A tutto questo materiale si aggiunge ora il lavoro di P. Bruno Moriconi: Il prigioniero di Toledo. Juan de la Cruz poeta di Dio. Edizioni OCD, Roma 2018, pagine 240. Si tratta di un nuovo profilo biografico offerto da un religioso carmelitano scalzo toscano, da anni docente di cristologia e spiritualità biblica al Pontificio Istituto di Spiritualità Teresianum di Roma. Lo scopo proposto non è anzitutto quello di presentare nuove prospettive d’interpretazione del Santo spagnolo, ma semplicemente di ridire la sua parabola biografica in modo da renderla appetibile a un ampio pubblico che vada oltre gli specialisti e che si rivolga anche a chi San Giovanni della Croce lo conosce solo per la fama di maestro di spiritualità.

Il testo, arricchito dalle illustrazioni di Suor Maria Grazia, carmelitana scalza del monastero di Tolentino, e dall’introduzione del Cardinale Anders Arborelius, vescovo di Stoccolma, pure lui carmelitano scalzo, presenta in maniera piana la storia di San Giovanni, nella quale sono felicemente integrati quei rari accenni alla sua vita che traspaiono dalle opere del Santo. Si tratta di un’operazione non facile, dal momento che il Dottore mistico è così oggettivo nell’esposizione, così meticoloso nella dottrina, al punto che le sue pagine non offrono molti appigli all’elemento autobiografico. Meritano però di essere segnalati quegli esempi che ci riportano all’infanzia del Santo. Come l’immagine del bambino che dopo essere stato allattato a lungo e a lungo portato in braccio, deve essere messo per terra e allontanato dal seno materno, anche in maniera spiccia se occorre, perché possa procedere in modo più adulto e nutrirsi di cibo solido. E dato che nel XVI secolo l’allattamento durava a lungo, essere svezzati e imparare a camminare spesso coincidevano. Di sicuro questo fu il metodo usato dalla mamma, Caterina Alvarez, per condurre il piccolo Giovanni alla conquista dell’autonomia nel cibo e nel movimento. Un’esperienza che il Santo usa per descrivere la pedagogia divina nei confronti delle anime che, dopo essere rimaste a lungo bambine ed essere state come vezzeggiate dal buon Dio, sono introdotte in quella notte purificatrice che le priva di ogni sapore al fine di imparare a gustare soltanto Gesù Cristo.

Ma P. Bruno Moriconi vuole soprattutto rendere accattivante e vivace una figura definita nell’ultimo capitolo: un uomo catturato dall’Amore. Il titolo del libro attira di per sé: Il prigioniero di Toledo. Evoca certi testi di avventura che i ragazzi di ogni epoca hanno avuto tra le mani, oppure quei romanzi d’appendice con trame amorose e misteriose peripezie – e un titolo così avrebbe senz’altro suscitato l’attenzione della giovane Teresa d’Avila quando era appassionata di avventure cavalleresche e di nascosto del padre leggeva quei testi che invece distraevano la madre.

Ma in carcere, San Giovanni della Croce effettivamente ci andò. Esattamente in quello del convento carmelitano di Toledo, in cui fu recluso dall’Avvento 1577 all’Assunta 1578, quando riuscì fortunosamente a scappare calandosi con una fune costruita con una coperta tagliata a pezzi, secondo la più classica delle evasioni. Un episodio che di sicuro lo ispirò nel descrivere le vicende dell’anima chiamata a fuggire in una notte oscura per andare incontro al suo Signore.

Quel carcere, però, non costituì soltanto la segregazione di un frate a torto considerato ribelle, ma il luogo che vide la nascita del poeta e del mistico Giovanni della Croce: «Mille anni in quel piccolo carcere non varrebbe una sola delle grazie che il Signore mi fece là dentro», confiderà il Santo carmelitano.

Nella cella di Toledo, dalla sua anima spoglia di ogni consolazione e affetto sono sgorgati i più bei canti d’Amore della letteratura spagnola e della spiritualità cristiana. Strofe che, da secoli, illuminano il cammino di fede di tanti uomini e di tante donne, ben oltre i confini del cristianesimo stesso.

Ma l’intera esistenza di Giovanni è segnata dall’avventura, soprattutto quell’avventura spirituale che, raccontata nelle sue poesie e nei commentari, non vale meno dei contemporanei racconti dei navigatori alla scoperta del Nuovo Mondo quando, ritornando in patria, parlano dei tesori delle isole straniere, forse esagerando e fantasticando più del dovuto.

In questa biografia, infine, non manca nemmeno la trama amorosa. E quella dei genitori di Giovanni – il padre, il nobile Gonzalo de Yepes, diseredato per aver voluto sposare una povera filatrice, Caterina Alvarez è solo una parabola rispetto al dramma divino narrato da Giovanni nelle sue Romanze: il Figlio di Dio che da ricco che era si è fatto povero per arricchire l’umanità della tenerezza divina, in quel mirabile scambio che, nel presepe, testimone la Vergine Maria, vede in Dio il pianto dell’uomo e nell’uomo la gioia divina.

Questi sono solo alcuni spunti che invitano a leggere e a gustare il lavoro di P. Bruno Moriconi, con un piacevole finale: l’autore raccoglie le pagine del Don Quijote di Miguel de Cervantes (e precisamente il capitolo XIX della prima parte) che raccontano dell’incontro «con un corpo morto». Si tratta dell’allusione alla traslazione delle spoglie mortali di Juan de la Cruz da Úbeda a Segovia, la notte del 28 aprile 1593, quasi un anno e mezzo la sua morte.