di P. Stefano Conotter ocd

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Nella prima parte di questa meditazione biblica sull’abito carmelitano, abbiamo parlato della cappa a partire dal mantello di Elia. La Bibbia ci dà altre indicazioni sul modo in cui vestiva il profeta di Tisbe. All’inizio del secondo libro dei Re troviamo un episodio in cui Elia è riconosciuto da Acaz proprio per il suo abbigliamento. Alla domanda de re - "Com'era l'uomo che vi è venuto incontro?” - i  messaggeri rispondono: "Portava una veste di peli e una cintura di cuoio gli cingeva i fianchi" - "Quello è Elia il Tisbita!" replica il re. 

Ricordiamo che, fino al secolo scorso, anche la tonaca (o tunica) dell’abito carmelitano era fatta rigorosamente di peli di animale, cioè di lana grezza1. Essendo Elia l’archetipo biblico del profeta, questa descrizione servirà a identificare la qualità di profeta di alcuni personaggi biblici (Zc 13,4), come mostra l’esempio del Battista: “Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi” (Mt 3,4). Quindi, in primo luogo, questa veste si riferisce alla “professione” profetica.

Tuttavia, nel cercare il significato biblico di questo elemento dell’abito, noi prenderemo la strada che ci fa risalire verso le origini. Leggiamo infatti nel libro della Genesi che, dopo il peccato e prima della cacciata dal giardino di Eden, “Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vesti” (Gn 3,21).

di P. Stefano Conotter ocd

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Il vestito che indossiamo non ha solo la funzione di proteggerci, ma ha anche un valore simbolico. In un certo senso, attraverso di esso noi esprimiamo noi stessi e nello stesso tempo esso rappresenta la nostra appartenenza culturale.

Ciò vale eminentemente per il vestito dei monaci. Senza occuparci di tutta la storia e l’evoluzione degli abiti monastici, e in particolare del vestito dei carmelitani, propongo una meditazione biblica partendo dalla forma attuale dell’abito carmelitano, facendo riferimento al modello biblico al quale si ispira tutta la tradizione carmelitana, cioè il Profeta Elia.

Il vestito è composto attualmente da una tunica marrone scuro lunga fino alle caviglie; di una cintura di pelle scura stretta ai fianchi; di uno scapolare, cioè un pezzo di stoffa che sta sulle spalle (in latino scapula) e che scende davanti e dietro fino ad un palmo dal bordo della tunica; di un cappuccio separato che in origine faceva parte dello scapolare; e di un mantello bianco in forma di cappa con un cappuccio pure di colore bianco.

di P. Fabio Pistillo ocd

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Clicca qui per consultare il Vangelo di questa Domenica (Mt 1,18-24).

La speranza nella fedeltà di Dio è il tema caratterizzante le letture di questa quarta domenica del tempo di Avvento. Nella prima lettura ci viene presentato l’oracolo del profeta Isaia sulla nascita dell’Emmanuele, che costituisce il vertice della profezia biblica sulla venuta del Messia. Nell’anno 734 a.C. il re Acaz, coinvolto in una sanguinosa guerra contro i re di Samaria e di Damasco, rischiava di perdere l’indipendenza politica del regno di Giuda, mettendo in pericolo la sopravvivenza della stessa Gerusalemme. Ad Acaz, intento a ricercare alleanze politiche, il profeta Isaia propose di confidare unicamente in Dio e nelle sue promesse, invitandolo a chiedergli un segno. Con una risposta all’apparenza rispettosa di Dio, il re si oppose risolutamente ad Isaia: «Non voglio tentare il Signore». Dio, allora, volle superare l’incredulità del re e lui stesso offrì per primo un segno: l’annuncio della nascita di un salvatore. Ecco che tale segno divenne prova della fedeltà di Dio, una fedeltà capace di superare ogni umana incredulità. Tale segno, espressione della fedeltà di Dio, ridonava agli uomini la certezza di essere accompagnati sempre dal Signore, che con la sua mano potente conduceva, sosteneva e guidava la storia umana.

di P. Giacomo Gubert ocd

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Clicca qui per consultare il Vangelo di questa Domenica (Mt 11,2-11).

“Ogni anno si rinnova in noi la gioia per il fatto che Egli è disceso sino a noi. E pochi cuori si rifiutano di aprirsi alla quieta gioia dell’Avvento e all’esultante gioia del Natale” (Edith Stein).

La lunghissima attesa del popolo, la gravidanza della madre, il desiderio infuocato del figlio stanno per volgere ... al loro fine. Il corpo di Cristo è ben formato nel corpo di Maria. Essi sono ormai a loro agio in questo inaudito dialogo divino e umano.

Possiamo vivere al meglio la gioia dell’attesa, in questa terza domenica di avvento, già festa della Visitazione, nella persona di Maria magnificante. In lei ascoltiamo e sperimentiamo gli antichi annunci profetici e le promesse di liberazione. Zia Maria Vergine Immacolata ci introduce anche alla gioia del nipote Giovanni Battista, prigioniero lieto, abbandonato profeta Yod, ultimo perché minimo, il più piccolo tra di loro, il più grande tra di noi.

Ad ogni istante nel suo bianco ventre si rinnova la gioia per il fatto che Egli è disceso sino a lei, al suo popolo, a noi. Gioia quieta di chi è stato eletto a servire l’Altissimo, che ha eletto il servizio del Signore. Essa ci sospinge grata, impone la domanda che Gesù ci pone:

di P. Fabio Roana ocd

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Clicca qui per consultare il Vangelo di questa Domenica (Mt 3,1-12).

È un urto micidiale quello con cui ci arriva la voce di Giovanni Battista, un urto che minaccia di sradicare la foresta delle nostre vite cattive, di fare piazza pulita di un mondo perverso ormai incapace di buoni frutti. Guardiamoci intorno, guardiamoci dentro: possiamo dirci al riparo dalla minaccia di questo giudizio? Qualcuno penserà che le parole più dure del Battista siano rivolte ad altri, a farisei e sadducei per esempio, sicuri di sé e incapaci di conversione. Quanto però c’è di salutare in esse per «ogni albero» da frutto (Mt 3,10; Sal 1), per ciascuno di noi!