Già sacerdote e teologo al Concilio, tra i fondatori della rivista Communio, Joseph Ratzinger fu pastore d’anime da Arcivescovo a Monaco e poi chiamato a Roma da Giovanni Paolo II, di cui è stato fedele collaboratore per molti anni, in particolare come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. In questa veste si occupò con discernimento di diversi casi delicati dal punto di vista canonico e morale. Dal punto di vista dottrinale, tra i tanti compiti svolti, fu presidente della Commissione che elaborò il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) e promotore di una seria riflessione teologica e pastorale sull’eredità del Concilio; in questo contesto, lavorò anche per la comprensione dell’identità e della collocazione dei Movimenti ecclesiali, come manifestazioni attuali dell’azione dello Spirito. Fu eletto infine come decano del Collegio cardinalizio, pensando di essere vicino alla conclusione del suo servizio a Roma. Lo attendeva invece l’inizio di una nuova missione, la più grande.
Al momento della sua elezione, il 19 aprile 2005, si presentò come un “semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”. Umile lo è stato fino in fondo, nel suo stile gentile ed elegante, in tante circostanze non facili del suo ministero petrino. Così come, nel contempo, è stato pastore esigente, capace di scelte nuove, ma sempre coerenti con una visione cristiana d’insieme della Chiesa e dell’uomo. Benedetto è stato infatti il Papa che, pur convinto del dialogo costante ed aperto con il mondo, ha ricordato la centralità della fede nel mistero di Cristo, che rivela l’uomo a sé stesso, e l’infinita ampiezza del Mistero del Dio Uno e Trino. Lo ha fatto indicando la via maestra dell’alleanza tra fede e ragione, per l’orizzonte di un nuovo umanesimo, e scegliendo di porre il suo ministero al servizio della riconciliazione tra gli uomini e i popoli, considerando la pace innanzitutto come dono di Dio, da invocare, tutelare e costruire giorno dopo giorno, con l’apporto di tutti. Nello stesso tempo, sulla scia del suo predecessore Giovanni Paolo II, Papa Benedetto ha ricordato in particolare all’Europa le radici cristiane della sua storia e della sua cultura, per non smarrire le ragioni più profonde della sua identità e della sua missione. Ribadendo, in questo senso, che i principi essenziali della tutela della vita, della difesa della famiglia e del diritto dei genitori all’educazione dei figli vanno annunciati come verità antropologiche universali, prima ancora che come valori che la fede illumina e sostiene. Le sue tre encicliche - Deus caritas est (25 dicembre 2005), Spe salvi (30 novembre 2007) e Caritas in veritate (29 giugno 2009) – a cui si possono aggiungere i tre volumi dedicati a Gesù di Nazareth, sono la sintesi più chiara e completa di un magistero che ha saputo unire grandezza teologica e capacità di renderlo accessibile a tutti.
Il suo pontificato, ad ogni modo, non è stato soltanto “teologico”, cioè limitato all’espressione di una visione ecclesiale. Benedetto ha affrontato con il coraggio e la lealtà del vero pastore la crisi degli abusi nella Chiesa, decidendo di mettere mano in modo concreto anche alla riforma della Curia di Roma. Ha inoltre riannunciato l’importanza della missione sacerdotale (in particolare con l’Anno Paolino e l’Anno Sacerdotale), nel contesto più ampio della vocazione universale alla santità, affermata dal Concilio e da lui ricordata con frequenza nelle udienze del mercoledì. L’ultimo anno del suo pontificato, segnato dalla gravosa vicenda di Vatileaks e da una crescente prostrazione fisica, lo ha portato al discernimento circa l’ipotesi di sue dimissioni, sin da subito pensate solo e soltanto per il bene della Chiesa e del suo governo. Dimissioni che si sono concretizzate nel febbraio 2013, giorno a partire dal quale il suo ministero è stato avvolto dal silenzio e dalla preghiera nascosta, pur restando in Vaticano come segno della sua comunione con Papa Francesco. Questi dieci anni di contemplazione, sofferenza e offerta sono dunque trascorsi per lui nel cuore stesso della Chiesa, ma con l’intenzione di raggiungere ancora gli estremi confini della terra. Fino a questi ultimi giorni.
Soltanto lo scorso febbraio, con umile fede, Papa Benedetto si esprimeva con piena consapevolezza su quest’ultimo tratto del suo cammino: «Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato (Paraclito). In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano. L’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte. In proposito mi ritorna di continuo in mente quello che Giovanni racconta all’inizio dell’Apocalisse: egli vede il Figlio dell’uomo in tutta la sua grandezza e cade ai suoi piedi come morto. Ma Egli, posando su di lui la destra, gli dice: “Non temere! Sono io…” (cfr. Ap 1,12-17)».
E noi, caro Papa, mentre ti ringraziamo di tutto, ne siamo certi: così ti ha accolto il Signore della Vita.