Si era realizzato, così, un’altra specie di prodigio: una sorta di «guarigione sociale». Ormai fra Martino era venerato dal Viceré, dal Governatore, dal Vescovo della città, e da un’innumerevole schiera di persone benestanti che gli mettevano a disposizione le loro ricchezze. Così, attraverso le sante mani del fraticello mulatto, parte delle ricchezze depredate dai potenti tornava ai poveri. Tanto che, in Perù, Martino è stato addirittura proclamato «Patrono della giustizia sociale».
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2. Santa Katharine Mary Drexel (1858-1955).
Nata a Filadelfia, apparteneva a una delle più ricche famiglie della Pennsylvania, ma scelse di dedicare la sua vita e i suoi beni ai “nativi americani” (detti anche “indiani”), dopo aver letto un libro in cui si denunciavano le vessazioni, le ingiustizie e le malversazionicommesse dai funzionari governativi contro di loro. Ciò che l’autore definiva come «vero genocidio». Cominciò visitando alcune riserve indiane del Far West per valutare il problema, poi intraprese un viaggio analogo negli Stati del Sud, scoprendo anche la misera situazione degli afro-americani che (nonostante l’abolizione della schiavitù) continuavano a lavorare nelle piantagioni, oppressi e malpagati, senza diritti, senza istruzione e senza assistenza sanitaria, soggetti ancora a una dura legge di segregazione razziale. Cominciò dunque a spendere il suo notevole patrimonio per costruire scuole nelle riserve indiane e nei ghetti dei “neri”. Ma si accorse che neppure questo bastava. Così nel 1891, assieme a tredici amiche, fondò una nuova famiglia religiosa che portava questo nome ufficiale, approvato da Roma: «Congregazione del Santissimo Sacramento per gli indiani e le popolazioni di colore», aggiungendo ai voti la promessa «di non intraprendere mai alcuna opera che portasse a trascurare o abbandonare neri o indiani». Il riferimento all’eucaristia serviva appunto a ricordare che «Cristo ha dato tutto se stesso, per essere cibo per tutti, senza distinzione di razza o di colore».
Cominciarono ad aprire scuole-convitto per bambini dei pueblos e collegi per ragazze di colore. Si susseguirono poi missioni, chiese, scuole, collegi, centri di formazione, disseminati in 21 Stati dell’Est e del Far West americano, dove era più numerosa la presenza dei nativi americani, e in tutti gli Stati del Sud dove languivano i neri. Nel 1925, venne decisa perfino la fondazione a New Orleans (Louisiana) della Xavier University, la prima e unica istituzione di studi superiori degli Stati Uniti destinata agli afro-americani. A ogni obiezione dei ben pensanti, le suore (spesso duramente perseguitate!) ribattevano tenacemente che non intendevano fare distinzioni tra «figli dei bianchi» e «figli dei negri» o «figli dei selvaggi» (come allora si usava), ma di vedere soltanto «figli di Dio». A questo proposito dicevano splendidamente che «la grotta di Betlemme (dove Gesù s’era donato per tutti) doveva essere la grande educatrice del mondo!».
In sessanta anni di attività, Katharine fondò 145 missioni cattoliche, 12 scuole per indiani e 50 per afro-americani (distribuendo circa 20 milioni di dollari) e circa 49 conventi per le sue cinquecento suore tutte dedite alla loro formazione. Alla sua morte molti si chiesero «cosa sarebbe stata mai l’America, e cosa sarebbe stata la Chiesa Cattolica riguardo alle minoranze etniche, se lei non ci fosse stata». E riconoscevano: «Katharine Drexel ha salvato la Chiesa dall’imbarazzo nel campo della giustizia sociale».
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3. Serva di Dio Dorothy Day (1897-1980)
Approdò santamente alle «opere di misericordia» dopo aver vissuto per molti anni in una spasmodica ricerca della verità e della santità che non riusciva a identificare. Fu atea, anarchica, socialista, contestatrice e ribelle, ma in lei c’era anche «lo stile di vita di S. Francesco d’Assisi; il coraggio profetico di Caterina da Siena; il dinamismo di Teresa d’Avila; la fiducia nella provvidenza del Cottolengo e lo spirito di accoglienza di S. Giovanni di Dio».
E nonostante tutte le strane esperienze che faceva, le cresceva dentro, in maniera incontenibile, il desiderio di pregare. Si convertì a venticinque anni, letteralmente gettandosi nelle braccia di Dio e della Chiesa, rinunciando a ogni altra sicurezza, ma continuando a sostenere un Movimento in difesa di tutte le battaglie sociali che reputava giuste.
Continuava sempre a ribadire che «vedere Cristo nell’altro, amarlo e averne cura è sinonimo di Paradiso, perché vivere in unione con Dio ci fa pregustare la gioia celeste. Chi vive con questa consapevolezza dentro di sé è un santo». Ma sosteneva con altrettanta forza «i veri atei sono quelli che non vedono Cristo nei poveri». Ai suoi «operatori» (spesso di diversa estrazione ideologica) ella parlava sempre e soltanto di «opere di misericordia». Non conosceva termine migliore per descrivere gli ideali del Catholic Worker Movement, da lei fondato nel 1933.
Esigeva soltanto una cosa: che in ogni casa ci fosse una stanza riservata alla preghiera dove ognuno potesse andare liberamente come e quando voleva. L’importante era che si vedesse chiaramente che nella casa c’era un cuore orante: «Sì, noi sfamiamo gli affamati. Cerchiamo di dare riparo ai diseredati e di dare loro dei vestiti; ma c’è una forte fede che ci spinge al lavoro: noi preghiamo. Se qualche estraneo venisse a farci visita e non notasse le nostre preghiere e che cosa significhi pregare, perderebbe il cuore della questione». Dorothy è stata definita «l’anarchica di Dio», ma sulla sua tomba è raffigurato un cesto di pane con dei pesci, e la scritta: «Deo gratias!».
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4. Servo di Dio fratel Ettore Boschini (1928-2004).
Fu un religioso camilliano che dedicò la sua vita agli emarginati di Milano. Dapprima li incontrava per le strade: barboni, mendicanti, vecchie prostitute, alcolizzati, tossicodipendenti, offrendo loro qualche possibile conforto. Poi capì che era troppo poco e decise di procurar loro un rifugio stabile, attrezzando due grandi magazzini disabitati, sotto la stazione ferroviaria. E i milanesi più intelligenti e affezionati lo definirono «la Cattedrale di fratel Ettore».
Da allora, per notti intere, egli si mise a percorrere i vicoli e le strade di Milano, fermandosi accanto ad ogni barbone avvolto nei suoi stracci e invitando tutti con dolcezza: «Vieni con me!». E poiché si moltiplicavano gli ospiti bisognosi di accoglienza specializzata fratel Ettore moltiplicava anche i “rifugi”, facendo nascere nuovi centri in vari paesi. Giunse fino a fondarne uno in Colombia per i bambini di strada. Di lui dicevano che era «Un santo che viveva contemporaneamente in epoche diverse: era un guerriero disarmato, come i santi del passato, che si faceva strada tra i disperati, anche i più pericolosi, col sorriso e la forza della fede. Ma era anche un uomo tecnologico che usava il computer e il cellulare».
In maniera folgorante qualcuno lo ha definito così: «Era un mistico concreto come un operaio».