2. Cinque secoli dopo santa Teresa, il termine ‘preghiera’ non hain noi la stessa risonanza che aveva in lei e nei suoi contemporanei. Potremmo dire che se anche oggi Dio è «nei cieli», molti uomini contemporanei entrano in rapporto con lui,lo pregano, quando e se accade, con una sensibilità diversa e spesso problematica. Altri, ritenendo la preghiera un rapporto limitante per la propria libertà, affermano che sia necessario liberarsi una volta per sempre di questa (religiosa) catena. Infine, per i più, la preghiera è un’inutile perdita di tempo. Ad esempio,Emil M. Cioran, scrittore rumeno morto a Parigi nel 1995,interessato alla religione e ai santi, sopratutto a santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce, ma al contempo ostile di ogni trascendenza e assertore di un radicale nichilismo antropologico,nel suo Sommario di decomposizione così parla della preghiera:
«Signore, datemi la facoltà di non pregare mai, risparmiatemi l'insania di qualsiasi adorazione, allontanate da me quella tentazione d'amore che mi consegnerebbe per sempre a voi. Possa stendersi il vuoto fra il mio cuore e il cielo! Non auspico affatto che i miei deserti siano popolati dalla vostra presenza, le mie notti tiranneggiate dalla vostra luce, le mie Siberie fuse sotto il vostro sole. (…) Alla vostra insulsa onnipotenza non chiedo altro che il rispetto della mia solitudine e dei miei tormenti. Non so che farmene delle vostre parole; e temo la follia che me le farebbe udire».
Santa Teresa di Gesù, invece, scrive nel libro della Vita (8,5):
«Qui [nella preghiera] non vi è nulla da temere, ma tutto da desiderare. (…) l'orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo d'essere amati. Ma voi direte che ancora non lo amate. Sì, perché l'amore sia vero e l'amicizia durevole, occorrono parità di condizioni, e invece sappiamo che mentre nostro Signore non può avere alcun difetto, noi siamoviziosi, sensuali ed ingrati, per cui non lo possiamo amare quanto Egli si merita».
3. Leggendo Cioran si può, per certi aspetti, rimanere sorpresi: la preghiera è un dialogo, ma non è desiderato e per questo «non so che farmene delle vostre parole»; è una «adorazione» che si può vivere solo quando si è ceduto alla «tentazione d’amore» e, se ciò accadesse, egli si troverebbe consegnato «per sempre» a Dio. Èevidente la sua errata concezione dell’amore. Chi ama non teme di perdersi consegnando la propria libertà, cioè se stesso, a chi ama, e chi ci ama, se davvero ci ama, non spadroneggia sulla nostra libertà. L’alternativa alla preghiera, a questa «tentazione d’amore», si chiama «vuoto»: «Possa stendersi il vuoto fra il mio cuore e il cielo!». Il paradosso è servito: si chiede a Dio di non pregarlo «mai» e di rispettare le umane «solitudini». Lo spazio «vuoto» che separa «il cuore dal cielo» può essere colmato, ma non è questa la prospettiva di Cioran, solo dall’amore: da Dio all’uomo e dall’uomo a Dio.
4. Teresa, non solo non teme l’amore, da cui nasce e in cui vive la preghiera, ma lo desidera: «Qui [nella preghiera] non vi è nulla da temere, ma tutto da desiderare». La cosa da sapere e da vivere nell’atto del pregare è una sola: la coscienza di «essere amati».Come una risposta può dirsi tale, cioè risposta, perché vi è stata prima una domanda, così è per l’amore tra Dio e l’uomo: questi,solo se consapevole di essere amato da Dio, può rispondere a Dio con l’amore. Senza questa benevolenza da parte di Dio, si può esser certi, l’amore dell’uomo per Dio durerebbe assai poco.
Le regole e le condizioni di una normale amicizia valgono anche per quella tra l’uomo e Dio. La prima di esse si chiama «relazione». «Quando non ci si mantiene in relazione, scrive santa Teresa, si perde anche quell’intimo rapporto che nasce dalla parentela e dall’amicizia» (Cammino, 26,9). Se così non fosse, non ci sarebbe bisogno di quel «frequente trattenimento da solo a solo» tra l’uomo e Dio. Una volta ancora, grande è la differenza tra Cioran e santa Teresa: il primo teme questo «solo a solo» perché è qui che più facilmente potrebbe cedere alla «tentazione dell’amore» verso Dio, la seconda lo desidera perché è in esso che può farne esperienza.
Due lucide affermazioni di Cioran tratte dal suo L’inconveniente di essere nati chiudono questa riflessione sulla preghiera: «Come avevano ragione, un tempo, di iniziare la giornata con una preghiera, con una richiesta di aiuto! Noi, non sapendo a chi rivolgerci, finiremo con il prosternarci davanti alla prima divinità strampalata». E: «In Paradiso non resisterei una ‘stagione’, e neppure un giorno. Come spiegare allora la nostalgia che ne ho? Non la spiego, mi abita da sempre, era in me prima di me». Perché non riconoscerlo: qualcosa di Cioran e, fortunatamente, anche di Teresa di Gesù, abita anche in noi.