Il «sogno» di papa Francesco

Al centro della sua riflessione egli ha posto la necessità di «aggiornare» l’idea di Europa per far si che da essa prenda forma un «nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare».Dopo aver delineato i principali aspetti di ognuno di queste tre capacità, papa Francesco si avviato a concludere il suo discorso,  ricorrendo alla suggestiva immagine del «sogno», applicandolo ai diversi ambiti della vita dell’Europa. Ecco le sue parole:

«Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita.
Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo.
Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto.
Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano.
Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile.
Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni.
Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia».

Com’era da aspettarsi, il discorso di papa Francesco ha raccolto molti ideali consensi e qualche dissenso, perché ritenuto troppo aperto.

Il «sogno» di Giovanni Paolo II

Chi conosce il magistero europeistico degli ultimi pontefici, avrà notato con piacere come l’immagine del «sogno», applicata al futuro dell’Europa in verità non sia nuova perché era già stata usata da Giovanni Paolo II. Il 24 maggio 2004 egli riceveva in Vaticano le autorità europee  e l’allora sindaco di Acquisgrana,  venutia Roma per consegnargli lo stesso Premio. La seconda parte del suo discorso pronunciato per l’occasione, si apriva con questa domanda: «Qual è l’Europa che si dovrebbe sognare?» La lunga risposta era così introdotta: «Mi si consenta di tracciare qui un rapido abbozzo della visione che ho di un’Europa unita». Poi così proseguiva:

«Penso ad un’Europa senza nazionalismi egoistici, nella quale le nazioni vengono viste come centri vivi di una ricchezza culturale che merita di essere protetta e promossa a vantaggio di tutti.
Penso ad un’Europa nella quale le conquiste della scienza, dell’economia e del benessere sociale non si orientano ad un consumismo privo di senso, ma stanno al servizio di ogni uomo in necessità e dell’aiuto solidale per quei paesi che cercano di raggiungere la meta della sicurezza sociale. Possa l’Europa, che ha sofferto nella sua storia tante guerre sanguinose, divenire un fattore attivo della pace nel mondo.
Penso ad un’Europa,  la cui unità si fonda sulla vera libertà. La libertà di religione e le libertà sociali sono maturate come frutti preziosi sull’humus del Cristianesimo. Senza libertà non c’è responsabilità: né davanti a Dio, né di fronte agli uomini. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa vuole dare un ampio spazio alla libertà. Lo stato moderno è consapevole di non poter essere uno stato di diritto se non protegge e promuove la libertà dei cittadini nelle loro possibilità di espressione sia individuali che collettive.
Penso ad un’Europa unita grazie all’impegno dei giovani. Con tanta facilità i giovani si capiscono tra di loro, al di là dei confini geografici! Come può nascere, però, una generazione giovanile che sia aperta al vero, al bello, al nobile e a ciò che è degno di sacrificio, se in Europa la famiglia non si presenta più come un’istituzione aperta alla vita e all’amore disinteressato? Una famiglia della quale anche gli anziani sono parte integrante in vista di ciò che è più importante: la mediazione attiva dei valori e del senso della vita. 
L’Europa che ho in mente è un’unità politica, anzi spirituale, nella quale i politici cristiani di tutti i paesi agiscono nella coscienza delle ricchezze umane che la fede porta con sé: uomini e donne impegnati a far diventare fecondi tali valori, ponendosi al servizio di tutti per un’Europa dell’uomo, sul quale splenda il volto di Dio».

Poi concludeva con queste parole: «Questo è il sogno che porto nel cuore e che vorrei affidare in questa occasione a Lei [il sindaco di Aquisgrana] e alle generazioni future». La scelta del singolare «penso», invece del più tradizionale «pensiamo», immaginiamo sia stata fatta per conferire una maggiore sottolineatura al pensiero personale dello stesso Giovanni Paolo II sull’Europa. Il «sogno» del papa polacco è tutto in quel «penso» ripetuto quattro volte.

Conclusione

Come è facilmente verificabile leggendo attentamente i due discorsi, i «sogni» europei dei due pontefici sono, in realtà, lo stesso «sogno». Anche se l’attuale contesto europeo è molto diverso da quello di appena una decina di anni addietro, il «sogno», a cui l’Europa è chiamata a dar forma, è sempre lo stesso: quello di un «un’Europa dell’uomo, sul quale splenda il volto di Dio». Papa Francesco e San Giovanni Paolo II si sono assunti il compito di ricordarlo a tutti.

A questo punto, non sarebbe male conoscere meglio anche quali sono i «sogni» sull’Europa dei vari capi di Stato.