Di fronte a Gesù sacramentato, durante la prima adorazione eucaristica della mia vita, a 25 anni, mi resi conto di quanto fosse spazzaturale [1] la pretesa di penetrazione del reale che le avanguardie e altri movimenti artistici potevano aver avuto. In quell’adorazione silenziosa, senza orpelli retorici e senza cavilli teoretici, mi resi conto inoltre di quanto rivoluzionaria fosse la nostra fede e abissalmente diversa da ogni altro slancio filosofico o religioso dell’umanità: una fede che non promette una candida pace dei sensi, ma un incandescente fuoco tale da far impallidire ogni lirico slancio, futurista o meno, di amore e morte; ogni ascetica pretesa, orientale o meno, di “spirituale benessere”. “O santa Ostia, fammi immacolata, fammi tutta amore: così io ti compaia davanti! Nessuna arma può ferire meglio di Te, o piccola e candidissima Ostia: feriscimi! Tu sei più che spada, o santo Amore sacramentato, uccidimi Tu, finiscimi con le tue saette! Potessi io morire ai tuoi piedi, per causa tua! Potesse ogni atomo di me incendiare, incendiare le anime dall’uno all’altro polo per te Sacramentato!” – così prorompeva nelle sue preghiere una nostra umile consorella carmelitana, la beata Maria Candida dell’Eucaristia, surclassando Marinetti per intensità e concretezza [2]. Scoprii, in definitiva, una fede in cui non ci si deve salvare dalla materia - o, il che è sempre una fuga, nella materia - ma in cui ci si deve salvare con la materia. Caro salutis est cardo mi diceva sconvolgendomi Tertulliano, teologo africano del II secolo: “la carne è cardine della salvezza” [3]. Carne fenomenale, la carne e il sangue di Cristo, che transustanzia il pane e vino preparati sull’altare che sussumono in sé tutto il creato affinché venga offerto, nello Spirito Santo, a Dio Padre. «Come questo pane spezzato era sparso sui colli e, raccolto, è diventato una cosa sola, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno» diceva una preghiera eucaristica della Siria del I secolo [4]; “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell'uomo; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna” dice l’odierno rito romano della Chiesa [5].
"Un atto di amore cosmico"
In duemila anni di storia il messaggio non è mutato e rimane il medesimo, perfettamente sintetizzato da Papa Francesco nella stupenda Laudato si’ [6]: “Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico: «Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 8). L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico «la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso» (Benedetto XVI, Omelia nella Messa del Corpus Domini del 15 giugno 2006)”.
Parole che rivelano la piena concordanza del magistero recente con la patristica antica (specialmente quella greca), per cui la celebrazione eucaristica non è soltanto un rito per procacciarsi una salvezza individuale, ma uno spazio liturgico in cui si apre un reale e non letterario “varco per l’assoluto”; in cui il creato e l’umanità, dopo la catastrofe del peccato, possono riconciliarsi e tornare al Creatore – e questo per mano della Chiesa corpo e di Cristo capo. Ma facciamocelo ridire dalla sapienza della Sacra Scrittura, della stessa Parola di Dio:
Efesini 1,9-10: “Il mistero della Sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra”.
Efesini 4,9-10: ”Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose”.
Colossesi 1,18-20 “Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli”.
1 Corinzi 15,28: “E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch'egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”.
La Via Lattea, Aldebaran, gli oceani profondi centinaia di chilometri degli esopianeti, i quark incantati, le gemme preziose sepolte nelle rocce, il gatto sotto casa e i kaki in giardino, la marina di Sorrento e lo skyline di Tokyo, gli innamorati avvinghiati e i bimbi appena nati, gli artisti tragicamente in ricerca, i cavallucci marini e gli uccelli paradiseidi che in questo momento stanno sciogliendo il loro canto davanti a un’alba mozzafiato dell’Amazzonia sono potentemente, patentemente belli…ma assolutamente impotenti nel ristabilire un contatto con il loro Creatore, se non passano per noi, per il nostro Sacrificio dell’altare, in cui “noi, fatti voce di ogni creatura, esultanti cantiamo: Santo, Santo, Santo...” [7].
Tutto questo è mirabilmente riassunto nelle tante processioni liturgiche del Corpus Domini che si stanno celebrando in questi giorni nel nostro belpaese: chilometrici tappeti di petali in onore del passaggio di Lui, esposto nel Santissimo Sacramento per le vie di questo mondo. E si paragoni questa nobile e popolare tradizione cattolica con, ad esempio, i mandala della religione buddista. Anche lì stupende composizioni policrome, con sabbie o petali colorati, ma non per onorare la presenza di Qualcuno, bensì per esprimere un concetto: l'impermanenza, la transitorietà di questo mondo destinato ad estinguersi nel nirvana. E non la linearità delle strade del mondo, ma la circolarità di spazi sacri delimitati. Non il tempo che scorre con ogni suo attimo unico e irripetibile verso la ricapitolazione in Lui, Alfa e Omega, ma ll'eterno ritorno di un'illusione sempre uguale a sè stessa, da cui liberarsi. È vero poi che in entrambi i casi tali composizioni sono destinate ad esser distrutte: ma mentre nel caso dei mandala ciò è funzionale affinché venga significata ancor meglio l'impermanenza del cosmo (le polveri vengono ritualmente raccolte e versate in un fiume), nel nostro caso ciò è in semplice ossequio al "principio di realtà": i fiori appassiscono, le strade devono essere sgombrate. Ma il tributo del cosmo al suo Creatore rimane immortalato, ad esempio, nei rosoni e negli ostensori delle nostre Chiese: antimandala di pietra e metalli preziosi che testimoniano la bontà e la dignità insopprimibile della creazione: "Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure formata" (Sap 11,24).
Il cristiano non ha quindi una morbosa ossessione lirica della materia...
...ma è partecipe bensì di una possessione, di un’ostensione liturgica della materia, perché egli è nella sua essenza qualcosa di molto di più di un erectus o di un sapiens sapiens - è homo liturgicus: consacrato col battesimo re, sacerdote e profeta, incorporato a Cristo tramite la sua santa Chiesa gerarchica è destinato a divinizzare sé stesso e il mondo.
E queste non sono sparate misticheggianti, ma dogmi di fede e piena ortodossia, eventi oggettivi che accadono ogni volta che partecipiamo alla Comunione, là dove, in un pezzetto di pane transustanziato in carne di Cristo per mezzo del sacerdote, vediamo chiaramente il futuro nostro e del mondo [8]. Queste non sono evasioni olistiche new age, ma ecologia radicale ed integrale - l’eucologia - di chi ha veramente a cuore il destino del creato, e non soltanto la raccolta differenziata (importante pure questa, per carità!). Queste non sono, soprattutto, trovate teologiche stuzzicanti, ma conquista che è costata sangue e morte di una Persona, frutto di un troppo grande amore: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutto a me” [9]. E Lui, contemplava la beata Maria Candida dell’Eucaristia, è il medesimo che viene innalzato ad ogni Messa: “L’Ostia divina, il calice preziosissimo sono le alte e massicce colonne che sostengono il mondo, il quale crollerebbe sotto il peso delle sue iniquità, se tanto tesoro non si sollevasse tante volte al minuto tra Cielo e terra, per sostenerlo e placare il Padre” [10]. Perché tutto questo discorso, senza il sigillo della Croce, del Sacrificio, della lacerazione del chicco di grano affinché sia pane, sarebbe solo letteratura, eresia e tradimento.
Allora nella preghiera eucaristica ci si fa carico non solo dei quark incantati ma anche dei disastri nucleari, non solo dei bei paradisi tropicali ma anche dei terremoti e dei terremotati, non solo dei bei panorami ma anche delle più brute periferie, non solo dei bambini appena nati ma anche degli embrioni e degli anziani agonizzanti, non solo degli innamorati ma anche degli ammalati, non solo degli artisti ma anche degli empi, dei bestemmiatori, dei persecutori: ci si fa carico delle gemme più preziose, che sono le ferite del Cristo Totale, perché diventino feritoie di grazia.
Ho rubato quest'ultima immagine a don Tonino Bello, grande cantore del Corpus Domini, la cui presenza nascosta sapeva cogliere ovunque: oltre agli ostensori di metallo prezioso di cui sopra, per esempio, affermava che bisogna contemplare anche altri "ostensori" non meno importanti: le carrozzine dei disabili, i letti degli ospedali, i cartoni dei barboni...
"Cena che ricrea ed innamora"
Per concludere, vorrei precisare che queste altezze vertiginose guadagnate nel sacramento dell’Eucaristia non sono riservate ad élites spirituali di santi sovraumani: altra peculiarità singolarissima della dottrina e della mistica cattolica è quella di essere indecentemente popolare, come insegna nostra madre Chiesa: “Il progresso spirituale tende all'unione sempre più intima con Cristo. Questa unione si chiama «mistica», perché partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti – «i santi misteri» – e, in lui, al mistero della Santissima Trinità. Dio chiama tutti a questa intima unione con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti”[11]. Ed è sulla scorta di questo insegnamento che lascio la parola finale sull’Eucaristia al padre fondatore del nostro ordine religioso - S. Giovanni della Croce, il doctor mysticus, “il più santo dei poeti e il più poeta dei santi” [12] - tratta dal suo Cantico Spirituale, epitalamio fra la sposa e l’Amato, fra l’anima e Dio, in cui la materia creata si fa corteo nuziale e letto fiorito della mistica Comunione dell’umana natura con la divina [13]:
Mio Amato: le montagne,
le valli solitarie più boscose,
le isole esotiche,
le acque fragorose,
il sibilo dei venti innamorati,
la notte addormentata,
vicina allo spuntar dell’aurora,
musica silenziosa,
solitudine sonora,
cena che ricrea ed innamora (strofe XIV-XV).
Note:
[1] Cf. Filippesi 3,8: S. Paolo in greco avrebbe detto σκύβαλα - ’sterco’.
[2] La prima scriveva quello che viveva, trovando nella Comunione quotidiana la forza di rivoluzionare la propria vita dai salotti della Palermo bene all’austera cella del Carmelo; il secondo scriveva quello che voleva, invocando in poesia guerre e distruzioni per purificare il mondo, ma finendo in realtà i suoi giorni nell’ovattato Excelsior di Bellagio. Il passo citato è tratto dallo scritto L’Eucaristia (a cura delle Carmelitane Scalzi di Ragusa, Palermo 1979). Cf. anche Nel tuo candore eterno. Preghiere, a cura di Bruno Meucci con prefazione di Bruno Forte, Edizioni OCD – Feeria, Roma-Firenze 1997.
[3] De carnis resurrectione, 8,3: Patrologia Latina 2,806.
[4] Didaché, 9.
[5] Messale Romano, inizio della liturgia eucaristica.
[6] N° 236.
[7] Messale romano, preghiera eucaristica IV.
[8] Pregnantissime a questo riguardo le parole dell’ultimo discorso pubblico di Benedetto XVI, in occasione del 65° anniversario della sua Ordinazione Sacerdotale (28.06.2016): “Eucharistomen ci rimanda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in ringraziamento, e così in benedizione, la croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha transustanziato la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il Pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore”. Parole in cui riecheggiano le audaci suggestioni di Teilhard de Chardin (cf. per esempio La Messa sul Mondo, il Cristo nella Materia, La potenza spirituale della Materia) autore molto apprezzato (ma con le dovute cautele) e ripetutamente citato nel magistero di J. Ratzinger, tanto da prefetto della Congregazione della Fede quanto da Pontefice.
[9] Gv 12,32: il testo greco riportato da quello che è fra i codici più autorevoli, il Sinaiticus, dice precisamente “tutto” (πάντα) e non “tutti” (πάντας); così anche nel papiro più antico, il P66 del 200 ca., nel codice di Beza e nella Vulgata (“omnia”).
[10] “Eucaristia e immolazione”, in L’Eucaristia, op. cit..
[11] Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 2014.
[12] Antonio Machado.
[13] Anche questo è ciò che sentiamo sussurrare dal sacerdote ad ogni Messa, subito prima dell’offerta del pane e del vino, cui viene aggiunta una goccia d’acqua: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”.