Aveva scritto nel suo diario: «Bellezza della nostra missione. Tutti nel mondo lavoriamo in qualche modo a servizio degli uomini. Noi lavoriamo direttamente sull'uomo. Il nostro oggetto di scienza e di lavoro è l'uomo che dinanzi a noi ci dice... “Aiutami!”, e aspetta da noi la pienezza della sua esistenza... La nostra missione non è finita quando le medicine non servono più. C'è l'anima da portare a Dio. C'è Gesù che dice: “Chi visita un ammalato visita me”. Missione sacerdotale: come il sacerdote può toccare Gesù, così noi medici tocchiamo Gesù nel corpo dei nostri ammalati, poveri, giovani, vecchi e bambini. Che Gesù si faccia vedere in mezzo a noi. Che egli trovi tanti medici che offrano se stessi per Lui»1.

Ma se Gianna riusciva davvero a «toccare Gesù», curando i suoi malati e offrendosi per loro, era perché questo stesso «tocco» l’accompagnava continuamente in famiglia. Già da fidanzata poteva scrivere al suo Pietro, parole così vocazionalmente intense che lasciavano presagire la santità: «Pietro, potessi dirti tutto quello che provo per te! Ma non ne sono capace. Supplisci tu. Il Signore proprio mi ha voluto bene. Tu sei l'uomo che desideravo incontrare, ma io non ti nego che a volte mi chiedo: “Sarò io degna di lui?”. Sì, di te, Pietro, perché mi sento così un nulla, così capace di niente, che, pur desiderando grandemente di farti felice, temo di non riuscirci. E allora prego così il Signore: “Signore, tu che vedi i miei sentimenti e la mia buona volontà, rimediaci tu e aiutami a divenire una sposa e una madre come tu vuoi e penso che anche Pietro lo desideri”. Va bene così, Pietro?».

In prossimità del matrimonio gli scrisse: «Con l’aiuto e la benedizione di Dio faremo di tutto perché la nostra nuova famiglia abbia ad essere un piccolo cenacolo, dove Gesù regni sopra tutti i nostri affetti, desideri e azioni. Pietro mio, mancano pochi giorni, e mi sento tanto commossa ad accostarmi a ricevere il sacramento dell'Amore. Diventiamo collaboratori di Dio nella creazione, possiamo così dare a lui dei figli che Lo amino e Lo servano».

E il marito, poi, ricorderà così la bellezza della loro esperienza coniugale, allietata da tre bambini: «In casa eri sempre operosa: non ti ricordo una sola volta in ozio... Nonostante gli impegni della nostra famiglia hai voluto continuare la tua missione di medico a Mesero, soprattutto per l'affetto e la carità che ti legavano alle giovani mamme, ai tuoi "vecchi", ai tuoi "ammalati cronici"... I tuoi propositi, i tuoi atti erano sempre in piena coerenza con la tua fede, con lo spirito... di carità della tua giovinezza, con la piena fiducia nella Provvidenza e con il tuo spirito di umiltà. In ogni circostanza ti richiamavi sempre e ti affidavi alla volontà del Signore. Ogni giorno, lo ricordo, avevi sempre la tua preghiera e la tua meditazione, il tuo colloquio con Dio, il tuo ringraziamento per il dono dei nostri meravigliosi figlioli. Ed eri tanto felice».

Prima di parlare del misterioso dramma di materno amore misericordioso, vissuto da Gianna, abbiamo voluto sottolineare il fatto che i cristiani sono chiamati alla santità, cioè a lasciare che la Misericordia di Dio impregni le giornate e la vita intera in tutti i suoi aspetti. E parliamo di «misericordia» per il fatto che essa c’è sempre quando l’amore umano eccede le misure dettate dalla norma, dalle abitudini, dalle convenienze, dal merito, al punto che ci si muove sempre immersi nell’oceano dall’amore misericordioso di Dio. Senza tener conto di questa «divina immersione», non si capirebbe in maniera giusta l’esperienza di questa madre che diede la propria vita per garantire quella che portava in grembo.

È stato il marito stesso a spiegare accuratamente il senso del dono fatto dalla moglie a tutta la famiglia umana: «Quello che Gianna ha fatto non lo ha fatto "per andare in Paradiso". L’ha fatto perché si sentiva una mamma... Per comprendere la sua decisione non si può dimenticare, per prima cosa, la sua profonda persuasione, come mamma e come medico, che la creatura che portava in sé era una creatura completa con gli stessi diritti degli altri figli, anche se era stata concepita da appena due mesi. Un dono di Dio, al quale era dovuto un rispetto sacro. Non si può nemmeno dimenticare il grande amore che aveva per i bambini: li amava più di quanto amasse se stessa. E non si può dimenticare la sua fiducia nella Provvidenza. Era persuasa, infatti, come moglie, come madre di essere utilissima a me e ai nostri figli, ma di essere soprattutto, in quel preciso momento, indispensabile per la piccola creatura che stava crescendo in lei...».

Così, pienamente consapevole che l’ultima gravidanza poteva costarle la vita (a causa di un tumore all’utero), Gianna si decise per una «meditata immolazione» (come la definì Paolo VI). Al marito e ai medici curanti disse con forza: "Non salvate me, ma il bambino". Per comprendere bene il valore di questa sua "scelta”, possiamo ascoltare la riflessione del marito che condivideva, nella stessa fede, la decisione della moglie, ma non riusciva nemmeno a pensarci e a parlarne.

«A me – testimonierà egli in seguito – tornava in mente con insistenza la sua richiesta che fosse «salvata la gravidanza», ma non osavo andar oltre con il pensiero. Non osavo parlarne con mia moglie. Qualche tempo dopo: ‘Pietro – mi disse – ho bisogno che tu, che sei sempre stato tanto amorevole con me, lo sia ancora di più in questo periodo, perché sono mesi un po' tremendi per me’. Continuavo a vederla tranquilla. Si occupava con il solito affetto dei nostri bambini e dei suoi malati. Poi un giorno mi sono accorto che metteva a posto la casa con una attenzione particolare. Che riordinava i cassetti, gli armadi... come se avesse dovuto partire per un lungo viaggio...». Certo anche Gianna viveva le sue angosce, e lo confesserà sul letto di morte alla sorella: «Sapessi quanto si soffre quando si lasciano i bambini tutti piccoli!».

Gianna 2Che cosa, dunque, la spinse a quella scelta? Certamente la coscienza chiara, senza ombra alcuna, di dovere obbedire a quel Dio che dice: «Non uccidere!». L'aveva detto lei stessa, da medico, a una ragazza che le chiedeva di farla abortire: «Non si scherza con i bambini!». Ma questa obbedienza nasceva da una persuasione per lei evidente: non si possono curare tre bambini, sacrificandone un altro. 

Finalmente siamo giunti alla parola decisiva, quella parola antica che è l’unica luce che possiamo veramente guardare, quando l’esistenza sembra farsi oscura e difficile da decifrare: la Provvidenza di Dio. Se non c'è la Provvidenza divina, la creatura deve agitarsi, fare i suoi calcoli, perfino uccidere nella persuasione di migliorare la vita propria e altrui. Se c'è l'umile, semplice, antichissima fede nella Provvidenza – quella a cui Cristo ha dato un volto filiale e paterno – allora la ragione dell'uomo continua a percepire le sue evidenze ("una reazione ragionata", come ha coraggiosamente scritto il marito).

E l'evidenza era che agli altri tre figli ella era “necessaria”, ma a quello che portava in grembo ella era “indispensabile”. Senza di lei Dio poteva "provvedere" agli altri bambini, ma neppure Dio avrebbe potuto "provvedere" a quello che lei portava in grembo, se lei lo rifiutava. Perciò in lei, col passare dei mesi, non aumentava solo la sofferenza, ma anche la tenerezza verso il piccolo che le cresceva dentro. 

Torniamo al dolente racconto del marito: «Un mese e mezzo prima della nascita di nostro figlio è successa una cosa che mi ha sconvolto. Dovevo uscire per andare in fabbrica e avevo già infilato il cappotto. Gianna – mi pare ancora di vederla – era appoggiata al mobile della anticamera della nostra casa. Mi è venuta vicino. Non mi ha detto: “Sediamoci”, “Fermati un momento”, “Parliamo”. Niente. Mi è venuta vicino, così come succede quando si debbono dire cose difficili, che pesano, ma alle quali si è tanto meditato, e su cui non si vuole “tornare”.  “Pietro, – mi ha detto – ti prego... , se si dovrà decidere tra me e il bambino, decidete per il bambino, non per me. Te lo chiedo”».

Glielo ripeterà ancora poco prima del parto. Così anche nel colloquio con una un’amica:

– «Vado all'ospedale, ma non sono sicura di tornare. La mia maternità è difficile; dovranno salvare o l'uno o l'altro; io voglio che viva il mio bambino».

– «Ma hai altri tre bambini, preoccupati di vivere tu piuttosto!».

– «No, no... Voglio che viva il bambino».

A un’altra amica incontrata dal parrucchiere aveva detto: «Prega, prega anche tu! Durante questa difficile gravidanza ho tanto studiato e pregato per la mia nuova creatura... Prega affinché sia pronta a fare la volontà di Dio!». E Dio volle che la sua passione cominciasse proprio il Venerdì Santo del 1962. Raccontò una suora dell'ospedale: «La incontrai mentre saliva i gradini per essere accolta in reparto. Mi disse: “Suorina, eccomi, sono qui per morire”, ma aveva uno sguardo buono e sereno. E aggiunse: “Basta che vada bene il bambino, per me non fa niente!”».

Il terribile travaglio durò tutta la notte; e la nascita avvenne alle undici del Sabato Santo. Quando Gianna si risvegliò dall’anestesia, le portarono la piccola: «L’ha guardata con uno sguardo lunghissimo in silenzio. Se l'è tenuta accanto con una tenerezza indicibile. L’ha accarezzata leggermente senza dire una parola», raccontò poi il marito.

Morì una settimana dopo per una peritonite settica, senza che si riuscisse a far nulla per salvarla. Nella cappella mortuaria dove è stato deposto il suo corpo, il marito ha voluto far ricoprire la parete di fondo con un mosaico dorato: vi è raffigurata Gianna che offre alla Madonna di Lourdes la sua bambina. E la scritta, in latino, tratta dal libro dell’Apocalisse, dice così: «Sii fedele fino alla morte!».

Quella di Gianna Beretta Molla fu, appunto una «fedeltà misericordiosa» che (tornando alla bella espressione del profeta Isaia) può essere sintetizzata così: fu una madre che preferì «dimenticare se stessa», piuttosto che dimenticare – anche per un solo istante – la creatura che portava in grembo e che solo lei poteva salvare.

Note:

1 Per tutte le citazioni cfr. P. Molla - E. Guerriero, La beata Gianna Beretta Molla nel ricordo del marito, ed. San Paolo, Cinisello B., 1995.