2. La Spagna del XVI secolo sta vivendo un periodo complesso, di luci e ombre: in campo storico con il fenomeno della conquista di alcuni territori dell’America Latina, da giudicare tenendo conto di tanti fattori e non solo della nostra attuale sensibilità, , e in quello ecclesiale con gli echi della Riforma protestante che dalla Francia giungono anche in Spagna e con la vita religiosa di molti conventi e monasteri spagnoli bisognosa di una radicale riforma.
Della vita delle lontane popolazioni dell’America del Sud, delle Indie, come si diceva nel XVI secolo, Teresa conversava con il fratello Lorenzo che visse per oltre trent’anni nell’America del sud (Fondazioni, 25,3) e fu anche sindaco di Quito: «Ciò che mi affligge maggiormente, gli scriveva, è vederne perdersi tante [di anime] e quei suoi indiani non mi costano poco!» (Lettera, 2,13) e con religiosi come Fra Alfonso Maldonado del quale così scrive: «[egli] aveva i miei stessi desideri per la salute delle anime, ma del quale io avevo grande invidia perché li poteva mettere in pratica» (Fondazioni, 1,7).
3. Gli echi delle violenze tra Cattolici e Protestanti giungevano anche alle orecchie di Teresa di Gesù. Nel 1562, quando Teresa dà avvio alla riforma carmelitana, il luteranesimo è ormai largamente diffuso nel territori tedeschi, mentre in Francia e nei Paesi Bassi i seguaci di Calvino si diffondono sempre più. «Tutto il mondo e in fiamme, scrive; gli empi, per cosi dire, anelano di condannar ancora Gesù Cristo, scrivevano contro di lui un’infinità di calunnie e si adoperano in mille modi per distruggere la sua Chiesa» (Cammino 1,5). Accennando all’eucaristia come dono, scrive: «Ebbene per questo augustissimo sacrificio, si arresti finalmente la marea di peccati e delle irriverenze che si commettono fin là dove questo santissimo Sacramento risiede, specialmente fra i luterani che han distrutto le sue chiese, cacciati i sacerdoti e soppressi i sacramenti» (Cammino, 35,3). La sofferenza che ella prova è, se possibile, ancor più inspiegabile perché messa in atto da quei «luterani che per il battesimo» sono«già membri della Chiesa» (Vita, 32,6). Da vera «figlia della Chiesa», Teresa fa suo tutto ciò che la Chiesa sta soffrendo. Le sue parole, dure per la nostra sensibilità, ci mostrano una donna pienamente inserita nel suo contesto storico ed ecclesiale.
4. La reazione di Teresa di Gesù a questa «marea di peccati» (Cammino, 35,3) non è quella del «lamento amaro», perché «ogni tempo è buono per Dio» (Fondazioni, 4,5), come scrive papa Francesco. Ecco allora la risposta di Teresa al suo ambiente sociale e religioso: «E così venni nella determinazione di fare il poco che dipendeva da me: osservare i consigli evangelici con ogni possibile perfezione, e procurare che facessero altrettanto le poche religiose di questa casa». Papa Francesco ha definito questo atteggiamento come «il realismo teresiano, che esige opere invece di emozioni e amore invece di sogni». In materia di «opere»Teresa d’Avila è sempre stata chiara: «Il Signore vuole opere» (Mansioni, 5,3,11), e «a questo tende il matrimonio spirituale: a produrre opere ed opere» (Mansioni, 7,4,6).
5. Quali insegnamenti possiamo trarre dalla vicenda di Teresa d’Avila? Qui ci limitiamo ad accennare a due: il rapporto tra Chiesa e storia, e, proprio per la peculiare vicenda di Teresa di Gesù, il valore della mistica per il mondo e l’uomo d’oggi.
Nessuna epoca della storia è mai stata facile per la vita della Chiesa. La storia è il luogo dove la vicende umane, le ideologie e gli interessi economici si sono sempre confrontati e spesso scontrati. La Chiesa, se davvero vuole portare il Vangelo agli uomini, deve vivere facendosi carico di tutte queste vicende,consapevole di «aver ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti» (Gaudium et spes, n. 1). La storia della Chiesa non scorre parallela, ma dentro la storia degli uomini. «Impariamo piuttosto dai santi che ci hanno preceduto ed hanno affrontato le difficoltà proprie della loro epoca». Queste parole di papa Francesco nella Evangelii Gaudium al n. 263 indicano a tutta la Chiesa un modo di rapportarsi con la realtà. «Teresa, scriveva Walter Nigg, è cattolica dalla testa ai piedi, ma essa è la portatrice di un cattolicesimo integrale: bisogna cercare a lungo prima di incontrarne uno simile».
Se la Chiesa non può evadere dalla storia, in nome di che cosa potrebbero farlo i suoi mistici. La mistica non è evasione, ma, per quanto possibile in questa vita, totale immersione nell’esperienza del mistero di Dio. Ha scritto Marc Chagall, il geniale artista morto nel 1985: «È a torto che alcuni hanno paura della parola mistico. […] Ma senza mistica, esisterebbe forse al mondo un solo grande quadro, una sola grande poesia, o anche solo un grande movimento sociale? Ogni organismo – individuale o sociale – privato della forza mistica, del sentimento e della ragione non appassisce, non muore?». A dispetto di ogni obiezione, di ogni scetticismo, anche il nostro tempo e la Chiesa dei nostri giorni hanno bisogno dei santi e dei mistici. Oggi come ieri, come sempre.