di F. Iacopo Iadarola ocd
2° tappa: Grotta di Elia - Stella maris - el-Muhraqa
La Grotta di Elia
Haifa: secondo giorno del nostro pellegrinaggio. Appena svegli P. Paco ci porta a visitare la Grotta di Elia, da non confondersi con la fonte di Elia che abbiamo visitato a Wadi ‘ain es-Siah. Per la strada passiamo accanto a un parco-museo della marina dove scorrazzano scolaresche di bambini in gita in mezzo a sommergibili e carri armati: ci si svela un altro volto dell’Israele attuale, volto di uno stato fortemente militarizzato e militarizzante.
La grotta di Elia è anch’essa alle falde del Carmelo, proprio davanti al mare, ma un paio di chilometri più a nord di Wadi ‘ain es-Siah. Semiabbandonata fino a qualche tempo fa, negli ultimi anni l’agenzia israeliana del turismo di Haifa è riuscita a sponsorizzare vivacemente questo luogo, facendone un piccolo museo di storia ebraica e rispolverando la tradizione per cui qui il grande profeta avrebbe soggiornato. Tradizione avallata anche dalla religione musulmana, che venera questo luogo come la grotta di el-Khader, “il verdeggiante”, misteriosissima figura che appare in alcune sure nel Corano e identificata proprio con l’Elia biblico.
E avallata anche dalla nostra fede, tant’è che proprio a partire da questa grotta ripartì la “riconquista” del Carmelo da parte dei carmelitani scalzi, grazie all’instancabile opera di Prospero dello Spirito Santo, uno spagnolo di fuoco che ai primi del ‘600, contro tutto e tutti (anche del P. Generale Ferdinando di S. Maria, che lo esortava a lasciar stare il Carmelo di Palestina e a salire invece quello di S. Giovanni della Croce!), riuscì a strappare all’emiro Ahmed Turabay, allora signore del luogo, l’acquisto di questa ed altre grotte del Carmelo. Ciò avrebbe permesso, nei secoli a venire, il ristabilimento della nostra presenza su questo santo monte, essendo diventati più che favorevoli a questo progetto i generali successori di P. Ferdinando e lo stesso Vaticano, per mezzo della congregazione Propaganda Fide.
Ora, nella grotta di Elia, dei tempi di Padre Prospero sopravvive una piccola cappellina dove egli celebrò una messa per la Madonna, come primo doveroso gesto per il ritorno dei carmelitani in Terra Santa. Ritorno che sarebbe stato faticosissimo, specie per l’opposizione di alcuni “santoni” musulmani (di origine indiana) che volevano la grotta tutta per sé e per il culto di el-Khader. Ma proprio essi avrebbero provvidenzialmente spinto l’inarrestabile Prospero a risalire le pendici del Carmelo sempre più su: dapprima presso “la Grotta dei discepoli di Elia” (“o dei figli dei profeti”), a mezza costa del monte, e infine sulla spianata del promontorio, dove alla fine del XVIII secolo sarebbero state gettate le fondamenta dell’attuale Santuario di Stella Maris (per la storia dettagliata di quest’avventura rimandiamo all’ottimo Il Carmelo in Terra Santa, Edizioni il Messaggero di Gesù Bambino, 1994 - curato dai nostri confratelli carmelitani scalzi della provincia ligure).
Stella Maris
Sulle orme di Prospero, dunque, risaliamo anche noi il Monte e arriviamo per pranzo a Stella Maris, dove la comunità conventuale ci accoglie affettuosamente nel proprio refettorio. Sono una dozzina di Padri di varia provenienza (Polonia, Israele, Madagascar, Italia, Sud America, India…) che hanno la cura di questo santuario con un notevole afflusso di pellegrini da tutto il mondo, e del convento di el-Muhraqa, di cui parleremo. La devozione locale è fortissima, sia per il profeta Elia (il quale secondo la tradizione avrebbe abitato, “aliquando”, una grotta che è proprio sotto il coro della Chiesa, aperta ai fedeli) sia per lo speciale patrocinio della Madonna sui cittadini di Haifa, da lei protetti durante i bombardamenti della Grande Guerra e che ancora oggi dimostrano la loro gratitudine con una solenne e molto partecipata (caso raro in Terra Santa!) processione cittadina, che va dalla nostra parrocchia di S. Giuseppe a Stella Maris. La chiesa del santuario è stata consacrata nel 1836, e vi si venera una bella statua della Madonna del Carmelo di fattura genovese, di fronte alla quale abbiamo intonato il Flos Carmeli e ci siamo uniti alla silenziosa preghiera di tutto l’Ordine, concretamente rappresentata da varie lampade votive che ardono di fronte alla statua, una per ogni provincia che compone la nostra famiglia carmelitana. E, a render più appassionante e coinvolgente questo architettonico fulcro mariano dell’Ordine, sono alcune citazioni del Cantico dei Cantici istoriate lungo la base della cupola centrale della Chiesa: “Caput tuum ut Carmelus et comae capitis tui sicut purpura regis vincta canalibus - Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo e la chioma del tuo capo è come porpora; un re è tutto preso dalle tue trecce” (Ct 7,6): al di là dell’ovvio riferimento geografico, non faccio fatica a vedere in questo versetto condensata la cifra della mistica e della spiritualità di cui i carmelitani – e gli scalzi in particolare – sono eredi: la tensione sponsale nel rapporto con Dio, la possibilità per l’anima, sul modello di Maria, di concepire l’Infinito Dio e addirittura avvincerlo in un rapporto d’amore che per grazia Sua è scandalosamente paritario, là dove la creatura innamorata può far persino “scacco matto” al suo Sposo innamorato. Espressione quest’ultima che riprendo da S. Teresa di Gesù (Cammino di perfezione 16,1), la cui materna presenza si è fatta sentire chiaramente anche su questo monte: proprio a lei fu dedicato il conventino costruito da Padre Prospero a mezza costa, presso la grotta “dei discepoli di Elia” succitata, dove i nostri antenati vissero per ben 130 anni. Questo, dopo essere caduto nel disuso e nell’abbandono, grazie alla solerzia dell’attuale comunità residente a Stella Maris, da 3 anni è riaperto ai visitatori e vi siamo potuti andare a vivere un bel momento di fraternità e di raccoglimento, prima di ritornare alla nostra base, nella parrocchia di S. Giuseppe ad Haifa centro.
Scendendo dal monte abbiamo potuto vedere uno scorcio dell’imponente scalinata del tempio centrale della religione Bahá'í, che occupa gran parte del versante orientale del promontorio del Carmelo: il che, per quanto possa risultarci antipatico, attesta come questo monte abbia non solo in passato ma a tutt’oggi catalizzato e canalizzato disparate correnti spirituali: dal culto dello Zeus Carmelus Heliopolitanus precristiano sino all’ebraismo, all’Islam e oltre. E, di volata, aggiungiamo che le attenzioni che il Carmelo desta a tutt’oggi non sono solo di carattere religioso, ma anche strategico: l’ex-foresteria di Stella Maris, sulla quale è stato costruito un faro, è a tutt’oggi sotto il controllo dell’esercito israeliano (fatto singolare: è il nome del faro - “Stella Maris” – ad aver dato il titolo al convento, e non viceversa!).
El-Muhraqa
Il mattino seguente sveglia alle 4:30! Usciamo lesti dai sacchi a pelo e corriamo verso la pensilina dell’autobus che ci avrebbe fatto risalire la città, d’una esuberanza tropicale ancor più incantevole, ora che è assopita, verso l’università di Haifa, situata sul punto più alto del Carmelo, come ultima propaggine edilizia. Oltre essa, distese verdeggianti a perdita d’occhio di karmel: termine che in ebraico indica precisamente questo tipo di macchia mediterranea che è a metà strada fra la steppa (midbar) e lo ya’ar (la foresta). Mentre la spiegazione di karmel come kerem + ‘el (“giardino, vigna di Dio”) pare che sia etimologicamente meno fondata, anche se molto suggestiva e sicuramente da tenere in considerazione per il suo valore spirituale. Questo karmel, dicevamo, si estende per chilometri e chilometri all’orizzonte: solo ora ci rendiamo conto di come il Carmelo non sia soltanto il promontorio marino (ro’sh ha-Karmel, il capo del Carmelo che si erge sul mare come la testa dell’amata, secondo le parole del Cantico), ma un’intera catena montuosa che si spinge nell’entroterra, in direzione sud-est, per almeno 25 chilometri. I quali, zaino in spalla, ci accingiamo a macinare nella macchia, diretti alla nostra prossima destinazione: el-Muhraqa. Il cammino è lieto - in un’orchestra di canti mattutini di uccelli e processionarie di ciclisti - ma lungo. Facciamo tappa intermedia nel villaggio di Isfiya, ospiti delle suore di S. Giuseppe, congregazione carmelitana che qui gestisce un asilo e un collegio. Riprendiamo il cammino attraverso il piccolo villaggio, in cui abitano numerosissimi drusi, la cui religione è tanto misteriosa (non ne possono parlare, infatti, di precetto) quanto appariscente il loro aspetto interiore: baffi e zucchetto bianco per i maschi, velo bianco per le donne.
Arriviamo nel pomeriggio, e i due padri di Stella Maris che sono di turno al conventino di Muhraqa ci accolgono mettendoci a disposizione una rustica foresteria, che è comunque una reggia per le nostre membra stanche. Il sito è incantevole (è visitato infatti da molti turisti e pellegrini) specialmente per una terrazza panoramica da cui si gode una vista mozzafiato di tutta la piana di Esdrelon: P. Paco sciorina davanti ai nostri occhi episodi salienti del Vangelo e dell’Antico Testamento che ora possiamo localizzare spazialmente: Endor, il Tabor, Naim, l’Hermon, i monti di Gelboe, Tiro e Sidone in lontananza…ma ancor più entusiasmante della vista è la notizia che questo sito è realmente il luogo dove Elia fece scendere il fuoco dal cielo (muhraqa vuol dire appunto “luogo bruciato”) per convincere il popolo di Israele a seguire Yahweh e non Baal. Se in tutti gli altri luoghi che avevamo visitato la presenza di Elia era dubbia o supposta, su questo non ci sono dubbi o tradizioni parallele. Sulla stessa terrazza, quindi, leggiamo ad alta voce dalla Bibbia parte del ciclo di Elia (1Re 17-18), e poi scendiamo nella graziosa cappella del convento per celebrare una messa votiva per il santo profeta e “pater carmelitarum”: l’altare è costruito con dodici pietre, proprio come quello che eresse Elia per il proprio sacrificio. Con esso persuase gli israeliti di allora che non saremmo mai abbastanza ardenti nel seguire Dio come dovremmo, se non imploriamo dall’alto la fiamma divina del suo Amore. Fiamma che per noi cristiani scende ad ogni messa, come cantiamo nei vespri pasquali di questi giorni: “Il suo corpo arso d'amore sulla mensa è pane vivo”!
(per leggere i resoconti delle altre tappe clicca qui)
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