Per noi quindi, se volessimo vedere con i nostri occhi Gesù risorto apparirci davanti, varrebbe oggi lo stesso rimprovero fatto ai discepoli in quel momento: «perché state a guardare il cielo?» (At 1,11). Perché fissate il vostro sguardo in aria nell’attesa di vedere il Signore Gesù quando egli non apparirà più risorto come apparve in quei quaranta giorni? Eppure egli non ci ha abbandonato.

Se ci apparisse visibilmente Gesù risorto, avremmo forse più facilità nel credere che Gesù è risorto e che è vivo come ha promesso: «io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20)? Se lo vedessimo compiere ancora miracoli e potessimo perfino toccarlo, avremmo forse solo allora la certezza che, dopo la sua ascensione al cielo e glorificazione alla destra del Padre, «il Signore agisce con noi» (cf Mc 16,20)? Ci lamentiamo forse del fatto che coloro che l’hanno visto durante la sua esistenza terrena e poi apparire loro risorto hanno avuto più chances di credere in lui con una fede più certa e salda? Io la penso diversamente. E ci sono dei testi, qui sotto riportati, che mi aiutano a sostenere questa mia idea:

Se ci apparisse visibilmente Gesù risorto, non lo sentiremmo più vivo di quello che è già grazie alla nostra fede che ce lo fa sentire presente, non avremmo una prova più determinante per credere e sentire che è risorto, non avremmo una convinzione più forte per testimoniarlo vivo. Sarebbe solo una conferma “piacevole”, da parte Sua e non da noi richiesta, del fatto che Lui è vivo, è presente, ora, vicino a noi. Ciò noi lo crediamo già, lo sappiamo già, lo sentiamo già perché egli ci dona la sua presenza, e siamo tra i beati che credono che Lui è risorto pur senza vederlo con gli occhi del corpo (cf. Gv 20,29), siamo tra i beati che lo testimoniano vivo perché egli vive, e noi viviamo in Lui e Lui vive in noi.

Testi

«È risorto! Questa risurrezione del Signore, annunziata dall’angelo alle pie donne e confermata poi dalle varie apparizioni di Gesù nello stesso giorno di Pasqua, diventa così l’avvenimento più grande dell’esperienza cristiana. Gesù glorioso si mostra ai discepoli, parla con loro, con loro condivide il cibo e si intrattiene nell’amicizia di sempre e nella sapienza di sempre. Ma la Pasqua non è soltanto l’avvenimento di risurrezione del Signore, ma è presa di coscienza di questo avvenimento da parte dei discepoli, inizio della “missione” della Chiesa: annunciare la resurrezione di Gesù, rendendo testimonianza al Signore Gesù, gridando nella coscienza e nella vita della gente che il Signore è risorto e che questa resurrezione è la salvezza degli uomini. Oggi siamo noi a rivivere questo mistero e parliamo di Gesù come di uno vivo. Nella profondità della fede lo sentiamo tra noi e gli rendiamo la testimonianza: è veramente risorto!»

Anastasio Ballestrero

«Mi era accaduto l’incontro con parecchi cristiani né più vecchi, né più stupidi, né più idealisti di me, che vivevano la mia stessa vita, discutevano quanto me, danzavano quanto me. Anzi, avevano al loro attivo alcune superiorità: lavoravano più di me, avevano una formazione scientifica e tecnica che io non avevo, convinzioni politiche che io non avevo… Parlavano di tutto, ma anche di Dio che pareva essere a loro indispensabile come l’aria. Erano a loro agio con tutti, ma – con una impertinenza che arrivava fino a scusarsene – mescolavano in tutte le discussioni, nei progetti e nei ricordi, parole, idee, messe a punto di Gesù Cristo. Cristo avrebbero potuto invitarlo a sedersi, non sarebbe sembrato più vivo… In occasione di un baccano qualsiasi, era stata ricordata Teresa d’Avila che consigliava di pensare in silenzio a Dio cinque minuti ogni giorno. Scelsi quel che mi sembrava tradurre meglio il mio cambiamento di prospettiva: decisi di pregare! Poi leggendo e riflettendo, ho trovato Dio; ma pregando “ho creduto” che Dio mi trovasse, e che Egli è la verità vivente che si può amare come si ama una persona.

Tu vivevi e io non ne sapevo niente. Avevi fatto il mio cuore a tua misura, la mia vita per durare quanto Te e, poiché non eri presente, il mondo intero mi appariva piccolo e stupido e il destino degli uomini insulso e cattivo. Ma quando ho saputo che vivevi, t’ho ringraziato d’avermi fatto vivere, t’ho ringraziato per la vita del mondo intero».

Madeleine Delbrêl

I Samaritani non avevano preteso alcun segno, avevano creduto unicamente sulla sua parola (cf. Gv 4,39-41); i concittadini di Gesù, invece, meritarono il rimprovero: Voi, se non vedete segni e prodigi, non credete (Gv 4,48). Infatti questi ultimi videro il Signore Gesù camminare sulla terra, lo videro compiere miracoli, illuminare i ciechi, aprire le orecchie ai sordi, sciogliere la lingua ai muti, ridar vigore alle membra dei paralitici; lo videro camminare sulle acque, comandare ai venti e ai flutti, risuscitare i morti; lo videro compiere tanti segni, eppure così pochi credettero. Mi rivolgo ora al popolo di Dio: noi, che in così gran numero abbiamo creduto, quali miracoli abbiamo veduto? Abbiamo udito il Vangelo, abbiamo aderito al Vangelo e per mezzo del Vangelo abbiamo creduto in Cristo: non abbiamo visto alcun prodigio, non pretendiamo alcun prodigio. Anche Tommaso, benché fosse uno dei dodici eletti e santi, pretese mettere il dito nel posto delle ferite, e il Signore lo rimproverò come aveva rimproverato l’ufficiale regio. A questi aveva detto: Voi, se non vedete segni e prodigi, non credete (Gv 4,48). A Tommaso disse: Hai creduto, perché hai veduto (Gv 20,29).I Samaritani invece avevano creduto alla sua parola senza aver assistito ad alcun miracolo. E presto Gesù li lasciò, sicuro della fermezza della loro fede, perché, se egli se ne andava, non li privava della sua presenza divina. E siccome presso questi stranieri Gesù viene onorato, ecco la dichiarazione: Beati quelli che credono senza aver veduto (Gv 20,29). Questa beatitudine è per noi; è in noi che il Signore si è degnato realizzare ciò che allora esaltò. Quelli che lo crocifissero lo videro e lo palparono, e così pochi credettero; noi non abbiamo visto e non abbiamo toccato con mano: abbiamo udito e abbiamo creduto. Possa realizzarsi in noi fino alla perfezione la beatitudine che egli ha promesso qui, ora, e nel secolo futuro.

Agostino