Egli veniva da un Paese, la Polonia, che negli ultimi tre decenni, con altri dell’Est europeo, aveva inutilmente tentato di chiudere le porte a Cristo in tutti gli ambiti della vita individuale e sociale. Le sue non potevano certo dirsi parole di circostanza o, peggio ancora, scontate; erano, invece, la viva testimonianza di una resistenza personale e di popolo a questa sistematica opera di chiusura, di rifiuto e di oppressione del cristianesimo.
La sera di quel 22 ottobre 1978 lo scenario era cambiato. Non più dalla collina del Wawel a Cracovia, bensì dal colle Vaticano a Roma, il nuovo successore dell’apostolo Pietro invitava gli uomini e gli Stati, da qualsiasi regime governati, non solo a non perseguitare ulteriormente il fatto cristiano, ma ad aprirsi, anzi a spalancarsi ad esso. Com’era possibile alla fine del secondo millennio dell’era cristiana non confrontarsi e addirittura negare un avvenimento che aveva segnato gran parte delle culture, delle civiltà e della vita di milioni di uomini?
Dette da ogni altro esponente della Chiesa cattolica quelle parole, pur vere, sarebbero state derubricate a frasi di circostanza che scorrono parallele alla vita; ora invece la biografia di chi le pronunciava conferiva ad esse il peso e l’autorevolezza che solo il vaglio dell’esperienza personale sa dare.
A quel vescovo venuto «da un Paese lontano» non si addicevano certo le parole che George Bernanos aveva scritto nel 1945: «Ci si fa sempre beffa delle persone che si accontentano delle idee. Ma che valore può avere un’idea stampata su una fredda carta, o impressa in un cervello quasi altrettanto freddo della carta? È necessario che l’idea si incarni, che penetri nei nostri cuori, che assuma il movimento e il calore della vita». Difficilmente si sarebbe potuto dire che quelle espressioni di Giovanni Paolo II non avessero «il movimento e il calore della vita».
Con le parole di quella sera e in contesti storici tutt’altro che favorevoli, il giovane, il sacerdote, e il vescovo Karol Wojtyła si era da molto tempo confrontato e ad esse aveva aperto e spalancato la propria vita. Ora, da Roma, sorretto anche dalla storia cristiana del popolo in cui affondava le propria radici, («Quando penso “patria” – esprimo me stesso, affondo le mie radici, è voce del cuore» - dalla sua poesia intitolata Pensando patria) e certo della loro verità, osava proporle «ai sistemi economici», a quelli «politici», ai «vasti campi di cultura» e di «civiltà».
Anche se quasi mezzo secolo è passato da quel 22 ottobre 1978 quella accorata supplica («Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!») non ha perso di attualità come lo stesso papa Francesco non mancava di ricordare durante l’udienza generale del 16 ottobre 2018 in occasione del quarantesimo anniversario dell’elezione di Giovanni Paolo II. Oggi solo una miope visione della realtà, anche ecclesiale, può ritenere che esse siano obsolete e da relegare in una sorta di ammuffito archivio della memoria storica e religiosa.
L’1 maggio 2011, commentando quelle stesse parole di Giovanni Paolo II durante l’omelia della messa per la sua beatificazione, papa Benedetto XVI si espresse così: «Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile».
In tempi di sempre maggior diffidenza e chiusura verso l’altro, verso tutto ciò che è sconosciuto e diverso da noi, anche oggi esse risuonano a tutti i livelli come un pressante invito a costruire una nuova fraternità. Sarebbe difficilmente compatibile pensare di aver spalancato le porte a Cristo e poi chiuderle a quegli uomini con cui egli si è identificato. «Qui, dunque, si tratta dell’uomo in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione. Non si tratta dell’uomo astratto, ma reale, dell’uomo concreto, storico. Si tratta di ciascun uomo perché ognuno è stato compreso nel mistero della redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero» (Redemptor hominis, n. 13).