Quel giorno la fatica fu triplicata perché il rituale complicato e rumoroso delle monache, che come al solito entrarono in processione cantando, seppur a bassa voce, provocò fastidio all’ammalata. Si decise allora di portarle la comunione una volta la settimana. In realtà il palese peggioramento delle condizioni di salute consigliò, la settimana successiva, di non portagliela mai più. Fu quindi probabilmente dopo diversi giorni che ci si rese conto che quella del 19 agosto 1897 era stata l’ultima comunione di Teresa.
Grazie però alle trascrizioni delle Ultime parole di Teresa mentre era in infermeria (pubblicate in parte già nel 1898 in appendice alla prima edizione di Storia di un’anima e nelle edizioni successive, ma più ampiamente nel 1927 col titolo Novissima verba) e grazie a una rappresentazione artistica raccolta nel libro La vita in immagini del 1923, questo momento considerato cruciale nella vita di un cristiano, il “viatico”, nel caso di Teresa ha assunto successivamente un valore simbolico eccezionale e sacrale che al momento non fu percepito con tale intensità. In verità l’immagine artistica rischia di darci una rappresentazione pacifica e maestosa della vicenda, quindi sviata, rispetto alle enormi difficoltà che Teresa attraversava dal punto di vista fisico, psicologico e spirituale nell’accostarsi all’eucaristia, in preda a paure e scrupoli, nonché dilaniata da dolori atroci e innervosita da ogni pur sommessa parola o da qualsiasi semplice gesto. Anche i Santi soffrono nel momento della malattia e della morte, come già Gesù nel Getsemani.
Quindi ci pare giusto ricostruire attraverso le testimonianze di quei giorni la reale situazione di Teresa e il vero atteggiamento con il quale visse quella che fu poi dichiarata la sua “ultima comunione”. Il nostro intento è quello da una parte di farcela sentire più vicina, più amica, più santa proprio nella sua debolezza; e dall’altra di guardare alle numerose immagini dell’ultima comunione di Teresa presenti nel suo Santuario di Verona-Tombetta come a ciò che la fede vede seppur velato e nascosto, poiché nelle sofferenze e insofferenze vissute la luce radiosa della gloria di Dio splende ancor più chiara. Infatti la grazia immensa di ricevere il viatico, la via al cielo, rappresenta il gesto ultimo e profondo di Gesù che viene a prenderci per portarci nella casa del Padre suo e Padre nostro (si noti questo particolare della venuta di Gesù nella prima vetrata a destra dell’abside, quella che raffigura proprio l’ultima comunione).
La sofferenza ricevendo la comunione…
Le testimonianze più preziose degli ultimi mesi di Teresa trascorsi in infermeria provengono dai Quaderni scritti dalle sue tre sorelle Carmelitane (Paolina, Maria e Celina) quando queste la interrogano su varie questioni. Di particolare interesse sono il Quaderno giallo (QG) e i Quaderni verdi (QV) scritti dalla sorella Paolina, Madre Agnese di Gesù.
A riguardo del 19 agosto 1897, quando fu portata la comunione a Teresa, nel Quaderno giallo si legge: «Per poco non svenne, prima della Comunione, sentendo salmodiare il Miserere, sia pure a bassa voce. Mi disse poi versando grosse lacrime: Potrei svenire. Oh se si sapesse che debolezza provo. Stanotte, non ne potevo più; ho chiesto alla Santa Vergine di prendermi la testa tra le sue mani perché potessi sopportarla» (QG, 19.8.1). Il rituale della comunione portata a una monaca malata era solenne all’epoca, lo vedremo più avanti.
Il 20 agosto si riportano più dettagli: «A riguardo della Comunione, che ormai sentiva bene di non poter più fare, e in seguito a molte riflessioni che intese a questo proposito, questa giornata fu una giornata di angosce e tentazioni che indovinavo terribili» (QG, 20.8.10). Ma è soprattutto nei Quaderni verdi che Madre Agnese abbonda in particolari e riflessioni: «Quel giorno ebbe penose angosce. Ecco perché: la Comunione, che un tempo tanto desiderava, le divenne, durante la sua malattia, un motivo di tormento. A causa dei vomiti, dell’oppressione, della debolezza, temeva delle complicazioni e avrebbe voluto che noi le dicessimo di non farla affatto. Da se stessa non voleva prendersi questa responsabilità, ma siccome non diceva nulla, noi credevamo di farle piacere insistendo perché facesse la Comunione. Continuava a tacere, ma quel giorno non riuscì a contenersi e si sciolse in lacrime. Non sapevamo a che cosa attribuire questo dispiacere e la scongiuravamo di dircelo. Tuttavia l’oppressione prodotta dai suoi singhiozzi era così violenta che non solo non poté risponderci, ma ci fece segno di non dirle più una sola parola, e nemmeno di guardarla. Dopo parecchie ore, rimasta sola presso di lei, osai avvicinarmi e le dissi che avevo compreso benissimo il motivo delle sue lacrime. La consolai del mio meglio, sembrava prossima a morire di dolore. Non l’avevo mai vista in simili angosce. Fino alla sua morte non fece più la Santa Comunione. Il 19 agosto, giorno della sua ultima Comunione e festa di San Giacinto, ella l’aveva offerta per la conversione dell’infelice Padre Giacinto. Questa conversione l’aveva occupata durante tutta la sua vita» (QV, 20.8.10).
Bisogna qui precisare che nell’ordine del Carmelo si celebrava san Giacinto il 19 agosto e non il 16 come nel Calendario romano. Inoltre ricordare chi fosse padre Giacinto Loyson (1827-1912): Sulpiziano, poi Domenicano, infine Carmelitano scalzo, grande predicatore dell’epoca, per contrasti con l’insegnamento di papa Pio IX sull’infallibilità papale lasciò definitivamente la Chiesa Cattolica nel 1871, si sposò civilmente, fondò in Svizzera e in Francia la “Chiesa Gallicana” che ammetteva il clero sposato. Teresa pregò molto per la sua conversione e il suo ritorno alla fede cattolica, ma ciò non avvenne.
Un’altra testimonianza di quei giorni è la lettera scritta da suor Maria dell’Eucarestia (cugina di Teresa) alla signora Guérin (sua madre e zia di Teresa) il 22 agosto 1897: «La malattia della piccola Regina avanza; ella è giunta a una eccessiva debolezza di cui è impossibile farsi un’idea; non può più fare nulla da sola. Soffre molto nella articolazioni, poi ella ha sempre molto male ai fianchi. Per dimostrarti che la malattia si aggrava, ti dico che è obbligata a privarsi della felicità di ricevere il buon Dio. Ella lo riceveva ogni due o tre giorni, ma ora, se ella lo potrà, sarà una volta alla settimana. Quando le si porta la Santissima Eucarestia noi entriamo tutte salmodiando il Miserere: l’ultima volta era così debole che appena ci ha sentite per poco non si innervosiva; soffriva un martirio. […] P.S. La nostra piccola Teresa soffre tanto oggi pomeriggio, e ha tali dolori all’intestino, che non sopporta che si parli neanche sottovoce intorno a lei».
La gloria divina della comunione nella sofferenza…
Il testo che ha probabilmente influenzato di più le rappresentazioni dell’ultima comunione di Teresa è stato scritto dalle stesse monache di Lisieux nel descrivere il cerimoniale seguito al momento di portare la comunione a Teresa: «Noi diremo solo qualche parola degli ultimi mesi nei quali Teresa stette all’infermeria. Molto spesso elle ebbe la felicità di ricevere Gesù, ed era una grande festa anche per noi. In quella stagione dove i fiori sbocciano in abbondanza, noi li spargevamo a frotte sotto i passi del Salvatore, i chiostri erano smaltati d’una superficie profumata e il letto della piccola malata era adornato di bei mazzi di fiori; si sarebbe detto che tutti i fiori della natura facevano a gara per formare una graziosa corte di profumi per la loro “Regina” la piccola “Rosa” immacolata che finiva di sfogliarsi per il suo Dio. In quei giorni Madre Agnese di Gesù componeva dei versi deliziosi che si cantavano prima e dopo la santa comunione e dopo aver lasciato la piccola infermeria dove si compiva quei dolci misteri ci sembrava di aver dimorato un istante nei portici del cielo» (Libro delle Fondazioni del Carmelo di Lisieux, Tomo III, p. 249).
Basta guardare una delle rappresentazioni dell’ultima comunione di Teresa per vedere come gli artisti abbiamo espresso in maniera fedele il rituale ora descritto: il corteo di monache che con le candele accese attorniano il letto della malata; gli angeli con cartigli che evocano i canti delle Carmelitane e che simboleggiano il mistero nascosto in quella liturgia terrestre e celeste; i fiori per terra e sopra le lenzuola, spesso rose sparse non solo dalle monache ma anche dagli angeli; e anche il clima di gioia celestiale in chi riceve la comunione e in chi ha accompagnato il sacerdote fino all’infermeria. L’altro lato della medaglia però ci fa capire perché Teresa, infastidita e sfinita dal minimo rumore, non avesse avuto quel giorno la capacità di sopportare queste lunghe e sontuose cerimonie. La gloria divina dell’ultima comunione risplende nelle sofferenze che essa provava e si manifesta artisticamente ai nostri sguardi.
L’ultima comunione a Tombetta…
Nel Santuario di S. Teresa di Gesù Bambino a Verona-Tombetta si possono ammirare cinque rappresentazioni de “L’ultima comunione”. Tutte s’ispirano evidentemente all’immagine francese de “La vita in immagini”, e i differenti artisti hanno di volta in volta scelto i particolari da evidenziare od omettere, la disposizione delle figure da accentuare, a seconda dello spazio disponibile, del materiale plastico impiegato, dello scopo da raggiungere e della collocazione dell’opera nella chiesa. Ci limitiamo a qualche osservazione generale.
Due rappresentazioni dell’ultima comunione sono associate alle rispettive scene della prima comunione: si tratta delle due tele quadrate nella tribuna laterale del presbiterio, come delle due grandissime tele rettangolari nell’abside, tutte opere del pittore Umberto Colonna. Sulla tela quadrata c’è la scritta «dono della signora Maria Colonna nel 1936» mentre quella grande rettangolare è firmata «Umberto Colonna [1]937»: la prima, assai fedele alla rappresentazione francese, è forse una bozza in preparazione alla seconda, caratterizzata di più da apporti personali dell’artista.
Altre due rappresentazioni dell’ultima comunione s’inseriscono nel tema eucaristico che caratterizza la vita di Teresa disposto su quattro scene: Teresa bambina che getta fiori davanti al Santissimo Sacramento durante una processione del Corpus Domini; Teresa bambina che, nonostante le sue debolezze, si accosta con fiducia alla comunione eucaristica (presente nella pisside nel tabernacolo) grazie all’aiuto della Vergine Maria, di san Giuseppe e di un angelo (o degli angeli); la prima comunione di Teresa; l’ultima comunione. Queste quattro immagini sono state realizzate in bronzo (dalla ditta Tarozzi di Milano nel 1940) e poste sulla balaustra d’entrata alla Cappella di Teresa, come pure sono dipinte a mano tutt’intorno all’esterno di una grande pisside (1934).
Tre di queste scene ci sono anche nelle vetrate intorno al presbiterio, e quella dell’ultima comunione è la vetrata dell’abside più a destra (la scena era già presente in una vetrata precedente, ma l’attuale vetrata fu fatta dopo la II guerra mondiale, poiché lo spostamento d’aria prodotto dai bombardamenti aveva mandato in frantumi quasi tutte le vetrate della chiesa). L’assenza della quarta scena nelle vetrate potrebbe spiegarsi con il fatto che è realizzata intorno alla porta del tabernacolo con le piccole statue in bronzo di Maria, di Giuseppe e degli angeli: ogni persona può ricevere la comunione con la fiducia filiale del bambino sperimentata da Teresa!
Sono quindi ben cinque le rappresentazioni dell’ultima comunione di Teresa nel nostro Santuario. Tale abbondanza è dovuta al valore simbolico del viatico, come abbiamo detto, ma anche al luogo dell’infermeria, dove Teresa visse la sofferenza della malattia e morì il 30 settembre 1897. Quel luogo era diventato “sacro” principalmente per questi motivi. E se nella Cappella della Santa nel nostro Santuario è stata posta come a Lisieux l’urna con la statua di Teresa che “spira d’amore”, occorreva “ricostruire” visivamente anche il luogo dell’ultimo respiro, attraverso delle raffigurazioni artistiche: come se si entrasse in quella stanza dell’infermeria, davanti alla statua della Vergine del Sorriso, intorno al letto di Teresa malata e morente attorniata dalle consorelle che l’assistevano e, perché no, che stavano accompagnando il prete che le portava l’ultima comunione.
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