di F. Iacopo Iadarola ocd

meseta

Il Santo Padre Francesco ci ha donato una miliare omelia con cui commemorare la chiusura dell’anno teresiano indetto per il quinto centenario della nascita della Santa Madre: figura a lui molto cara, tanto da far apporre la sua effigie sulla medaglia coniata per il terzo anno di pontificato. Partendo dalle letture della messa celebrata in S. Marta il 15 ottobre (Rm 3,21-30; Lc 11,47-54), ricorrenza della santa di Avila, il Papa ha voluto evidenziare quella che presumibilmente è stata la grazia più grande ricevuta dalla santa, ancor più dei meravigliosi fenomeni ed esperienze mistiche che ella ha vissuto: “la grazia di capire gli orizzonti dell’amore”. 

Orizzonti che però, nella storia, hanno sempre corso il rischio di essere rimpiccioliti: “Una delle cose più difficili da capire, per tutti noi cristiani, è la gratuità della salvezza in Cristo”. Perché da sempre ci sono “dottori della legge” che ingannano restringendo l’amore di Dio in “piccoli orizzonti”, quando è invece qualcosa di “immenso, senza limiti”. Anche Teresa “è stata giudicata dai dottori dei suoi tempi. Non è andata in prigione, ma si è salvata per poco, e comunque è stata inviata in un altro convento e vigilata”. Del resto, ha fatto notare, “questa è una lotta che perdura nella storia, tutta la storia”. Rimandiamo alla lettura dell’omelia per ascoltare dalla viva voce del Papa la difesa della gratuità della salvezza apportata da Cristo di contro ai “controllori della salvezza” che, dai tempi di Gesù a Paolo, passando per i pelagiani ai giansenisti, fino alla fine della storia, non sanno resistere all’eterna e superba tentazione di vincolare la salvazione alla prestazione di predeterminate opere. Quel che faremo ora è una breve contestualizzazione di quanto affermato dal Papa su Teresa su tale questione, per far risaltare ancor meglio il fondamentale messaggio affidatoci da entrambi.

Teresa e l'Inquisizione

Anzitutto, qual è il “giudizio” a cui è stata sottoposta Teresa e di cui fa riferimento papa Francesco? Siamo nel 1575: Teresa è impegnata nella fondazione del monastero di Siviglia. Vi aveva bussato alla porta una donna quarantenne desiderosa di farsi monaca ma che, per palese inidoneità ai ritmi della vita monastica, ne era presto uscita, indignata, denunciando per ripicca ridicoli abusi all’Inquisizione, quali irregolarità nell’uso dei veli da parte delle monache. A queste denunce si uniscono gli scrupoli di un troppo zelante prete di Siviglia, cui sembrava inammissibile che le monache aprissero il loro animo a Teresa, sembrandogli che in tal modo la priora si arrogasse le prerogative di un prete e di un confessore. A ciò si aggiunga che, qualche tempo prima, era stata consegnata come sospetta nelle mani dell’Inquisizione l’autobiografia scritta dalla Santa: e anche in questo caso a monte di tutto c’era una donna indignata, la duchessa d’Eboli, dalle cui grinfie Teresa aveva sottratto le monache del monastero di Pastrana. Questa fondazione era stata richiesta dalla stessa duchessa, per cui s’era sentita autorizzata ad imporre le sue amiche come monache e a dettare condizioni che si sarebbero presto rivelate soffocanti per la libertà e la regolare vita di clausura. La cosa ovviamente non poteva durare, e Teresa fece evacuare il monastero: quale non fu lo sdegno della duchessa d’Eboli, che per tutta risposta si vendicò consegnando il prezioso manoscritto, che ancora non era stata pubblicato, agli inquisitori. L’esame del testo era approdato a un giudizio favorevole, com’era naturale che fosse, ma quando pervennero le false accuse di Siviglia l’Inquisizione si sentì in dovere di scendere in campo, ispezionando il monastero, interrogando tutte le monache e richiedendo a Teresa di redigere relazioni concernenti i suoi stati d’orazione. Anche in questo caso non si trovò nulla da eccepire, ma, come ha detto il Papa, veramente “si è salvata per poco” in quanto l’ambiente spirituale della Spagna del tempo pullulava di sedicenti mistici e carismatici indemoniati, con le eresie protestanti dietro l’angolo, per cui poteva risultare veramente difficile, anche per i più coscienziosi e competenti inquisitori, mantenere l’equilibrio in un clima surriscaldato di allerta generale. 

Inoltre, proprio in quegli stessi anni, sul ceppo dell’Ordine Carmelitano, grazie a S. Teresa e a S. Giovanni della Croce, stava fiorendo il nuovo ramo dei Carmelitani Scalzi. Questo non avvenne senza doglie, e la situazione fu notevolmente complicata dal fatto che a quel tempo la giurisdizione ecclesiastica non era univoca e si prestava a interferenze e sovrapposizioni con la giurisdizione civile. In particolare, sopra Teresa, c’erano due più che legittime autorità: da una parte il Re di Spagna Filippo II e il Nunzio pontificio (card. Ormaneto), favorevoli alla riforma teresiana, dall’altra il Generale dell’Ordine (P. Rubeo) e i suoi visitatori: anch’egli inizialmente favorevole alla Santa, ma successivamente maldisposto nei confronti di Teresa dai suoi informatori, al punto di emanare un provvedimento di “reclusione” per Teresa, nel dicembre del 1575. Le fu tuttavia concesso di scegliere in quale monastero “ritirarsi” (si optò per Toledo), ma da lì non si sarebbe più dovuta muovere. Sarebbe da leggersi l’accorata lettera con cui Teresa risponde al Padre Generale Rubeo circa questa condanna, con toni della più sincera e sottomessa umiltà, senza la minima ombra di protesta, e confrontarla con le parole con cui più tardi l’avrebbe bollata il nuovo Nunzio pontificio, il cardinal Sega: “donna inquieta, vagabonda, disobbediente e contumace, che, sotto pretesto di devozione, inventa dottrine erronee, va in giro fuori clausura contro le prescrizioni del concilio di Trento e dei superiori, pretende di insegnare come un dottore, mentre S. Paolo ha detto che le donne nella Chiesa se ne stiano in silenzio1. Ma anche il nunzio Sega era stata tendenziosamente informato sulla santa da maligni oppositori, e ben presto avrebbe cambiato idea: al punto di perorare la causa di Teresa presso il Re, chiedendo a quest’ultimo di dare parere favorevole presso la Sante Sede alla costituzione autonoma dei Carmelitani Scalzi, cui si giunse finalmente nel 1580, data a partire dalla quale le persecuzioni cesseranno del tutto.

Infine, un altro punto di criticità che si registrò fra Teresa e i miopi “dottori della legge” del suo tempo emerge nel capitolo 22 del Libro della mia vita, là dove Teresa prende risolutamente le distanze, ma sempre con umiltà e deferenza, da “quei libri che raccomandano insistentemente di tenersi lontani da ogni immagine corporea per affissarsi unicamente nella divinità. Dicono che per chi è arrivato a questo punto serve d'imbarazzo anche l'Umanità di Cristo, la quale sarebbe d'impedimento a una contemplazione più perfetta […] Siccome si tratta di una operazione di spirito, essi credono che non possa entrarvi alcuna immagine corporea senza esservi di disturbo e d'impedimento, per cui insegnano che bisogna considerarsi come sommersi in Dio e da Lui circondati in ogni parte. Qualche volta questo metodo può essere buono; ma abbandonare del tutto l'Umanità di Cristo e trattare il suo corpo divino alla stregua delle nostre miserie o di ogni altra creatura, no, no, non lo posso sopportare! - Piaccia a Sua Maestà che mi sappia far capire! Non voglio oppormi a quegli autori perché sono istruiti e spirituali, sanno quel che dicono, e molte sono le vie per le quali Dio conduce le anime. Voglio soltanto dire come ha condotto la mia e far vedere, senza curarmi del resto, i pericoli in cui mi sono trovata per aver voluto seguire quello che leggevo […] Ma se mi fossi attenuta ai loro precetti, credo che non sarei mai giunta dove ora mi trovo, perché essi mi sembrano in inganno” (V 22,1-2)2.

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Un Dio senza limiti

“Dove mi trovo” è il luogo focale dell’”umanesimo teresiano”, umanesimo che è tutto cristocentrico: di fronte al purismo teologico dei dotti che pretendevano di arrivare a Dio scavalcando tutto quello che sapesse di corporeità, compresa quella di Cristo, Teresa ha tenacemente difeso l’autentica dottrina cattolica, quale poi sarebbe stata ampiamente ribadita in un altro fondamentale capitolo 22: stavolta non del Libro della mia vita, ma della costituzione conciliare Gaudium et spes: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione […] Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. […] Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio «mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal 2,20)”.  

Teresa, nella sua opera, aveva magistralmente anticipato ciò secoli prima, in uno sguardo sapienziale che la sua viva esperienza di Dio le aveva abilitato, sguardo con cui aveva imparato a contemplare come la salvezza fosse arrivata a lei, mille volte indegna, non per il proprio impegno ascetico o per la propria bravura a fare la monaca, ma per le piaghe di un Uomo flagellato e legato a una colonna. Solo lì, di fronte ai patimenti dell’Uomo-Dio Gesù Cristo subiti per salvare Teresa de Cepeda y Ahumada, plasticamente raffigurati in una volgare statuetta barocca, sarebbe cominciata la sua conversione e la sua vera conoscenza di Dio. E’ da allora che “Teresa racconta semplicemente d’aver esperimentato un Dio “sempre più grande”: un Dio sorprendente all’infinito, libero da ogni misura perché non mette mai alcun limite al suo amore e non ammette mai che gli si pongano limiti o ostacoli. È un Deus semper maior per il quale perfino le debolezze e i peccati delle sue creature non sono obiezioni, ma una sfida in più che il suo Amore intende sempre vincere: “Dove più grande è la miseria, più risplendono i benefici delle vostre misericordie” (V 14,10). Così Teresa (che di grazie sa d’averne ricevute di “tan grandisimas”- V 14,11) insiste nel sottolineare le sue innumerevoli infedeltà (affinché “si veda chi siete voi, o mio Sposo, e chi sono io” - V 4,3) ma poi si vede sempre costretta a far risaltare il “sempre di più” della divina “grande magnificenza e misericordia” (V 4,10). E se parla perfino dei “miei delitti”, deve aggiungere: “Ma tu punivi i miei delitti a forza di immensi favori” (V 7,19), e dice che Dio giungeva fino a “indorare i suoi peccati” (“dora las culpas” - V 4,10) per non farli apparire. È un Dio che “non lascia mai nulla di intentato a favore di quelli che lo amano e, appena li vede pronti ad accoglierLo, Egli dona e si dona” (V 22,17). E questo perché Egli ama tanto dare: “Che cosa non ci darà uno che è così tanto amico di donare e può donare tutto ciò che vuole?” (5M 1,5), e lo vuole a costo di “fare tutto Lui”! Teresa sa che più volte sarebbe tornata indietro nel suo cammino, “se la misericordia del Signore non mi avesse sostenuta” (V 31,17). In realtà il testo spagnolo dice: “Si el Señor tan misericordiosamente no lo hiciera todo de su parte» – “Se il Signore non avesse fatto tutto Lui!” (V 31,17). Dio, insomma, “non vorrebbe far altro che donare” (PAD 6,1), e “non desidera altro che trovare anime alle quali poter donare, senza che le sue ricchezze debbano per questo diminuire” (6M 4,12). D’altronde, se è vero che “la grandezza di Dio non ha limiti”, ne segue infallibilmente che “non hanno limite neanche le sue opere” (7M 1,1)3.

Ma quanto è difficile comprendere ciò, questa scandalosa gratuità della salvezza. Sono insorti e insorgeranno sempre, prorompe Francesco, i gruppi di coloro che dicono: «No, si salva soltanto quella persona, quell’uomo, quella donna che fa questo, questo, questo, questo, questo... che fa queste opere, che compie questi comandamenti». E così l’accento non è più sulle opere illimitate di Dio, che non tralascia nulla pur di salvarci, ma sulle nostre piccole piccole opere con cui pretendiamo di cartografare la salvezza: è la “lotta per il controllo della salvezza”, eterno retaggio che ci portiamo dentro, istinto idolatrico che è connaturato in noi dalla ferita antica del peccato originale, quando si pretese di sapere meglio di Dio cosa fosse il bene e il male per noi. E si perde così lo stupore e la grata commozione di un Dio che ha già fatto tutto per noi, e verso il quale bisogna solo correre innamorati.

Quale grazia e quali opere

Ma lasciamoci travolgere ancora da una colata di citazione teresiane:

“Vedendo quanto grande sia la sua misericordia nel manifestarsi e nel comunicarsi con vermi come noi, dimentichiamo le nostre piccole soddisfazioni terrene e corriamo, infiammate dal suo amore, occupate soltanto della sua grandezza” (5M 4,10).

“Dio ama che non si pongano limiti alle sue opere” (1M 1,4).

“Non bisogna mettere limiti a Dio” dato che “Egli può fare tutto ciò che vuole per noi e desidera fare molto di più” (6M 11,1).

“Egli non si stanca mai di donare, né le sue misericordie possono esaurirsi: non stanchiamoci noi di riceverle” (V 19,15).

“Oh Signore, come sono sproporzionati i nostri desideri alle vostre meraviglie! In che miseria finiremmo se voi proporzionaste i vostri doni alle nostre domande!” (PAD 5,6).

“Ho sempre avuto da Voi, o Signore, testimonianze d’amore superiori di molto a quanto ho saputo chiedere e desiderare” (E 5,2).

“Se all’anima sembra che non vi sia più nulla da desiderare, al nostro Divino Re resta ancora molto da dare […] Il Signore non si contenta di proporzionare i suoi doni ai nostri modesti desideri” (PAD 6,1).

“Non si devono mettere limiti a un Dio così grande e che desidera tanto offrirci la grazia” (PAD 6,13).

“Han forse un limite le vostre grandezze o le vostre opere magnifiche? O Dio mio, o misericordia mia! ... Questo è il momento di far vedere se la mia povera anima s’inganna quando, pensando al tempo perduto, afferma che in un istante Voi potete farglielo recuperare» (E 4,1).

Quest’ultima citazione ci instrada verso l’obiezione che a questo punto sorge ineluttabile nell’eterno dottore della legge: “Ma allora non c’è ascesi? Ma allora me ne sto sul divano comodamente seduto ad aspettare la salvezza?”. Francesco se la pone esplicitamente nella sua omelia: “Ma padre, non ci sono i comandamenti?” e così si risponde: “Sì, ci sono! Ma ce n’è uno, che Gesù dice che è proprio come la sintesi di tutti i comandamenti: amare Dio e amare il prossimo”. Proprio grazie a “questo atteggiamento di amore, noi siamo all’altezza della gratuità della salvezza, perché l’amore è gratuito”. Anche qui, nessuno mai come Teresa potrebbe dimostrare con la propria vita massacrante4 e con la propria inflessibile dottrina come l’abbandono fiducioso all’infinita misericordia di Dio, lungi dal farci ricadere in un quietismo inoperoso, sappia produrre opere e opere: “Sarà bene, sorelle, che vi dica il motivo per cui Dio fa quaggiù tante grazie […] affinché nessuna cada nel grave errore di pensare che sia soltanto per vezzeggiare le anime […] Questo è il fine dell’orazione, figliole mie, a questo tende il matrimonio spirituale, a produrre opere e opere […] Sapete voi che cosa significhi essere veramente spirituali? Vuol dire essere gli schiavi di Dio, tali che – segnati col ferro della Croce – Egli vi possa vendere come schiavi di tutto il mondo, come è stato per Lui” (7M 4,4.6.8). Alla chiusura di questo anno teresiano, cominciato lo scorso marzo e conclusosi or ora, si dischiudono grazie alle parole del Papa gli infiniti orizzonti dell’Amore: questi abbracciano tutto il mondo e – ci ricorda Teresa – se non possiamo pretendere di comprare la nostra salvezza, possiamo in compenso esser venduti per la salvezza di tutti.

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Note:

[1] Cf. Efrén de la Madre de Dios, Obras completas de la Santa Teresa de Jesùs, B. A. C., Madrid, t. III, p. 472, nota 3. Anche su come interpretare il passo citato di S. Paolo (1Tm 2,11s.) Teresa dovette scontrarsi coi “dottori della legge”: “Alcuni giorni dopo quello che ho detto, mentre pensavo se non avessero ragione di vedermi di malocchio uscire di clausura per fondare monasteri, e se non fosse meglio darmi con maggior impegno all'orazione, intesi queste parole: «Finché si è sulla terra, il profitto non sta nel procurare di maggiormente godermi, ma di fare la mia volontà». Mi era parso che per me la volontà di Dio fosse quello che dice S. Paolo circa il ritiro in cui devono vivere le donne, come mi era stato detto poco prima e io stessa avevo altre volte udito. Ma Egli mi disse: «Fa loro sapere che bisogna guardare la Scrittura non in una parte sola, ma in tutto il suo insieme. O che forse mi potranno legare le mani?»” (Favori celesti 19).

[2] Nel resto dell’articolo ci serviremo di queste abbreviazioni per indicare le opere di Teresa: C = Cammino di perfezione, E = Esclamazioni dell’anima a Dio, M = Castello interiore o Mansioni, PAD = Pensieri sull’amore di Dio, V = Libro della mia vita. Tutte pubblicate in Teresa di Gesù, Opere, edizioni OCD, Roma 2014.

[3] P. Antonio Maria Sicari ocd, La contemplazione ecclesiale di S. Teresa d’Avila, pubblicata negli Atti del IX Simposio della Facoltà di Teologia, a cura di Laurent Touze, La contemplazione cristiana: esperienza e dottrina LEV, Pontificia Università della Santa Croce Roma, 10-11 marzo 2005, Città del Vaticano, 2007, 127-149.

[4] Non si pensi che Teresa abbia trascurato nella sua dottrina l'impegno ascetico. Fra i numerosissimi passi che potremmo addurre citiamo questo: "Dice la nostra Regola primitiva che dobbiamo sempre pregare. Quest'obbligo è il più importante di tutti, e, osservandolo nel nostro meglio, osserveremo pure i digiuni, le discipline e il silenzio che l'Ordine comanda. Sapete bene, infatti, che l'orazione, per essere vera, deve accordarsi a queste pratiche, perché orazione e trattamento delicato non vanno d'accordo" (C 4, 2).