La famiglia carmelitana si compone si frati, monache e laici. Il carmelo teresiano si è diffuso in tutto il mondo. Le monache continuano ad essere comunità di vita contemplativa presenti in numerose e diverse situazioni e culture. I frati praticano la vita contemplativa insieme ad attività missionarie e apostoliche, specialmente quelle che riguardano la vita spirituale. I membri dell’ordine secolare vivono il carisma teresiano nelle circostanze della vita quotidiana. Infine, numerosi gruppi e associazioni di fedeli laici vivono il carisma teresiano nelle sfide nel presente.
Il carmelo teresiano è stato fecondo di santi e scrittori spirituali che hanno creativamente cercato di rispondere ai bisogni del proprio tempo. I più famosi sono Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità e Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein).
Breve introduzione al carisma carmelitano di P. Antonio M. Sicari ocd:
Il carisma carmelitano può essere iconograficamente descritto «nell'immagine di Maria Santissima, in cui il Bambino si rannicchia nel grembo» (così si esprime S. Teresa d'Avila) ed è evocato dalle seguenti parole-chiave descrittive dell'ideale e del tipo umano che tale carisma tende a configurare:
Bellezza: questa parola - molto amata da S. Giovanni della Croce - affascina chi si accosta al Carmelo. La Bellezza è una via privilegiata al Mistero, perché essa chiede silenzio e attenta contemplazione; perché essa insegna la gratuità e chiede l'adesione incondizionata; perché essa è un possesso che rende certi, ma anche un'attesa che ci lascia umili. In particolare, il Carmelo sembra chiamato - dato che ciò accade a tutti i nostri Santi e Maestri - a immergersi nella «dolorosa bellezza» della Croce, quella da cui molti distolgono lo sguardo, divenendo - proprio per questo - artefici e distributori di sofferenze disumane. Nel contemplare il fascino della Croce, il carmelitano non è attratto morbosamente dalla sofferenza in se stessa, ma dal mistero della gloria che s'irraggia quando, ad essere crocifisso, è l'Amore.
Gelosia: è la parola caratteristica dell'amore: parola triste e lacerante negli amori umani, ma parola giusta e forte quando si tratta dell'amore di Dio («Geloso è il suo Nome!», dice la Scrittura), un Dio che tutto esige perché tutto dona. E' dunque una Gelosia che nasce dall'intimità e che è comprensibile solo a chi in tale intimità si lascia attrarre. E' una Gelosia che ci ricorda l'Incarnazione del Figlio di Dio, venuto a raggiungerci nella nostra stessa carne, al fine di conformarci a Sé interamente, e impadronirsi dolcemente di tutto. E' una Gelosia che impedisce di sottrarre qualcosa - qualsiasi cosa! - al suo Amore.
Fuoco: questa parola segna il carisma carmelitano da quando Elia è stato definito «il profeta che si levò come il fuoco, e la sua parola bruciava come fiamma». La parola «fuoco» indica dunque il disegno trasformante di Dio sulla sua creatura. Non ci si accosta al mistero di Dio per esserne soltanto lambiti o riscaldati, ma per esserne consumati, totalmente assimilati e resi incandescenti. Insomma, non ci si accosta a Dio con l'intenzione di restare tiepidi. Pertanto, assimilare il carisma carmelitano vuol dire anche coltivare in sé un certo ardore nella maniera di affrontare la vita, non soltanto quella spirituale, ma anche quella che si consuma giorno per giorno.
Tutto e nulla: è il binomio scelto da S. Giovanni della Croce per ricordarci che il Carmelo è una Santa Montagna sulle cui vette Dio vuole rivelarsi: non ci si può impegnare nella salita senza liberarsi e quasi svuotarsi di tutti i pesi e i legami che ci trascinerebbero in basso. Per donare davvero a Dio tutto lo spazio del cuore occorre che null'altro possa occuparlo: è questo il cammino della Croce che Gesù ci ha offerto di percorrere assieme a Lui.
Profezia: significa capacità di innestarsi nel presente in maniera così intensa e decisiva che il futuro già si anticipi, carico di frutti. Profezia è un modo di percepire e di vivere il tempo, consapevoli che esso ha una «pienezza» (Gesù Cristo stesso) alla quale tutte le epoche attingono, e che deve essere afferrata da ciascuno qui e ora. Chi vuole assimilare un carisma di tipo profetico non può vivere un presente scialbo e banale, quasi vuoto. Soprattutto non può rinchiudersi in un gretto individualismo. Il profeta vive il presente, ma vuole un paradiso. E lo vuole per tutti gli uomini. Il profeta non sa essere accidioso o pusillanime, ma lavora alacremente là dove Dio lo mette, come se tutta la speranza del mondo dipendesse dal suo cuore e dalla sua opera, anche se attende tutto dal suo Signore.
Intimità e Missionarietà: sono le ultime parole, strettamente congiunte, e che si generano a vicenda. Nell'intimità l'uomo capisce che Cristo «è per lui Tutto e tutte le cose» e che «il suo cuore non si soddisfa con meno di Dio» (S. Giovanni della Croce). Ma così l'anima innamorata si trova ad assumere la forma dello Sposo che, per nostro amore, si lasciò «vendere come schiavo di tutto il mondo» (S. Teresa d'Avila). Essa si protende allora verso i suoi fratelli bisognosi di salvezza. L'intimità con Dio che non genera missionarietà è narcisismo e vezzeggiamento spirituale; la missionarietà che non nasce dall'intimità e non la approfondisce è sterile dispersione. Intimità e missionarietà assieme sono fonte di immensa fecondità spirituale.