Teresa cerca sceglie gli episodi dove Gesù è solo per offrirgli la sua compagnia con la certezza di essere gradita. Per lei ri-presentare significa richiamarsi le verità della fede sulla presenza del Signore, sul suo amore.
«Questo era il mio metodo di orazione. Non potendo discorrere con l’intelletto, procuravo di ri-presentarmi Gesù Cristo nel mio interno, specialmente in quei tratti della sua vita in cui lo vedevo più solo. Mi sembrava che, essendo solo ed afflitto, mi avrebbe accolta più facilmente, come persona bisognosa d’aiuto.
Mi trovavo molto bene con l’orazione dell’orto dove gli tenevo compagnia. Pensavo al sudore e all’afflizione che vi aveva sofferto, e desideravo di asciugargli quel sudore così penoso. Ma ripensando ai miei gravi peccati, ricordo che non ne avevo il coraggio. Me ne stavo con lui fino a quando i miei pensieri lo permettevano, perché mi disturbavano assai.
Fermarmi alquanto sull’orazione dell’orto era l’esercizio che praticavo, da vari anni (20 anni ndr.), quasi tutte le sere prima d’addormentarmi, quando mi raccomandavo a Dio, e ciò anche prima che divenissi monaca, perché mi avevano detto che si guadagnavano molte indulgenze. Sono convinta che con questo esercizio la mia anima si sia molto avvantaggiata, perché cominciavo a fare orazione senza neppur saper cosa fosse. Per l’abitudine che ne presi, vi rimasi così fedele, come a farmi il segno della croce prima di mettermi a letto». (Vita 9,3-4)
La conversione è l’incontro con la bellezza sfigurata del Cristo della passione. Offre la sua bellezza al vituperio per ridonare il bel volto all’uomo. La conversione è l’esperienza della presenza del Signore vivo e operante: vede una statua e sente pungente la sofferenza dei dolori per il suo peccato. L’incontro con il Cristo piagato è per lei una resurrezione.
«Entrando un giorno in oratorio, vidi una statua che vi era stata messa, in attesa di una solennità che si doveva celebrare in monastero, e per la quale era stata procurata. Raffigurava nostro Signore coperto di piaghe, tanto devota che nel vederla mi sentii tutta commuovere perché rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi: ebbi tal dolore al pensiero dell’ingratitudine con cui rispondevo a quelle piaghe, che parve mi si spezzasse il cuore. Mi gettai ai suoi piedi in un fiume di lacrime, supplicandolo di fortificarmi per non offenderlo mai più.
Ma prostrarmi innanzi alla statua che ho detto quest’ultima volta mi sembra che mi fu più utile, perché diffidavo molto di me e mettevo tutta la mia fiducia in Dio. E mi pare che gli dicessi che non mi sarei alzata dai suoi piedi, se non avesse concesso quello di cui lo pregavo. Certamente Egli mi deve avere ascoltata, perché da allora in poi mi andai molto migliorando» (Vita 9,1-3).
Inizio dell’esperienza mistica. Per Teresa significa esperienza mistica qualificata da Teresa come gratuita, perché Dio da questa grazia a chi vuole, come vuole e quando vuole.
«Mentre nel far orazione cercavo di mettermi ai piedi di Gesù Cristo… E talvolta nello stesso atto di leggere, mi sentivo invadere d’improvviso da un sentimento così vivo della divina presenza, da non poter in alcun modo dubitare che Dio stesse in me e io in Lui. Ciò non era a maniera di visione, ma credo in quel modo che chiamano mistica teologia» Vita 10,1 (cf. Relazione 54 e Quinte dimore,1,10).
Rivelazione di Cristo come luce: una sola di queste grazie basti per rinnovare un’anima, portandola ad amare il Signore che l’inonda di così grandi beni, le rivela i suoi segreti e la tratta con tali ineffabili testimonianze d’amore e d’amicizia.
«Nella festa del glorioso San Pietro, mentre ero in orazione, vidi, o per meglio dire sentii vicino a me Gesù Cristo. Dico così perché non vidi nulla, né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima. Ma compresi - così almeno mi parve - che chi mi parlava era Lui. Ignorando io che si potessero avere simili visioni, fui presa da grandissimo spavento. E da principio non facevo che piangere, benché poi bastasse a rassicurarmi una sola sua parola, che mi lasciava tranquilla e contenta come il solito, senza alcun timore. Mi pareva che Gesù Cristo mi camminasse sempre al fianco, ma non vedevo in che forma, perché non in visione immaginaria. Sentivo che mi stava al lato destro, testimone di tutto ciò che facevo. Se non ero molto distratta, non vi era istante che mi raccogliessi senza sentirmelo d’accanto.
Andai subito, tutta turbata, dal confessore per esporgli la cosa come stava. Egli mi domandò sotto che forma lo vedevo, ed io gli risposi che non lo vedevo. Mi chiese allora come sapevo che era Gesù Cristo. Gli dissi che non sapevo come, ma che non potevo dubitare che Egli mi fosse vicino perché lo sentivo, e vedevo chiaramente. […] Cercavo ogni sorta di paragoni per farmi capire, ma per questa specie di visioni non ne vien bene nessuno.
Dire che è come se uno fosse cieco o si trovasse così al buio da non vedere chi gli stia vicino, non è esatto. Vi è qualche somiglianza, ma non molta, perché detta persona si può sempre sentire con i sensi, sia toccandola che udendola parlare o muoversi. Ma qui nulla di tutto questo, e neppure si è al buio, perché Dio si manifesta all’anima in una luce molto più chiara del sole. Tuttavia non si vede né sole né chiarezza, perché è una luce che illumina l’intelletto senza farsi vedere, immerge l’anima nel godimento di un tanto bene, e porta con sé molti altri vantaggi.
Qui si vede chiaramente d’essere vicini a Gesù Cristo in persona, figlio della Vergine. Là, si è soltanto con qualche influenza della divinità, ma qui anche con la sacratissima Umanità, che ci vuole inondare dei suoi tesori. Mi chiese dunque il confessore chi mi avesse detto che quegli era Gesù Cristo, e io gli risposi: Lui stesso più volte. Però ne avevo nell’anima la certezza anche prima che me lo dicesse. Anzi, me l’aveva detto prima ancora che lo vedessi. Se io fossi cieca o al buio, e una persona che non avessi mai veduto né mai sentito nominare mi venisse a far visita e mi dicesse chi è, io lo crederei, ma non con la medesima certezza con cui affermerei che è essa se la vedessi. Ma qui sì, perché il Signore s’imprime nell’anima con una conoscenza così chiara che, pur senza averlo veduto, non è possibile dubitarne. Si scolpisce dentro l’intelletto, e se ne ha tale certezza più che se lo si vedesse con gli occhi, perché in questo caso si potrebbe sempre dubitare d’essere in inganno. Da principio tal dubbio può aversi anche qui. Ma poi l’anima ne esce così sicura che il dubbio non ha forza.
Qui l’anima non fa nulla, perché le vien tolto anche il poco che prima faceva con lo starsene in ascolto. Trova già tutto nello stomaco, ben preparato e mangiato, né altro ha da fare che di goderne. È come uno che senza aver imparato e studiato, né mai essersi affaticato per imparare a leggere, si trovi fornito di ogni scienza, senza sapere in che modi né da chi gli sia venuta, per non aver mai fatto nulla, neppure per apprendere l’abicì» (Vita 27,2-6.8-9).
Esperienza del primo incontro con il Signore.
«Un giorno, mentre ero in orazione, il Signore volle mostrarmi solo le sue mani di una grandissima bellezza che non so come descriverle. Rimasi molto turbata, come mi avviene sempre da principio quando in questi fatti soprannaturali vi sia qualche cosa di nuovo. Di lì a pochi giorni vidi il suo volto divino e ne rimasi completamente rapita (assorta). Non potevo intanto spiegarmi perché il Signore mi si mostrasse a poco a poco, dato che poi mi doveva dare la grazia di vederlo interamente. Ma intesi che così faceva per adattarsi alla mia naturale debolezza. Sia Egli per sempre benedetto!
Nella festa di San Paolo, mentre partecipavo alla Santa Messa, l’Umanità sacratissima di Gesù Cristo mi si rappresentò tutta intera, come lo si suole dipingere risuscitato, ma di una bellezza e maestà incomparabili, se a godimento della vista non vi fosse in cielo che l'eccelsa bellezza dei corpi gloriosi, se n'avrebbe sempre una beatitudine immensa, specialmente nel contemplare l'Umanità di nostro Signore Gesù Cristo.
Se è così sulla terra, dove quando Egli si mostra lo fa in proporzione della nostra naturale debolezza, che sarà nel cielo dove lo si godrà in tutto il suo splendore?
Il Signore si dette tanta premura da farmi questa grazia e di dimostrarmene la verità, che in breve il mio dubbio se era inganno sparì del tutto. Allora compresi la mia dabbenaggine, perché non avrei mai potuto né saputo immaginare uno spettacolo così bello neppure se mi fossi sforzata per molti anni, trattandosi di cosa che supera ogni umana immaginazione, anche solo per ciò che riguarda la bianchezza e lo splendore. («Oh hermosura que excedéis»).
5 - E’ una luce che non abbaglia, un candore pieno di soavità, un infuso splendore che dà un diletto grande alla vista e senza stancarla, come non la stanca la chiarezza con cui si vede quella sublime bellezza.
E’ come se da una parte si vedesse un’acqua limpidissima scorrere sopra un cristallo illuminato dal sole, e dall'altra un'acqua molto torbida volgere fra la polvere sotto un cielo nuvoloso» (Vita 28, 1-7).
Nell’esperienza mistica del vedere Gesù Cristo, Teresa cresce nell’amore e viene risanata nell’affettività e nelle amicizie.
«Nel vedere Gesù Cristo mi rimase impressa nell’anima la sua incomparabile bellezza che ancora oggi tengo presente. A ciò sarebbe bastato vederlo una sola volta: a maggior ragione dopo averlo visto tante volte, come il Signore ha voluto. E ne ebbi un grandissimo vantaggio che ora dirò.
Avevo un difetto gravissimo, da cui mi erano venuti molti mali. Quando mi accorgevo che una persona mi voleva bene e mi era simpatica, mi affezionavo ad essa sino ad averla sempre nella mente. Non già che volessi offendere Dio, ma mi compiacevo nel vederla, nel pensare a lei e alle buone qualità che possedeva. Ma dopo aver visto la grande bellezza del Signore, non vi fu più persona che al suo confronto mi apparisse così piacevole da occupare ancora il mio spirito. Per esserne del tutto libera, mi basta gettare lo sguardo sull’immagine che porto in me, e innanzi alla bellezza e alla perfezione del mio Signore, le cose di quaggiù non fanno che disgustarmi. Non vi è né scienza né diletto che si possa ancora stimare in paragone di una sola parola di quella bocca divina, meno poi se ne dicesse molte. Perciò ritengo impossibile che alcuno possa ancora occupare la mia memoria, a meno che, per i miei peccati, Dio non permetta che io Lo dimentichi: il più piccolo ricordo di Lui basterebbe per liberarla.
La visione di nostro Signore e la continua conversazione che avevo con Lui aumentarono di molto il mio amore e la mia fiducia. Comprendevo che se è Dio, è anche uomo e non si meraviglia della debolezza umana, ma sa pure che questa nostra misera natura va soggetta a molte cadute, causa il primo peccato che Egli è venuto a riparare.
Benché sia Signore, posso trattare con Lui come con un amico. Non è Egli come i signori della terra che ripongono tutta la loro grandezza in un esteriore apparato di autorità. Oh, Signor mio e mio Re, se si potesse dipingere la grandezza che in Te rifulge! E’ impossibile non riconoscere che sei la stessa Maestà! A guardarti si rimane pieni di stupore, soprattutto nel vederti così umile e così pieno di amore con una creatura come me. Passato quel primo senso di sgomento che nasce alla vista di tanta grandezza, si può trattare con Te e parlarti liberamente. E dopo si ha un altro timore assai più grande, quello di offenderti, ma non già per paura del castigo, non essendovi allora per l’anima altro maggior castigo che quello di perderti» (Vita 37,4-6).
La Santa è un testimone autorevole e attuale dell’Umanità di Cristo. Afferma pure la reale possibilità di un’amicizia con Cristo e della sua compagnia. Per piacere a Dio, meta della vita cristiana, si può confidare in Gesù Cristo. È lui la sorgente perenne e concreta di una reale comunione con la Trinità.
«Sono sempre stata molto devota di Cristo.
Tornavo sempre al mio costume di ricrearmi con questo dolce Signore, specialmente dopo la comunione. Non potendo averlo così scolpito nell’anima come desideravo, volevo aver sempre innanzi il suo ritratto e la sua immagine.
Nessuno vieta di far compagnia a Gesù risorto, giacché l’abbiamo così vicino nel SS. Sacramento, in cui si trova glorificato rifulgente di gloria e privo di dolori, stimolante gli uni, animante gli altri, e nostro compagno nel SS. Sacramento, per il quale ci permette di pensare che, in procinto di salire al cielo, non si sia sentito di allontanarsi da noi neppure di poco.
Tutto si può sopportare con un amico così buono, con un così valoroso capitano che per primo entrò nei patimenti. Egli aiuta e incoraggia, non viene mai meno, è un amico fedele. Per me, specialmente dopo quell’inganno, ho sempre riconosciuto e tuttora riconosco che non possiamo piacere a Dio, né Dio accorda le sue grazie se non per il tramite dell’Umanità sacratissima di Cristo, nel quale ha detto di compiacersi. Ne ho fatta molte volte l’esperienza, e me l’ha detto Lui stesso, per cui posso dire di aver veduto che per essere a parte dei segreti di Dio, bisogna passare per questa porta» (Vita 22, 4.6).
«Se è un'immagine, è un’immagine viva. Non è un morto che vedo, ma lo stesso Cristo vivente che si fa vedere come Uomo-Dio nel modo con cui è risorto, non già come stava nel sepolcro. Si manifesta alle volte con tanta maestà da non lasciare alcun dubbio che sia proprio il Signore, e ciò specialmente dopo la comunione, nella quale già sappiamo che così si trova, secondo gli insegnamenti della fede» (Vita 28,8-9).
Il peccato assomiglia alla tomba e chi lo commette vi entra, proprio come Lazzaro. Teresa si identifica con Maria, la sorella di Lazzaro, e prega perché l’uomo diventi vero amico di Dio.
«O Signore dell’anima mia, quanta fretta abbiamo nell’offenderti e quanta maggiore è la Tua a perdonarci. Qual è la causa di questo insensato ardire? Forse è per aver inteso la Tua grande misericordia e nell’esserci dimenticati quanto sia equa la Tua giustizia?
Oh, che grave cosa è il peccato se è bastato ad uccidere il Signore tra tanti dolori.
Cristiani, è ora di difendere il vostro Re e di tenergli compagnia nella sua grande solitudine perché sono molto pochi i vassalli rimasti… E il peggio è che si mostrano amici in pubblico, ma lo vendono nel segreto: quasi non trova nessuno di cui si possa fidare. O Amico sincero, come ti paga male chi ti tradisce! O veri cristiani, aiutate a piangere il vostro Dio, perché le lacrime di compassione da Lui versate non furono soltanto per Lazzaro, ma per tutti coloro che avrebbero rifiutato di risorgere nonostante il suo richiamo. Ah, mio Bene! risuscita questi morti. La tua voce sia così potente da ridar loro la vita anche se non la chiedono, onde abbandonino l’abisso dei loro piaceri.
Neppure Lazzaro ti chiese di essere risuscitato. Eppure Tu lo risuscitasti per le preghiere di una peccatrice. Eccone qui un’altra, mio Dio, e assai più colpevole. Fa’ dunque risplendere la tua misericordia: te lo domando, nonostante la mia grande miseria, per coloro che non te lo vogliono chiedere. Oh, durezza dei cuori umani! Li intenerisca la tua Infinita misericordia, o mio Dio!» (Esclamazioni, 10).
In questo testo l’esperienza della misericordia di Dio diventa preghiera. Teresa presenta al Signore il male per l’uomo: non volersi fidare di Dio.
«Abbi pietà Signore della tua creatura. Guarda che non capiamo noi stessi, non sappiamo ciò che desideriamo, né troviamo ciò che chiediamo. Signore dacci luce! Guarda che è più necessaria a noi che al cieco nato, il quale bramava di vedere la luce e non poteva, mentre qui, Signore, non vogliamo vedere. È qui, mio Dio, che deve manifestarsi il tuo potere, qui deve risplendere la tua misericordia!
O mio vero Dio, com’è difficile la mia domanda quando ti prego di amare chi non ti ama, di aprire a chi non bussa, di dare la salute a chi va in cerca di malanni e gode d’essere ammalato! Tu dici, Signor mio, che sei venuto a cercare i peccatori. Eccoli qui, Signore, i veri peccatori! Non guardare alla nostra cecità, ma al sangue prezioso sparso per noi dal tuo Figlio! Fa’ che fra tanta malizia risplenda la tua misericordia, e considerando che siamo tue creature, riversa su di noi la tua misericordiosa clemenza» (Esclamazioni 8, 2-3).