1,6 milioni di giovani si sono sentiti dire, dal Vicario di Cristo, che la Chiesa e il mondo vogliono imparare da loro: non è cosa da poco, e si può immaginare quanto ciò abbia galvanizzato gli animi dei partecipanti il cui entusiasmo ha cambiato, per pochi giorni, il volto di una città, variopinta delle centinaia di bandiere dei paesi da cui sono venuti i giovani di tutto il mondo per vivere il loro giubileo. Ma non si pensi per questo che siano stati coccolati o lusingati in maniera indebita dal Papa. Fra un canto e l’altro, fra una danza e l’altra - e i nostri giovani carmelitani hanno saputo monopolizzare, per una mattinata, la piazza centrale di Cracovia! - fra una festa e l'altra, il Pontefice ha “picchiato duro”: nella Via crucis di venerdì 29 luglio, ad esempio, sapientemente armonizzata con le 14 opere di misericordia, è stato loro ricordato che ”il Signore vuole fare di voi una risposta concreta ai bisogni e alle sofferenze dell’umanità; vuole che siate un segno del suo amore misericordioso per il nostro tempo! Per compiere questa missione, Egli vi indica la via dell’impegno personale e del sacrificio di voi stessi: è la Via della croce, la via della vita e dello stile di Dio”.
O nella veglia finale del sabato seguente: “La verità è un’altra: cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta...Ma quando scegliamo la comodità, confondendo felicità con consumare, allora il prezzo che paghiamo è molto ma molto caro: perdiamo la libertà…E c’è tanta gente che vuole che i giovani non siano liberi; c’è tanta gente che non vi vuole bene, che vi vuole intontiti, imbambolati, addormentati, ma mai liberi. No, questo no! Dobbiamo difendere la nostra libertà!”
Giovani contro il terrore
Parole tuonanti che mi han ricordato lo spessore pastorale e dottrinale del grande Padre della Chiesa S. Ilario di Poitiers (IV secolo) sul Nemico dei cristiani che “è insidioso e lusinga, e non ci flagella la schiena, ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni dandoci così la vita, ma ci arricchisce per darci la morte; ci spinge non verso la libertà mettendo ci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro» (Liber contra Constantium 5).
Il Papa ha insistito molto su questo registro, per nulla edulcorato e politicamente corretto, ricordando il rischio mortale di una gioventù “anestetizzata”, “divano-centrica”, disappassionata dalla vita, incapace di credere che le cose possano cambiare, incapace di desiderare, di sognare, di amare “alla pazzia” il prossimo, il diverso, il migrante (e le lunghe marce sotto il sole e sotto piogge torrenziali, di decine di chilometri, sono state una concretissima esperienza formativa per solidarizzare con questi profughi, non solo a parole); il rischio di una gioventù, in definitiva, paurosa, chiusa, paralizzata: “abbiamo bisogno di voi, perché possiate insegnarci a convivere nella diversità, nel condividere la multiculturalità non come una minaccia, ma come un’opportunità...abbiate il coraggio di insegnarci che è meglio costruire ponti che innalzare muri!”.
Parole anni luce dall’esser retoriche, se dette da un Pontefice all’indomani della barbara uccisione perpetrata da due terroristi dell’Isis di don Jacques Hamel, il sacerdote francese sgozzato mentre celebrava la Messa. Ma “noi adesso non ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non vogliamo distruggere, non vogliamo insultare. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia”.
Questa è la formidabile risposta, fatta di puro Vangelo, che i nostri giovani hanno portato a casa per vincere il terrore, tanto quello dell’Isis, quanto quello di una società, “di un’economia mondiale che ha messo al centro il dio denaro e non la persona, l’uomo e la donna a immagine di Dio” (come ha poi precisato il Papa nell’intervista durante il volo di ritorno). Ho visto coi miei occhi ragazzi piangere di commozione a queste parole, mentre un sole insanguinato tramontava all’orizzonte dello sterminato Campus Misericordiae, prima che decine di migliaia di candele cominciassero ad ardere per la veglia e prima che il Papa ricordasse che ognuno di noi ora, come gli Apostoli nel Cenacolo, può cominciare a realizzare il sogno di Dio nella propria vita, per essere lanciato in un’avventura che mai neppure avrebbe sognato.
Certo: molti, moltissimi dei giovani partecipanti potevano essere con la testa completamente altrove, comportarsi in maniera diametralmente contraria a quello che si stava ascoltando, sguazzando nella superficialità; ma ci fosse stato anche un solo giovane su cento a cogliere l’invito e la sfida, si facciano le debite proporzioni su un milione e si benedica lo Spirito Santo per aver suscitato le GMG!
La giornata carmelitana
GMG che quest’anno, per il Carmelo, è stata particolarmente significativa. Non dimentichiamo che S. Giovanni Paolo II, l’istitutore delle GMG e affezionatissimo dello scapolare, addottoratosi con una tesi su S. Giovanni della Croce, non si fece carmelitano per un pelo, quando da giovane frequentava il nostro convento carmelitano di Wadowice. Pertanto un giorno intero, mercoledì 27 luglio, è stato dedicato ai giovani facenti parte di diverse realtà ecclesiali affiliate al nostro Ordine. A onor del vero rileviamo che all’incirca metà dei giovani convenuti a Czerna, luogo del raduno aperto all’accoglienza dai padri carmelitani polacchi, erano i nostri 200 ragazzi, dai 14 ai 20 anni, facenti parte del Movimento Ecclesiale Carmelitano (negli altri giorni, invece, siamo stati ospitati in un accampamento di tende presso il convento dei padri di Cracovia, a due passi dal centro storico). A Czerna, in un’oasi boschiva lontana dai rumori della città, in un eremo di secolare presenza carmelitana dove è sepolto S. Raffaele Kalinowski – il fondatore del convento di Wadowice così importante, come abbiam detto, per il giovane Karol Wojtyła - abbiamo potuto partecipare alla celebrazione eucaristica presieduta dal P. Generale Saverio Cannistrà. Nell’omelia ha citato il santo padre Giovanni della Croce: “se l’anima cerca Dio, molto di più il suo Amato cerca lei” (Fiamma d’amor viva 3,28), leggendovi “una maniera molto carmelitana per descrivere e per annunciare la misericordia di Dio”, la misericordia di un Dio che ha deciso di “abitarci” e che non aspetta altro, pazientemente, che ce ne rendiamo conto, come fu per S. Teresa d’Avila: “E’ necessaria una grazia particolare per capire la misericordia di Dio, una grazia che scende in profondità e ferisce il cuore…Teresa ha impiegato circa vent’anni della sua vita religiosa al Carmelo per capire che ciò che stava cercando era già lì, davanti ai suoi occhi”.
Vent’anni: sono tanti, e sono gli anni di un giovane. Sono gli anni di cui ha bisogno la Misericordia divina, nella vita di Teresa come nella vita di ogni giovane, per ribaltare un destino che sembra sbarrato dai disincanti del mondo e dalle sedicenti maturità degli adulti. Ma, come ha ricordato il Papa nella sua messa di accoglienza, “la Misericordia del Padre ha il volto sempre giovane, e non smette di invitarci a far parte del suo Regno, che è un Regno di gioia, è un Regno sempre di felicità, è un Regno che sempre ci porta avanti, è un Regno capace di darci la forza di cambiare le cose!”
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