Innanzitutto, quali sono i termini della questione? I doni gerarchici, propri del sacramento dell’Ordine - cioè dei diaconi, presbiteri, vescovi - sono dati affinché nella Chiesa sia garantita ad ogni fedele l’offerta oggettiva della grazia nei Sacramenti, l’annuncio normativo della Parola di Dio e la cura pastorale.

I doni carismatici, invece, "sono distribuiti liberamente dallo Spirito Santo affinché la grazia sacramentale porti frutto nella vita cristiana in modo diversificato e a tutti i suoi livelli. Essendo questi carismi soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, attraverso la loro multiforme ricchezza il Popolo di Dio può vivere in pienezza la missione evangelizzatrice, scrutando i segni dei tempi ed interpretandoli alla luce del Vangelo" (n° 15). 

Ora, argomenta il documento, nei secoli passati si è corso talvolta il rischio di porre in contrapposizione o giustapposizione questi doni, pensando ad esempio che i primi potessero fare a meno dell'apporto dei secondi, o che i secondi non avessero bisogno della legittimazione dei primi. Di contro a questa opposizione dialettica, la lettera rileva con forza la convergenza del recente magistero, dal Concilio Vaticano II a S. Giovanni Paolo II a papa Benedetto XVI e papa Francesco, nel ritenere tali doni "coessenziali": tanto quanto sono coessenziali Il Cristo e lo Spirito Santo, le cui missioni nella storia della Salvezza non sono in competizione, ma in armonica sinergia come le "due mani del Padre", secondo la poetica espressione di S. Ireneo di Lione.

Sia i doni carismatici sia i doni gerarchici sono entrambi, infatti, doni del medesimo e unico Spirito Santo che, come afferma meravigliosamente la costituzione conciliare Lumen Gentium nel suo primo capitolo, "introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cfr. Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22)". E se i primi sono di per sé stabili, permanenti e irrevocabili, i secondi possono cambiare nelle loro forme storiche, ma la dimensione carismatica che intessono "non può mai mancare alla vita e alla missione della Chiesa" (n° 13). Pertanto essi sono sempre da accogliersi, oltre che con "vigilante paternità", con "gioia, gratitudine, generosità" (n° 8). 

Esemplificando

Esempi? La vita consacrata è indicata nel documento, più volte, come esempio paradigmatico di questa dimensione carismatica, ma anche lo stesso celibato dei sacerdoti (quindi in ambito gerarchico) è da ritenersi un prezioso dono carismatico della gerarchia del rito romano. Ma, soprattutto, è sui movimenti ecclesiali che il documento si sofferma, descritti come ultimo e imprevisto dono carismatico offerto dallo Spirito alla Chiesa: essi sono, secondo le parole di S. Giovanni Paolo II, "risposta provvidenziale" suscitata dallo Spirito Santo alla necessità di comunicare in modo persuasivo il Vangelo in tutto il mondo, considerando i grandi processi di cambiamento in atto a livello planetario, segnati spesso da una cultura fortemente secolarizzata (n°2). 

In particolare, i doni carismatici manifestatisi nei movimenti hanno dato grande slancio missionario alla Chiesa e l'hanno fatta arrivare là dove nessuna programmazione pastorale, a partire dall'organizzazione gerarchica, avrebbe immaginato - dando "significativa testimonianza di come la Chiesa non cresca «per proselitismo ma per attrazione»", chiosa il documento citando insieme Francesco e Benedetto XVI (n°2, nota 8). Ma ora per questi movimenti è giunta una fase di "maturazione ecclesiale" che richiede una loro sempre più organica sedimentazione nelle strutture giuridiche tradizionali della Chiesa, pur senza far loro perdere il diritto alla propria originalità carismatica. E' il caso, ad esempio, dell'integrazione nelle parrocchie e nelle diocesi, in obbedienza collaborativa ai Vescovi locali. E il documento offre preziose indicazioni a questo riguardo, frutto di una più che decennale meditazione.

Il caso del Carmelo

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Ponendo nella stessa categoria della "dimensione carismatica" tanto gli ordini religiosi quanto i movimenti ecclesiali il documento offre una precisa lettura della storia della Chiesa. Si starebbe oggi ripetendo, in sintesi, ciò che avvenne nella Chiesa nel XII secolo con la nascita degli ordini mendicanti, il cui sorgere nella Chiesa fu altrettanto dirompente degli attuali movimenti ecclesiali odierni. Era impensabile allora, se non ritenuto addirittura "ereticale", contemplare dei religiosi che fossero anche solo in parte svincolati all'autorità del Vescovo diocesano. Fu solo grazie all'avallo del Papato, che da subito li sostenne e li incoraggiò, se tali ordini poterono affermarsi in occidente, con grandi frutti di santità e missionarietà, rimanendo invece assenti nelle Chiese ortodosse. In effetti, come afferma il documento, il ruolo del Papa, "principio visibile e fondamento dell'unità della Chiesa", è indispensabile per il delicatissimo equilibrio fra doni gerarchici e carismatici, tanto che la comunione "affettiva ed effettiva" col Sommo Pontefice viene indicata come uno dei punti principali per discernere la bontà dei nuovi carismi che potrebbero sorgere nella Chiesa (n° 21).

Guardando indietro alla nostra storia, troviamo conferma nella vicenda dei nostri santi padri, i primi eremiti del Monte Carmelo, sorti nella maniera più carismatica che si possa immaginare, al punto da riconoscersi diretti discendenti del profeta Elia. Giunti in Europa nella prima metà del XIII secolo, dovettero scontrarsi con una fiera opposizione del clero locale e dei Vescovi, finché il loro "diritto ad esistere" - intercedendo la Vergine - venne giuridicamente confermato da numerosi provvedimenti pontifici culminanti nell'esenzione dalla giurisdizione episcopale concessa da papa Giovanni XXII, nel 1317. In seguito, una nuova ondata carismatica sarebbe stata suscitata da S. Teresa d'Avila e da S. Giovanni della Croce, generando anche in questo caso fiere opposizioni in seno ed esternamente all'Ordine, le quali si sarebbero sedate soltanto dopo che Papa Sisto V avrebbe autorizzato nel 1587 l'erezione di una provincia autonoma per i carmelitani riformati, da cui successivamente sarebbe nato il nostro Ordine dei Carmelitani scalzi.
Santa audacia e libertà nel seguire il carisma donato dallo Spirito, filiale e tenace obbedienza alla Chiesa: questo è lo stile del Carmelo nella sua perfetta armonizzazione di doni carismatici e gerarchici. 

E a questo riguardo non è certamente un caso se come quarto relatore della conferenza stampa, dopo i prestigiosi nomi del Card. Müller (prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede), del Card. Ouellet (prefetto della Congregazione per i Vescovi) e del teologo Piero Coda (membro del Centro Studi del Movimento dei Focolari), sia stata scelta la Prof.ssa María del Carmen Aparicio Valls, Docente alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana e membro dell’Istituzione Teresiana. Tale associazione privata di fedeli, fondata nel 1911 da un santo presbitero diocesano, S. Pedro Poveda, è animata da "una spiritualità che guarda a Santa Teresa, donna totalmente umana perché piena di Dio, come modello". E' una puntuale esemplificazione della fecondità nella Chiesa dei doni carismatici dei singoli santi, come descritta nel n° 16 del documento, doni che "nella loro pratica possono generare affinità, prossimità e parentele spirituali attraverso le quali il patrimonio carismatico, a partire dalla persona del fondatore, viene partecipato ed approfondito, dando vita a vere e proprie famiglie spirituali".

E il Carmelo è precisamente una di queste famiglie spirituali, irradiando del suo splendido carisma, oltre all'Ordine dei frati e delle monache, un Ordine di secolari e decine e decine di congregazioni religiose, aggregazioni laicali e finanche movimenti ecclesiali (come il Movimento Ecclesiale Carmelitano, fondato da un padre della nostra Provincia veneta nel 1993). 

In conclusione

Vorremmo concludere citando le parole dell'intervento del Card. Ouellet: "L’ecclesiologia del Concilio Vaticano II ha riconosciuto alla pari i doni gerarchici e carismatici nella Chiesa, aprendo così una stagione missionaria nuova, fondata sulla testimonianza di comunione e sull’apertura al dialogo ecumenico e interreligioso. Nonostante le tensioni inerenti a questa nuova integrazione, i frutti sono di gran lunga superiori alle difficoltà; tra di essi spicca il riconoscimento irreversibile della rilevanza ecclesiale dei carismi e, di conseguenza, la promozione di nuovi rapporti tra soggetti di doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa. Se qualcuno dubitasse ancora della rilevanza della dimensione carismatica nella Chiesa, lo inviterei a riflettere sul fatto che cinquanta anni dopo il Concilio Vaticano II, lo Spirito Santo ed i Cardinali hanno scelto un pastore supremo che proviene dall’ambito carismatico della Chiesa".

E ricordiamo, come se non fosse necessario, quanto questo pastore supremo sia debitore della spiritualità del Carmelo. La Santa Madre di quest'Ordine era solita chiamare i suoi frati riformati, nel suo epistolario, "le aquile": da essi si aspettava un esuberante rigoglio di energie spirituali per la Chiesa e per il mondo. Il medesimo ringiovanimento, come ricordato dal Card. Müller, è oggi invocato dal titolo del nostro documento, ispirato al Salmo 103: "Rinnova come aquila la tua giovinezza".