Quando il 29 maggio 1967 Paolo VI annunciò la nomina al collegio cardinalizio dell’arcivescovo di Cracovia le loro speranze si sciolsero come neve al sole. L’innocuo vescovo-poeta aveva già più volte mostrato al Governo polacco di che pasta era fatto.
A Roma per il Concistoro
Durante la cerimonia per il conferimento delle insegne cardinalizie, la berretta rossa, un nuovo anello e l’assegnazione di una chiesa di Roma come ‘titolo cardinalizio’, Paolo VI tenne ovviamente un discorso. Alcune espressioni in esso contenute sembrano essere pensate proprio per il quarantasettenne arcivescovo di Cracovia:
«Vediamo uomini in età avanzata e altri nella forza dell’età virile, tutti parimenti ornati di riconosciuti meriti e di virtù preclare, che ponete a più stretta disposizione della Chiesa e della Nostra umile persona, o col frutto della più diuturna esperienza, o col vigore proprio dell’età matura. Scorgiamo alcuni anche che offrono fedele e luminosa testimonianza alla fede nelle condizioni non facili, nelle quali si svolge il loro ministero».
Dopo aver ricordato la partecipazione di tutti loro al concilio Vaticano II, il papa così proseguì:
«Le differenze di età non comportano conseguenza alcuna nelle responsabilità che oggi avete assunte; qualunque sia il punto della vostra vita, per tutti e ciascuno è valida la medesima consegna: servire con pari ardore “omnibus diebus” (cfr. Lc 1,75), “usque in finem”, la Chiesa e il Sommo Pontefice. Chi è onorato della Porpora non aspira infatti, come ebbe a ricordare il Nostro Venerato Predecessore Giovanni XXIII, a riposarsi, ma deve pensare che lo attendono nuove attività e che la sua vita si arricchisce di una nuova nobiltà».
Lunedì 3 luglio il neo cardinale fu ricevuto in udienza da Paolo VI. Il colloquio durò circa 20 minuti.
A Cracovia come cardinale
Rientrato a Cracovia, il 9 luglio fece il suo ingresso solenne come cardinale nella cattedrale del Wawel. Durante la santa messa pronunciò l’omelia che qui riportiamo per ampi stralci.
Dopo aver ringraziato i molti vescovi presenti egli ricorda a tutti che solo pochi giorni prima, il 4 luglio, la chiesa di Cracovia ha celebrato la memoria liturgica della consacrazione della cattedrale. La cattedrale rappresenta il luogo concreto e tangibile del piano di salvezza che Dio stesso ha pensato per ogni uomo. «La Chiesa, afferma, rappresenta il mistero della incessante discesa di Dio verso l’uomo». Poi così prosegue:
«La Chiesa nasconde insieme un secondo mistero, una seconda realtà. È la Chiesa quel Zaccheo che viene per l’incontro con Cristo; e, poiché era basso di statura, salì su un albero per vederlo: questo è probabilmente la Chiesa. Una Chiesa che guarda all’uomo e lo solleva verso le azioni di Dio per fargliele scorgere e così abbracciarle ed amarle. Questa è la Chiesa. Questo è il popolo di Dio. Questo siamo noi! Questo sono Io.
Miei cari Fratelli e Sorelle, questo siamo noi, questo sono io: quel Zaccheo che sale sul sicomoro per poter vedere Cristo, è la Chiesa: mistero delle incessanti ascese dell’uomo verso Dio.
Oggi noi, nella nostra venerabile cattedrale, riviviamo tale meraviglioso mistero della discesa di Dio verso l’uomo e dell’ascesa dell’uomo verso Dio».
Egli però non può non raccontare ai presenti quanto ha vissuto a Roma pochi giorni prima. Ecco le sue parole che, rilette a pontificato concluso, hanno il sapore di una autoprofezia:
«Vengo dalla tomba di San Pietro alla tomba di San Stanislao. Con nuovi compiti. Allorquando il Santo Padre mi pose sul capo la purpurea berretta cardinalizia, proprio con essa voleva dirmi di apprezzare di più il significato della parola “sangue”. Apprezzare anzitutto il sangue del nostro Salvatore per poter, per il prezzo di quel sangue, rimanere fedele, nella Chiesa di Dio, fino all’effusione del mio sangue. Suona tale parola difficile, ma proprio così mi disse il rappresentante di Cristo, Paolo VI, la sera del 28 giugno, alla vigilia del 1900° anniversario della morte dei SS. Apostoli Pietro e Paolo».
Il racconto del Concistoro poi prosegue così:
«In un secondo momento Paolo VI mi ha messo al dito un nuovo anello. Con esso […] ha voluto il papa significare il nuovo vincolo; vincolo non solo – mi assale un certo timore a dirlo – con la mia Chiesa di Cracovia, ma vincolo con la Chiesa universale: per aver sempre davanti agli occhi i problemi della Chiesa universale e specialmente qui nella mia chiesa di Cracovia».
Per lunga tradizione, ad ogni neo cardinale è assegnato il titolo di una chiesa della città di Roma.
«Il secondo simbolo del vincolo con la Chiesa universale - sono ancora le parole dell’omelia - e in particolar modo con la Sede Apostolica, è rappresentato dal titolo della Chiesa cardinalizia di San Cesareo in Palatio, all’inizio dell’Appia antica, chiesa che risale ai primi tempi del Cristianesimo».
Con queste parole si avvia quindi alla conclusione dell’omelia:
«Questi sono, miei cari, i nuovi poteri e le nuove responsabilità con cui ritorno a voi. Proprio per questo vi ho invitato alla preghiera: alla preghiera comune poiché in questa nostra comunione mi sarà più facile caricarmi di tali responsabilità. Me ne carico con la massima umiltà in quanto mi sento come Zaccheo. Ognuno di noi è Zaccheo allorché deve accettare i compiti di Dio; quando vuole fissare i propri occhi in quelli di Cristo ciascuno deve salire su un albero lungo la strada; ciò significa che bisogna risiedere con tutta l’anima nell’Amore; nell’Amore che sgorga dall’inesauribile sorgente della Chiesa; nella Grazia che sgorga continuamente dal Mistero della maternità di Maria nel mistero della redenzione: in tutto questo io mi trovo».
Infine, il neocardinale non mancava di trasmettere a tutti i presenti la benedizione di Paolo VI.
Il resto della vicenda umana e spirituale di Karol Wojtyła è a tutti noto. In quella nomina cardinalizia di 50 anni fa, la chiesa di Cracovia e quella di Roma si avvicinarono ancor più. Appena undici anni dopo, la sera del 16 ottobre 1978, quella vicinanza si trasformerà in un potentissimo abbraccio.