Si tratta di quello silenzioso e prolungato vissuto dall’autore con l’icona della Trinità di Rublëv. Nella nota 5 di pag. 79 ne parla nei termini di «indescrivibile gioia ed esperienza spirituale». Questo fa la differenza. A partire da questo passaggio, si percepisce infatti che l’autore di Brevi itinerari nella bellezza (Archa, Trento 2022, pp. 100) non intende fare lezioni di estetica o elaborare dottrine nuove, quanto piuttosto cerca di esternare e condividere col lettore i suoi ricordi, le sue meditazioni, le sue intuizioni. In ciò che ha provato c’è qualcosa di importante, che ha a che fare con il senso ed il gusto della vita. Così, leggendo ciò che scrive anche noi ripensiamo ai momenti in cui siamo rimasti ammirati davanti ad un arcobaleno, ad una notte stellata o al sorriso di un bambino, in cui siamo rimasti toccati dall’ascolto di una bella musica o dalla contemplazione di un’opera d’arte. E ci viene spontaneo condividere la sua convinzione circa il fatto che «non mai inutile tentare di riflettere sull’importanza della bellezza» (p. 89).

Nei diversi interventi, che come delle tessere colorate compongono questo «piccolo mosaico» (p. 7), si riconosce il tono di un innamorato della bellezza che non può trattenere il bisogno di parlarne, per far partecipi anche altri del suo cammino di ricerca, del suo desiderio di svelarne il mistero, per approfondirne le dimensioni ed ampliarne le prospettive di visione. Suoi compagni di viaggio sono prima di tutto i due pontefici Giovanni Paolo II e Francesco, più volte citati; uno spazio rilevante è riservato a Simon Weil, ammirata dall’autore per il suo spirito elevato che l’ha portata ad inginocchiarsi davanti alla purezza della Porziuncola di Assisi (cfr. p. 37). Vengono segnalate anche altre voci che si accostano in interventi sapientemente raccolti e collegati da Turoldo a Von Balthasar, da Florenskij a Givone, da Settis a Chagall; il nostro testo merita una menzione speciale anche per le note a piè di pagina.

Dalle pagine traspare anche una duplice attenzione che diventa anche preoccupazione, quella educativa e quella pastorale:

  • l’attenzione educativa, perché siamo chiamati non solo a reimparare il linguaggio della bellezza ma prima ancora a riattivare la nostra facoltà percettiva di stupirci. In questo impegno il ruolo della scuola è quanto mai decisivo, ma la questione riguarda tutti. «Forse è giunto il momento di una pedagogia e di una ascesi dello sguardo», si legge a pag. 71.
  • l’attenzione pastorale perché la bellezza è uno degli accessi privilegiato al mistero di Dio (e come comunità ecclesiali abbiamo tanti passi da fare in questo senso, perché il Cristianesimo possa lasciar trasparire la sua bellezza e così risultare desiderabile). E proprio in questo afflato spirituale p. Aldino che fa suo il desiderio di valorizzare la bellezza per trasportare con essa il mondo ai piedi di Dio e rendere possibile la totale incarnazione della fede (cfr. p. 38).

In conclusione la lettura di Brevi itinerari di bellezza non solo può risultare piacevole ed illuminante, ma può diventare anche uno stimolo a «vivere nella vera bellezza» (p. 12), ad impegnarsi a resistere alla bruttezza ed infine a combattere attivamente contro tutto ciò che può rovinare, deturpare, umiliare il nostro grande patrimonio artistico-culturale e l’intera creazione. Solo colui che conosce, apprezza ed ama la bellezza, potrà rispettare veramente ciò che ama e non lo distruggerà, né lo rovinerà. La musica, la poesia ed ogni arte possono pertanto costituire una prevenzione per i peccati ecologici. Se l’homo faber non rimane anche un “poeta”,
non può prolungare l’azione creatrice di Dio: solo il contemplativo che è in lui
saprà condividere la gioia del Creatore che vede che ogni cosa creata è bella.  L’arte è la miglior forma di contemplazione per l’homo faber che è ciascuno di noi. Cosa sarebbe l’uomo senza contemplazione e senza poesia/arte? Ancora una volta costatiamo che nella vita l’inutile/il gratuito è la cosa più importante!

Con questo contributo dunque p. Aldino ci aiuta a ripartire dalla bellezza e da quella nostalgia del bello che può farci restare umani perché «l’arte è come il cibo dell’anima e della mente: dopotutto si mangia anche per piacere e non solo per sopravvivere» (p. 59).