menzioniamo l'articolo "Dio nel teatro di Jean-Paul Sartre", uscito sulla rivista Teresianum nel 1965 e consultabile qui).

Tuttavia, se Sartre si sia alla fine realmente convertito, e quanto, è un problema che non possiamo sondare né storiograficamente né teologicamente: in finale rimane una questione fra lui e il Signore. Ma di certo sappiamo che quel Signore, come diceva la Vergine a Susanna nel dramma di Teresina, “non desidera la morte del peccatore, ma che egli si converta e viva in eterno. Questo bambino, che senza sforzo ha guarito vostro figlio dalla lebbra, lo guarirà un giorno da una lebbra ben più pericolosa. Allora un semplice bagno non basterà più: occorrerà che Dimas sia lavato nel sangue del Redentore. Gesù morirà per dare la vita a Dimas ed egli entrerà nel Regno Celeste nello stesso giorno del Figlio di Dio”.
E pochi versi prima, di fronte ad un Abramin pronto a dare la vita per il Messia Bambino proprio come il sartriano Bariona, la Vergine aveva esclamato: “Ah, meraviglia della misericordia di Dio, che si nasconde ai sapienti e ai saggi per rivelarsi ai piccoli, alle pecore erranti e agli infedeli!”

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Note:

1  E’ possibile leggere questa composizione di S. Teresina in Opere complete, Libreria Editrice Vaticana – OCD 2009, Pie ricreazioni 6. Testo audace e originale, incentrato sulla misericordia di Dio, benché non apprezzato dalla priora Madre Agnese per il tono troppo vivace dei canti e del linguaggio familiare dei briganti: ne tagliò persino il canto finale durante la rappresentazione.
In un dialogo fra Susanna e S. Giuseppe, Teresina mostra di non ignorare le inquietudini sociali del suo tempo: Susanna inizialmente suppone che il solo mezzo per sottrarsi alla miseria sia “rivoltarsi contro i ricchi”, ma S. Giuseppe, correggendola, le risponde che “la felicità non consiste nel possedere la ricchezza, bensì nel sottomettere umilmente la propria volontà a quella di Dio”, in piena linea col magistero sociale della Chiesa avviato proprio in quegli anni con l’enciclica Rerum novarum di Leone XIII. 
La Fuga in Egitto è anche oggetto della mostra “In principio era la misericordia” allestita presso la Basilica di S. Teresa di Verona Tombetta e visitabile dal 16 gennaio. 

2 Ci chiediamo se i curatori dell’opera di Sartre non abbiano notato l’etimologia del termine “Bariona”. Esso può essere inteso sia come “figlio di Yonah (Giona)” sia, presumibilmente, come “figlio di Yohannan (Giovanni)”: altrimenti non si spiegherebbe come mai l’apostolo Pietro  in Mt 16,17 è definito con la parola aramaica Bariona (“figlio di Giona”) mentre in Gv 1,42; 21,15.17 è chiamato, in greco, “figlio di Giovanni”. Ora, il padre di Sartre si chiamava Jean-Baptiste. Inoltre, potrebbe rimandare alla stessa persona di Jean-Paul Sartre l’altro epiteto di Bariona scelto per il titolo del dramma, “figlio del tuono”: così Gesù aveva soprannominato l’apostolo Giovanni.