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    thumb wadi ain es-siah1° tappa: Italia-Tel Aviv-Haifa-Wadi ‘ain es-Siah

    Dal 14 al 27 aprile un gruppetto di 14 persone, fra Padri e giovani in formazione della nostra Provincia veneta, ha ricevuto la grande grazia di partecipare ad un pellegrinaggio assolutamente sui generis in Terra Santa, sui passi di Gesù. E non in senso metaforico, ma in senso letterale questo gruppo dei pellegrini ha camminato con marce di 15 o anche 30 km giornalieri per visitare i principali luoghi segnati dalla vita terrena di Nostro Signore, da Nazareth a Gerusalemme passando per il lago di Tiberiade e Gerico. Ma muovendo i primi passi, com’è naturale per un gruppo di carmelitani, là dove quest’ordine religioso è nato, sulle falde del Monte Carmelo.

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    mappacarmelo2° tappa: Grotta di Elia - Stella maris - el-Muhraqa

    La Grotta di Elia

    Haifa: secondo giorno del nostro pellegrinaggio. Appena svegli P. Paco ci porta a visitare la Grotta di Elia, da non confondersi con la fonte di Elia che abbiamo visitato a Wadi ‘ain es-Siah. Per la strada passiamo accanto a un parco-museo della marina dove scorrazzano scolaresche di bambini in gita in mezzo a sommergibili e carri armati: ci si svela un altro volto dell’Israele attuale, volto di uno stato fortemente militarizzato e militarizzante.

    La grotta di Elia è anch’essa alle falde del Carmelo, proprio davanti al mare, ma un paio di chilometri più a nord di Wadi ‘ain es-Siah. Semiabbandonata fino a qualche tempo fa, negli ultimi anni l’agenzia israeliana del turismo di Haifa è riuscita a sponsorizzare vivacemente questo luogo, facendone un piccolo museo di storia ebraica e rispolverando la tradizione per cui qui il grande profeta avrebbe soggiornato. Tradizione avallata anche dalla religione musulmana, che venera questo luogo come la grotta di el-Khader, “il verdeggiante”, misteriosissima figura che appare in alcune sure nel Corano e identificata proprio con l’Elia biblico.

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    tappa 3

    3° tappa: Monte Carmelo-Nazareth

    Piana di Esdrelon

    Lasciamo il convento di el-Muhraqa alle prime luci dell’alba, per non dover poi camminare troppo tempo sotto il sole. Si preannuncia infatti una giornata stupenda, adombrata soltanto dalla malinconia di stare lasciando il nostro Monte Carmelo. Ne scendiamo le pendici velocemente, verso la sottostante piana di Esdrelon (o di Izreèl) che attraverseremo alla volta di Nazareth. E’ stridente notare il contrasto, lungo il tratturo per cui discendiamo, fra un contadino druso con le sue vacche, e alcuni israeliani che sfrecciano su moto da cross.

    Arrivati ai piedi del Carmelo ci aspetta il Kison, il celebre torrente presso il quale Elia uccise i profeti di Baal (1Re 18,40: c’è una collina che ancora ricorda, nel nome, l’episodio), e che, “torrente impetuoso”, travolse le truppe di Sisara (Gdc 5,21). E benché sia un fiumiciattolo, anche per noi il Kison non si mostra amichevole: per le piogge dei giorni precedenti si è gonfiato alquanto e P. Paco non riesce a trovare un posto dove guadare. Dopo varie esplorazioni conveniamo che l’unica soluzione sta nel prendere un cavalcavia in costruzione a un paio di chilometri di distanza e passare in questo modo all’altra sponda. Allunghiamo un po’ ma non abbiamo alternative.

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    tappaquarta

    4° tappa: Nazareth-Lago di Tiberiade

    Sveglia alle 4:15 a.m., lasciamo Nazareth alla volta del Mar di Galilea: o Lago di Tiberiade, o di Genesaret, o di Kinneret, come lo chiamano gli israeliani dal nome dello strumento, una specie di arpa, di cui pare abbia la forma. Per uscire dal centro urbano prendiamo un autobus che ci porta qualche chilometro fuori città, all’altezza del “Museo” della Brigata Golani, una delle più decorate dell’esercito israeliano e che pertanto è stata fregiata di questo memoriale che ne ricorda la storia e le imprese. Ne costeggiamo la recinzione, e le nostre figure si confondono quasi con le spettrali silhouette di alluminio dei soldati che fanno parte di questo parco museale. Dopo qualche chilometro, invece, passiamo dentro un altro luogo caratteristico dell’Israele colonizzatore: il kibbutz.

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    tappa 55° tappa: Tabgha-Tiberiade

    Ancora a Tabgha

    Notte sulle rive del Lago: molto romantico, ma le zanzare ci divorano. Al risveglio, accoccolati sopra degli scogli vicino a noi, ci guardano impassibili gli iràci. Chi sono vi starete chiedendo? Anche noi abbiamo dovuto fare mente locale per individuare questo esotico roditore che nella Bibbia compare tre volte (Dt 14,7; Sal 103,18; Pr 30,26), qui in Terra Santa molte di più: ne avevamo già visti, infatti, a El-Muhraqa e vicino il museo della Brigata Golani, ma di sfuggita. Ora invece sono proprio a qualche metro di distanza e non sembrano intimoriti dalla nostra presenza; se ne stanno fermi, con calma sovrana, appollaiati sulle loro rocce, con il loro musetto dall’aria misteriosa (a questa pagina li troviamo ripresi nelle foto di alcuni nostri padri di El-Muhraqa). Sono veramente un animale singolare, e comprendo ora questo passo del libro dei Proverbi, sugli “esseri che sono fra le cose più piccole della terra, eppure sono più saggi dei saggi…gli iràci sono un popolo imbelle, eppure hanno la tana sulle rocce”. E meravigliato penso che la Provvidenza ce li ha messi lì apposta, come perfetta prefigurazione naturale di quello che Gesù ha proclamato a due passi da qui, sul Monte delle Beatitudini: “Beati i miti perché erediteranno la terra…”

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    tappasesta6° tappa: Tiberiade-Gerico

    Gerico

    Saliti sull’autobus per Gerico ci addormentiamo tutti subito, tanta è la stanchezza accumulata. Mi risveglia lo sbattere, sul mio ginocchio, di un mitra di una giovane valchiria dell’esercito israeliano che sta passando fra i sedili: siamo circondati da soldati! Ma non abbiamo fatto niente, neanche rubato la frutta stavolta! No, non c’entriamo niente per fortuna, è soltanto un’allegra comitiva di soldati e soldatesse, evidentemente dello stesso squadrone, che sta cercando posto sui sedili, per tornare alla loro base dopo qualche giorno di permesso. Intanto l’autobus s’immette in autostrada e corre veloce nella depressione giordanica, giù giù verso il sud: il panorama a ovest si fa sempre più desertico, lunare, mentre a est un po’ di verde sopravvive solo lungo la striscia del fiume.

    Chiedo a uno dei soldati quanto manca alla fermata per Gerico: mi guarda un po’ stranito, come se gli avessi chiesto quanto manca per Parigi. Mi dice che non lo sa, non c’è mai stato.  Che strano...possibile? Mi dico. La soldatessa al suo fianco, sempre col mitra in grembo, è tutta presa da un videogiochino sul suo smartphone lilla...sicuramente a Gerico non c’è mai stata neanche lei.

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    tappa settima

    7° tappa: Gerico-Betania

    Wadi Qelt

    Una nuova giornata a Gerico: deve essere qualche solennità del calendario musulmano, perché dai minareti non cessano di rimbombare sure del Corano, a partire dalle 4 di stamattina...mi allietano molto di più le risa cristalline dei bambini che sciamano nella struttura dove siamo alloggiati: un asilo gestito dalla parrocchia dei francescani. Bambini dagli occhi di stelle e dai sorrisi di un’innocenza così candida che ti fa dimenticare tutto lo sporco e lo squallore delle strade polverose di Gerico.

    Ci riuniamo: P. Gianni ci propone un momento di confronto per tirare un po’ le fila e fare mente locale della valanga di sentimenti, pensieri, impressioni che ci ha travolto sino ad ora da quando siamo atterrati in Israele: “…perché il Signore a volte parla a te direttamente, a volte a un tuo fratello, e di questa parola possiamo nutrircene tutti!”. E così, in circolo - fra le urla dei pavoni che i francescani tengono in giardino e gli invitatori dei megafoni dei minareti - ognuno apre il proprio cuore per gli altri. Mi colpiscono in particolare le parole di F. Fabio Dal Fiume, della provincia lombarda (ma provvisoriamente nella nostra provincia per motivi di studio), per il quale se i Francescani sono i custodi della Terra Santa, i Carmelitani sono i custodi della sua promessa, della sua vocazione: altrettanto santa aggiungo io, e ricordo che il 13 giugno verrà ordinato sacerdote a Brescia! Michele parla dei passi di Gesù, che si son confusi coi nostri passi, in un contrasto fecondo che abbiamo vissuto ogni giorno fra la Sua presenza reale, nella S. Messa, e il Suo compimento nel nostro cammino, nella nostra vocazione. Francesco Conte ricorda quanto è stato bello camminare tutti insieme, spronato da chi era in prima fila e accompagnando chi era indietro.

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    tappa ottava

    8° tappa: Gerusalemme-Betlemme

    “Canto delle salite. Di Davide. Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!». Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme! Gerusalemme è costruita come città unita e compatta” (Sal 123(122),1-3).  Ognuno di noi pellegrini, credo, ha nel cuore questi versetti quando, lasciando Betania alle nostre spalle, “i nostri piedi si fermano” al check-point per entrare in Gerusalemme: soliti tristi controlli a bordo dell’autobus. Ma questi non smorzano l’emozione, e nemmeno il maltempo in cui incappiamo, quando scendiamo al capolinea nel cuore di Gerusalemme, e possiamo direpace…ci aspetta l’ostello di Maria Bambina, dei Francescani, dove finalmente troviamo dei letti e una sistemazione un po’ più comoda di quella vissuta nei giorni precedenti. Quest’ostello è nel quartiere cristiano, appena dentro le imponenti mura di Solimano, a due metri dal quartiere arabo e a cinque minuti a piedi dal Santo Sepolcro. Dal terrazzo dell’edificio possiamo vederne la cupola a un tiro di sasso. Nonostante la stanchezza siamo tutti troppo curiosi e ci tuffiamo nelle viscere della Città vecchia di Gerusalemme.

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    tappa nona

    9° tappa: Gerusalemme

    Gerusalemme: città della pace. Eppure dovrò cominciare il resoconto della visita di questa città con un brutale fatto di cronaca di cui siamo stati quasi testimoni: l’uccisione di un adolescente palestinese nello stesso quartiere (chiamato El Tur, sul Monte degli Ulivi) dov’è il monastero delle nostre carmelitane scalze, in Gerusalemme est, vicino la Chiesa del Padre Nostro.

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    ainkaremfacciata10° tappa: Gerusalemme-Italia

    Ain Karem

    Nuovo risveglio a Gerusalemme! Domenica 26 aprile, dopo dodici giorni di pellegrinaggio, è l’ultimo giorno di visita in Israele: ci aspetta una lunga passeggiata, di almeno una dozzina di km, dalla Città vecchia di Gerusalemme al sobborgo di Ain Karem, il luogo tradizionalmente associato alla Visitazione di Maria a sua cugina Elisabetta. Ci alziamo “in fretta” come Maria (Lc 1,39) e ci incamminiamo per la città, lasciandocela sempre più alle nostre spalle. Fra il centro storico e la periferia passiamo per dei modernissimi quartieri residenziali e amministrativi (siamo vicino agli organi centrali di Israele: il Parlamento, la Corte Suprema, lo Yad Vashem), ma con uno stile inconfondibilmente anni ’30: tutti i palazzi sono austeramente squadrati e ricoperti di lastroni di granito che ricordano da vicino i lastroni di marmo dell’edilizia fascista, o i palazzi dei quadri di De Chirico. L’atmosfera che se ne ricava è la stessa: una surreale solennità, una solidità forzata, fuori dal tempo. Non voglio certo dire che Israele si ispiri a uno Stato totalitario, ma qui mi pare evidente che ideologie simili a monte, quali ad esempio il patriottismo etnico e il militarismo, sortiscano effetti analoghi a valle. Proseguendo oltre verso la periferia della città, i palazzoni si diradano sempre più in quella che è chiamata “la foresta di Gerusalemme”: un vero e proprio bosco alle porte della città, in cui ci inoltriamo per un idilliaco sentiero fra pini e cipressi piantati negli anni ’50, e dove dimorano scoiattoli e sciacalli.