Busso alla porta di una pietra.
- Sono io, lasciami entrare.
Voglio inoltrarmi nella tua interiorità,
dare uno sguardo,
respirarti.

- Vattene – dice la pietra
sono ermeticamente chiusa.

E alla fine dice: “Non ho porta”. Mi ha impressionato, mi ha richiamato l’attenzione, perché apparentemente non c’è nulla di più distante della poesia della Szymborska dal castello di Teresa. Sono due cose molto lontane tra loro. Ma in realtà questa distanza ci aiuta a capire qualcosa di fondamentale, come il non poter dare per scontato la pretesa di entrare in una realtà e conoscerla dal suo interno. Non è così evidente che la realtà abbia una porta attraverso la quale sia possibile passare dalla superficie alla profondità, dall’esterno all’interno. E questo è esattamente ciò che Teresa ci propone. Ella paragona l’anima a un diamante, una pietra, sì, ma una pietra preziosa, un cristallo stupendo. E anche Teresa sa che è molto difficile addentrarvisi, che è facile rimanere in superficie, nella grossolanità della cornice – come dice lei. Ma esiste una porta che ci permette di entrare in questo castello di diamante o di cristallo, ed è – dice Teresa - la preghiera. Ma cosa significa nel suo linguaggio e nella sua esperienza questa idea secondo cui la preghiera è una porta per entrare nel castello dell’anima? E Teresa ci dice che si tratta di un entrare in relazione con un altro, in qualche modo, uscire da noi stessi per entrare in un altro. Significa che la porta d’entrata – per entrare dentro noi stessi – è in realtà una porta d’uscita. È una porta che ci fa accedere in un altro. La nostra poetessa polacca non dice qualcosa di tanto diverso quando, all’interno della poesia, la stessa pietra spiega alla persona che vuole entrare il motivo per cui non può accedere con queste parole:

- Non entrerai – dice la pietra.

- Ti manca il senso della partecipazione.
E non esiste altro sentimento che possa sostituirlo.
Persino la vista onnivedente
ti sarà inutile se sei incapace di partecipare.
Non entrerai; questo sentimento, in te, è solo un desiderio,
un mero intento, una vaga fantasia.

Questo termine (partecipare, condividere) non potrebbe essere il sinonimo di ciò che Teresa chiama orazione? E se la trasformazione che avviene dentro il castello non fosse altro che un condividere sempre più? Imparare il senso di condividere e partecipare della realtà dell’altro. Credo che siano queste le novità che ci sorprendono se ci avviciniamo a Teresa con le nostre inquietudini, con la nostra ricerca spirituale di uomini del XXI secolo».

Fonte: www.delaruecaalapluma.wordpress.com (traduzione dallo spagnolo di F. Francesco Palmieri ocd).