di P. Ermanno Barucco ocd
All’interno della Basilica di santa Teresa a Lisieux, nell’arco trionfale sopra la grande figura di Dio Padre, è raffigurato lo Spirito Santo come un’enorme colomba all’interno di un rombo scuro ma con raggi di luce che si irradiano in tutte le direzioni. Poiché nell’arco Trionfale c’è il Padre e sopra lo Spirito Santo, è logico quindi trovare il Figlio Gesù nella volta alta dell’abside, affiancato da Maria vergine e da Teresa.
Nella cupola della Cappella della Basilica di Santa Teresa a Verona, lo Spirito Santo in forma di colomba è irraggiante all’interno in un grande sole, non solo perché questo sole è disegnato, ma anche perché trattandosi di una vetrata a forma di rombo con otto spicchi, i raggi del sole, quello vero, attraversano l’immagine dello Spirito colomba e raggiungono i fedeli presenti nella Cappella e nella chiesa (a seconda delle ore del giorno e dell’inclinazione stagionale del sole). Occorre dire che il tema della colomba nella Cappella si moltiplica immediatamente. Dapprima nei mosaici situati negli spicchi in muratura della cupola, a fianco della vetrata dello Spirito Santo, che diventa così fonte delle virtù perché tutte le colombe discendono verso gli angeli che rappresentano le virtù con i loro simboli e atteggiamenti specifici. Poi perché una colomba dello Spirito irraggiante (in bronzo) scende sull’urna dove giace la statua di Teresa “che spira d’amore” (e sopra ai quattro angoli dell’urna ci sono altre 4 colombe). Infine troviamo ancora altre 4 colombe in cerchi scuri, ai quattro angoli della grande croce disegnata sul pavimento. L’opera dello Spirito è rappresentata non solo come colomba che scende irraggiando luce dall’alto, ma anche nella discesa di innumerevoli altre colombe (virtù, doni dello Spirito, frutti dello Spirito, ispirazioni e mozioni dello Spirito) che come hanno raggiunto Teresa raggiungono ancora i fedeli cristiani che la invocano per affidarsi a Dio e a Gesù.
La cosa strana è che tra i temi tipici di Teresa nei suoi scritti, probabilmente nemmeno a chi li conosce bene, viene subito in mente lo Spirito Santo come uno dei suoi preferiti. Anzi, si è in difficoltà a ricordare o formulare il modo con cui Teresa percepisca la terza persona della santissima Trinità. Ella è “ferrata” su Gesù, il Figlio, e sul Padre, ma che ne è dello Spirito santo in particolare e della sua missione specifica? Forse è la nostra ignoranza da colmare, e bisogna scoprire quanto per Teresa sia importante lo Spirito Santo, non solo a livello della fede, sia come persona delle Trinità sia come colui che opera in Maria l’Incarnazione del Verbo, ma anche a livello dell’esperienza del Padre e del Figlio che agiscono in noi grazie al loro unico Spirito.
La Cresima: la “visita dello Spirito santo”
Teresa fa la prima comunione a 11 anni, l’8 maggio 1884, presso il Collegio delle Benedettine dove frequentava la scuola, come si usava all’epoca. Ella racconta anche la grazia della seconda comunione avvenuta insieme alla sua famiglia il 22 maggio, giorno dell’Ascensione. Poco dopo, il 14 giugno, vigilia della festa del Corpus Domini, riceve la Cresima. Ecco le sue parole: «Poco tempo dopo la mia prima Comunione, entrai di nuovo in ritiro per la Cresima. Mi ero preparata con grande cura a ricevere la visita dello Spirito Santo, non capivo perché non si desse grande importanza a ricevere questo sacramento d’Amore. Di solito si faceva soltanto un giorno di ritiro per la Cresima, ma poiché Monsignore non era potuto venire nel giorno stabilito, ebbi la consolazione di avere due giorni di solitudine. Per distrarci la nostra maestra ci portò a Monte Cassino [luogo nel giardino del Collegio] e là raccolsi a piene mani grandi margherite [grandes pâquerettes] per il Corpus Domini» (Ms A, 36v°).
Notiamo che Teresa contesta la poca importanza che si dava al sacramento della Cresima e che si traduceva in una scarsa preparazione. Come gli Apostoli (At 1), Teresa aveva atteso “gioiosa” la venuta dello Spirito e si era preparata con cura e come aveva chiamato le comunioni ricevute in precedenza, la prima e la seconda “visita di Gesù”, così ora parla della “visita dello Spirito Santo”, indicando la percezione dei sacramenti come un avvicinarsi di Dio a noi, un “accogliere” Dio che è venuto a visitarci a casa nostra. Inoltre attraverso il sacramento della Cresima, Teresa comincia già a definire il legame tra lo Spirito e l’Amore che la caratterizza sempre più, e forse è il motivo per cui ritiene importante questo “sacramento d’Amore” rispetto alla mentalità ecclesiale di quei tempi.
Nel seguito del racconto del giorno della sua Cresima, Teresa ripete più volte e con più vocaboli la “gioia” che ha vissuto e la “forza” di soffrire che ha ricevuto, che sono rispettivamente un “frutto” e un “dono” dello Spirito, quelli che Teresa sentirà i più significativi nell’esperienza che lo Spirito le dona (rispettivamente ripresi nelle Lettere 260 e 50). Teresa cita due episodi biblici: la Pentecoste con il suo vento impetuoso (At 2) che già nell’episodio del profeta Elia sull’Oreb era contrapposto alla brezza leggera percepita come un mormorio (1 Re 19,12-13). Teresa percepisce che l’esperienza dello Spirito nella sua vita (vedi anche Lettera 165), come il giorno della Cresima, non sarà evidente all’esterno come vento impetuoso ma come una brezza leggera quasi tutta interiore.
Anche il giorno della Cresima Teresa riceve la comunione, questa volta insieme alla sua madrina che è sua sorella Leonia. È questa “prima” comunione dopo la cresima a compiere l’iniziazione cristiana, a rendere Teresa “perfetta cristiana” come lei stessa afferma descrivendo con una attenzione particolare il rito del sacramento: «Ricevere la visita dello Spirito Santo… sacramento d’Amore… Mi rallegravo all’idea di essere presto perfetta cristiana e soprattutto di avere eternamente sulla fronte la croce misteriosa che il Vescovo segna imponendo il sacramento» (Ms A, 36v°). Manca solo il riferimento all’olio santo del Crisma, ma quello che Teresa descrive impiegando quasi le medesime parole, come stesse esponendo una mistagogia, è proprio il “sigillo” indelebile che imprime la grazia invisibile del sacramento della cresima attraverso il rito visibile: il Vescovo “impone” la mano sulla testa del battezzato e con il pollice, unto col santo olio del Crisma, traccia due segni a forma di croce sulla fronte di questi per cresimarlo dicendo: “Accipe signaculum doni Spiritus Sancti”, “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono”. Ecco perché come “effetto” di grazia Teresa sente di ricevere «la forza di soffrire» quel «martirio» che sarà la lunga malattia psico-fisica degli scrupoli fino ai 14 anni.
Lo Spirito d’Amore
Quello che era iniziato come legame lontano parlando della cresima come sacramento d’Amore nel quale si riceve la visita dello Spirito Santo, diventa un legame così stretto che Teresa parlerà spesso di «Spirito d’Amore». Nel Prologo del Manoscritto B, Teresa parla della scienza dell’Amore poiché «non c’è che l’amore che possa renderci graditi al Buon Dio, che questo amore è l’unico bene che bramo. Gesù si compiace di mostrarmi l’unico cammino che porta a questa fornace Divina: questo cammino è l’abbandono del bambino che si addormenta senza timore tra le braccia di suo Padre...». E allora Teresa inanella una serie di citazioni dell’Antico Testamento che descrivono questo bambino abbandonato nella braccia di Dio e Teresa si premura di dire che sono parole ispirate dallo Spirito e che questi ha parlato per mezzo dei saggi o dei profeti citati: «“Se qualcuno è piccolissimo venga a me” [Prv 9,4], ha detto lo Spirito Santo per bocca di Salomone e questo medesimo Spirito d’Amore ha detto anche che “Ai piccoli è concessa la misericordia” [Sap 6,6]. In nome suo, il profeta Isaia ci rivela che nell’ultimo giorno “Il Signore condurrà il suo gregge al pascolo, radunerà gli agnellini e se li stringerà al seno” [Is 40,11]; e come se tutte queste promesse non bastassero, lo stesso profeta il cui sguardo ispirato si immergeva già nelle profondità eterne esclama in nome del Signore: “Come una madre accarezza il figlio, così io vi consolerò, vi porterò in braccio e vi accarezzerò sulle mie ginocchia” [Is 66,13.12]. …dopo un simile linguaggio, non c’è altro che tacere, e piangere di riconoscenza e di amore» (Mc B,1r°-v°).
All’inizio del Manoscritto C, Teresa dice che obbedendo alla priora scrive, seguendo «la mozione dello Spirito», ciò che Gesù le fa sentire, e lo fa dicendo: «tutto è bene, quando non si cerca altro che la volontà di Gesù, è per questo che io povero fiorellino obbedisco a Gesù cercando di far piacere alla mia Madre amata» (Ms C,2v°). Riallacciandosi dunque alla sua storia come quella di “piccolo fiore bianco” che ha ricevuto le premure di Gesù, poco dopo Teresa afferma che sta cercando «una piccola via, bella dritta, molto corta, una piccola via tutta nuova», la quale è addirittura un ascensore, citando di nuovo i soliti testi (Prv 9,4 e Is 66,13.12): l’ascensore sono le braccia di Gesù che sollevano lei piccola bambina, che vuole restare tale e diventarlo sempre di più.
Lo Spirito d’Amore ha “ispirato” le Sacre Scritture, ma in particolare Teresa vede questa ispirazione nei testi nei quali ella vede svelata, già nell’Antico Testamento, l’infanzia spirituale che lei sta vivendo e raccontando “mossa” dallo stesso Spirito che le indica la piccola via, che non è altro che il cammino che porta alla fornace divina d’Amore della Trinità per ricevere l’Amore per amare Dio e il prossimo, quella carità divina “scoperta” nella sua essenza e manifestata nel suo agire nel Manoscritto C. Tanto che ogni ispirazione dello Spirito donato a Teresa è per tutti e di tutti: «Gesù mi ha fatto la grazia di non essere attaccata ai beni dello spirito e del cuore più che a quelli della terra. Se mi capita di pensare o di dire una cosa che piace alle sorelle, trovo del tutto naturale che se ne impadroniscano come di un bene loro. Quel pensiero appartiene allo Spirito Santo e non a me poiché San Paolo dice che senza questo Spirito d’Amore non possiamo nemmeno dire “Padre” [Rm 8,15; Gal 4,6] al nostro Padre che è nei Cieli. Quindi è ben libero di servirsi di me per dare un buon pensiero ad un’anima; se credessi che quel pensiero mi appartiene sarei come “L’asino che portava le reliquie” il quale credeva che gli omaggi resi ai Santi fossero rivolti a lui» (Ms C,19r°-v°).
Se è lo Spirito del Figlio che grida in noi “Padre”, si capisce perché Teresa arriverà ad “attribuirsi” la preghiera stessa di Gesù in Gv 17. Proprio commentando questa preghiera, Teresa associa alcune espressioni rivolte alle sue sorelline (novizie) e altre rivolte ai suoi fratellini (missionari con i quali aveva una corrispondenza), in quanto questa preghiera di Gesù è diventata sua perché il Padre l’ha “attirata a Gesù” (Gv 6,44), perché chiede al Padre “nel nome di Gesù” (Gv 16,23), cioè in Gesù stesso che prega, perché è «certo è per questo che lo Spirito Santo, prima della nascita di Gesù, dettò questa preghiera profetica: “Attirami, noi correremo” (Ct 1,4)». A questo punto ispirata dalle pagine di san Giovanni della Croce sulla “Fiamma d’amor viva”, una poesia-preghiera dedicata allo Spirito Santo, Teresa dichiara: «chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo amore, di unirmi così strettamente a Lui, in modo che Egli viva ed agisca in me. Sento che quanto più il fuoco dell’amore infiammerà il mio cuore, quanto più dirò: “Attirami”, tanto più le anime che si avvicineranno a me (povero piccolo rottame di ferro inutile, se mi allontanassi dal braciere divino), “correranno” rapidamente all’effluvio dei profumi del loro Amato, perché un’anima infiammata di amore non può restare inattiva» (Ms C, 36r°).
Teresa sente che dal Cielo continuerà a compiere la sua missione, come scrive ad uno dei due “fratelli” missionari: «Prego anche per tutte le anime che le saranno affidate e soprattutto supplico Gesù di arricchire la sua di tutte le virtù e, particolarmente, del suo amore. Lei mi dice che anch’ella prega molto spesso per la sua sorella. Poiché ha questa carità, sarei molto felice se, ogni giorno, consentisse di fare per lei questa preghiera, che racchiude tutti i suoi desideri: “Padre misericordioso, nel nome del nostro Dolce Gesù, della Vergine Maria e dei Santi, vi chiedo di infiammare questa mia sorella del vostro Spirito d’Amore e di accordarle la grazia di farvi amare molto”. Mi ha promesso di pregare per me per tutta la sua vita… Se il Signore mi prende presto con Sè, le chiedo di continuare ogni giorno la stessa breve preghiera, perché in Cielo desidererò la stessa cosa che in terra: amare Gesù e farlo amare» (LT 220 a Maurizio Bellière, 24 febbraio 1897).
Nella logica di Teresa ormai Spirito, Amore e Fiamma-fuoco sono la stessa cosa, quando parla di uno sottintende anche gli altri: «Lo Spirito d’Amor tutta m’infiamma. / È amando Te [Gesù] che io attiro il Padre», scrive infatti nella poesia “Viver d’Amore!...” (P 17,2,4-5). Teresa nelle Poesie richiama lo Spirito insieme al Padre e al Figlio, è piuttosto attenta alla Trinità, ma chiama sempre la terza persona “Spirito d’Amore”, ancora nella sua ultima composizione poetica “Perché t’amo Maria” dice alla Vergine, ricordandole la sua umiltà al momento dell’Annunciazione: «nel tuo cuore attiri la Trinità. /Ecco, t’adombra lo Spirito d’Amore / e il Figlio uguale al Padre s’incarna in te» (P 54,4,4-6).
Pentecoste
Due avvenimenti significativi della vita di Teresa sono legati al giorno di Pentecoste, che è il dono dello Spirito Santo agli apostoli in vista della missione. Il primo accade il 13 maggio 1883, quando bambina comincia a sentirsi liberata dalle sofferenze della malattia psicofisica che l’affliggeva grazie all’«incantevole sorriso della Madonna» (Ms A, 30r°). Il secondo data domenica 29 maggio 1887, quando Teresa chiede al papà di poter entrare al Carmelo, scelto appositamente: «Tuttavia dovevo decidermi, avevo quasi quattordici anni e mezzo, sei mesi soltanto ci separavano ancora dalla bella notte di Natale in cui avevo deciso di entrare, nell’ora stessa in cui l’anno precedente avevo ricevuto la “mia grazia”. Per fare la mia grande confidenza scelsi il giorno della Pentecoste: tutto il giorno supplicai i Santi Apostoli di pregare per me, di ispirarmi le parole che dovevo dire... Non erano forse loro infatti che dovevano aiutare la bambina timida che Dio destinava a diventare l’apostola degli apostoli con la preghiera e il sacrificio?... Fu solo il pomeriggio di ritorno dai vespri che trovai l’occasione di parlare al mio Papà diletto» (Ms a, 50r°). Quel giorno Teresa ricevette dal papà il piccolo fiore bianco, colto anche con le sue radici, simbolo della sua esistenza: accudita dalle cure amorevoli di Gesù e cresciuta nella terra santa della sua famiglia, sta per essere trapiantata sulla montagna del Carmelo per vivere la sua missione “apostolica”. Sugli Apostoli a Pentecoste erano infatti discese “lingue come di fuoco”, rappresentate dagli artisti di tutti i secoli come fiammelle, simbolo anche di tutte le lingue parlate dagli uomini nelle quali gli apostoli annunceranno le opere di Dio nella loro missione al mondo intero. Ecco perché Teresa sente di dover svolgere la sua missione in terra e in cielo sempre infiammata dallo Spirito d’Amore.
È interessante notare ora, con sguardo rinnovato da questo percorso, che sia a Lisieux sia a Verona i raggi di luce che si irradiano dalla colomba dello Spirito Santo sono piuttosto color giallo-rosso fuoco a forma di fiamme, raggi di sole luminosi perché infuocati da quell’«amor che move il sole e l’altre stelle» (Dante).
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