La preparazione

A ricordare cosa accadde all’inizio di febbraio di quel 1976 è lo stesso Giovanni Paolo II nel suo secondo libro di memorie, intitolato Alzatevi, Andiamo!. Scrive: "Nella fase preparatoria c’era stato un problema. All’inizio di febbraio mi telefonò monsignor Władysław Rubin, comunicandomi che il pontefice mi pregava di predicare gli esercizi spirituali in marzo. Avevo a disposizione appena venti giorni per preparare i testi e per tradurli. Il titolo che poi diedi a quelle meditazioni fu Segno di contraddizione"1.

La stesura delle meditazioni avvenne in due momenti di ritiro: dal 9 al 15 febbraio a Zakopane sui monti Tatra presso le suore Orsoline, dedicando le mattina alla stesura dei testi, il pomeriggio a una salutare sciata e la sera alla ripresa del lavoro di scrittura e, tornato a Cracovia, dal 20 al 25 febbraio, nella cappella dell’episcopio. L’1 marzo partì per Roma e, alloggiando al Collegio polacco, diede gli ultimi ritocchi alle meditazioni.

La sera del 7 marzo, nella cappella Matilde, cominciarono gli Esercizi spirituali alla Curia romana. Da una stanza adiacente che il cardinale Wojtyła poteva intravvedere, Paolo VI partecipò alle meditazioni, che egli andava via via dettando ai suoi ascoltatori2.

Segno di contraddizione

Essendo impossibile riassumere anche per sommi capi il contenuto del libro, ci accontenteremo di qualche cenno. Il programma prevedeva ben 22 meditazioni. Scorrendo l’indice si individua con assoluta facilità il centro, la 12a meditazione, verso cui convergono le prime 11 e la traiettoria e le conseguenze proposte nelle rimanenti.

Il titolo della dodicesima meditazione, oggi possiamo ben dirlo, è la sintesi del pontificato di colui che, poco più di due anni dopo, da arcivescovo di Cracovia diventerà Giovanni Paolo II: Cristo «svela pienamente l’uomo all’uomo stesso» (Gaudium et Spes, n. 22). La meditazione, oltre ad essere una interessantissima analisi della prima parte del citato paragrafo della Gaudium et Spes, conduceva gli uditori a porsi «la domanda cruciale per il cristianesimo», la stessa che Gesù rivolse ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». «E la sua domanda [quella di Cristo], affermava il Cardinale, ritorna sempre ed è sempre viva nel suo contenuto essenziale. La pongono gli uomini e le generazioni, perché in questa domanda e nella risposta che viene data è incluso proprio questo mistero, che “svela pienamente l’uomo all’uomo stesso”, come ci ha ricordato il concilio». Ciò che qui si attua è una sorta di confronto tra il «mistero di Cristo», o se si preferiscono le parole della Gaudium et Spes, il «mistero del Verbo incarnato», e il «mistero dell’uomo».

Se Cristo «svela pienamente l’uomo all’uomo stesso», allora tutto ciò che attenta alla verità di Cristo e su Cristo è allo stesso tempo una minaccia per la verità e per la dignità dell’uomo sia a livello personale che sociale e politico. «Se si nega a Cristo il diritto di cittadinanza, afferma, si nega quel diritto all’uomo, e se si proclama la “morte di Dio”, si prepara al tempo stesso la “morte dell’uomo"».

Un anticipo di papa Francesco?

La 16a meditazione, intitolata Il mistero dell’uomo: la coscienza contiene alcune frasi sul peccato, sul perdono che non hanno nulla da invidiare a quanto papa Francesco ribadisce su questi temi proprio in questi giorni. Ecco allora due sole frasi di quella meditazione: «L’uomo che si inginocchia davanti al confessionale per le proprie colpe, in quel particolare momento sottolinea la sua dignità di uomo. Indipendentemente da quanto le sue colpe pesino sulla sua coscienza, quanto abbiano umiliato la sua dignità, l’atto stessa della confessione nella verità, l’atto di conversione a Dio, manifesta la particolare dignità dell’uomo, la sua grandezza spirituale. Sappiamo quanto questa grandezza poggi sulla grazia di Dio. Confessori come san Giovanni Vianney potrebbero dire molto su questo tema».

Papa Francesco, farebbe sue queste espressioni dell’allora Cardinale Wojtyła sul modo in cui il confessore deve porsi di fronte al penitente: «Ogni confessore deve mettersi – per così dire – “in ginocchio” dinanzi ai segreti della Grazia e della coscienza umana. Anche se quale confessore è giudice, direttore e maestro di un fratello o di una sorella, deve esercitare questi attributi queste funzioni con il più grande rispetto del “mistero dell’uomo”, che trova la sua soluzione nel “mistero di Cristo”. È Cristo crocifisso e risorto che è presente nel confessionale, così come è presente presso l’altare nella celebrazione dell’eucarestia per tramite del sacerdote, così come è presente al letto del malato, al quale il sacerdote amministra l’olio degli infermi, e in tutto il servizio sacramentale della Chiesa».

Conclusione

Il Cardinale Wojtyła scelse di dedicare tre delle sue impegnative meditazioni (la 5a, la 9a e la 13a) ai misteri del Rosario. Nel contesto dell’intera settimana di Esercizi esse rappresentano una specie di piazzola di sosta per permettere ai suoi uditori di riposarsi un momento prima di ripartire per una nuova tappa del cammino spirituale di quella settimana. A quarant’anni di distanza esse meritano ancora la nostra attenta rilettura anche per meglio addentrarsi nell’universo religioso polacco di quegli anni così presente nelle meditazioni, anche grazie a moltissimi riferimenti ed esempi.

Un autentico piccolo gioiello è rappresentato dalla 21a meditazione, intitolata semplicemente Via Crucis. Qui il cardinale di Cracovia, con maestria e profondità spirituale, portava i suoi uditori a rivivere i principali momenti dell’ascesa di Cristo al Calvario. Commentando ai suoi ascoltatori il gesto della Veronica ricordava che «il Salvatore […] imprime la sua somiglianza su ogni atto di carità, come sul lino della Veronica».

Come per le meditazioni sul Rosario, anche qui l’afflato mariano, così tipico della biografia di Karol Wojtyła, emerge con assoluta nitidezza e filiale devozione. Quando nel 1979 il Cardinale Wyszyński definì Giovanni Paolo II «papa mariano»3 sapeva bene di cosa stava parlando. Tra le molte cose che l’arcivescovo di Cracovia ammirava di Paolo VI vi era la sua devozione mariana. In un appunto, datato 3 settembre 1964 e pubblicato nel 2014, si legge questa frase: «L’esempio di Sua Santità Paolo VI: con quale tono parla della Santissima Madre!»4.

Nel 1977 le meditazioni dettate alla Curia vaticana giunsero tra le mani dei lettori sotto forma di un prezioso volume dal titolo Segno di contraddizione. Questo volume è prezioso anche per un altro importante motivo: contiene, come si è cercato di dimostrare altrove e con abbondanza di argomentazioni5, una sorta di anticipo, di nucleo essenziale, di ben tre future encicliche: Redemptor hominis (1979), Dominum et Vivificantem (1986) e Redemptoris Mater (1987). A Roma, l’arcivescovo di Cracovia portava non solo la sua persona di sacerdote e di vescovo, ma anche tutta la ricchezza della sua precedente riflessione teologica. Per ben ventisette anni, di quella ricchezza egli ha fatto dono alla Chiesa e al mondo.

Note:

1 Giovanni Paolo II, Alzatevi, andiamo!, Mondadori, Milano 2004, p. 132. 

2 G. Weigel, Testimone della speranza, Mondadori, Milano 1999, pp. 278-279. 

3 K. Wojtyła, Maria. Omelie, Prefazione del Card. S. Wyszyński, LEV, Città del Vaticano 1982, p. 5. 

4 Giovanni Paolo II, «Sono tutto nelle mani di Dio». Appunti Personali 1962-2003, LEV, Città del Vaticano 2014, p. 54. 

5 A. Cazzago, Cristianesimo d’Oriente e d’Occidente in Giovanni Paolo II, Jaca Book, Milano 1996, pp. 93-100.