Tutt’intorno intagli marmorei di rose cadute al suolo rappresentano la famosa promessa detta alcuni giorni prima di morire: «Dopo la mia morte farò cadere una pioggia di rose». Se si è stati attenti prima di entrare nella Cappella, sull’architrave della balaustra che la separa dalla navata della chiesa, c’erano proprio scritte queste parole con tessere di mosaico. Sul retro dell’architrave, guardando dall’interno della Cappella, sempre in mosaico, si legge invece: «Nessuno mi invocherà senza averne una pronta risposta». Se alziamo gli occhi in alto, sopra i due finestroni della Cappella vediamo due coppie di angeli che tengono due cartigli: «Tutti mi ameranno» e «Dopo la mia morte discenderò». Tranne quest’ultima espressione, le altre quattro frasi sono dei “motti” costanti della Basilica veronese, come degli hashtag, si direbbe oggi nel linguaggio dei social, che caratterizzano il messaggio di Teresa veicolato da questa chiesa. In effetti le troviamo in altri due punti strategici.
Quattro “motti” sul piazzale
Quando i pellegrini giungono sul piazzale del Santuario trovano ad accoglierli la statua della Santa che dall’alto di un piedistallo tende loro una rosa che ha nella mano destra mentre con l’altra mano tiene sul petto un crocifisso e altre rose pronte ad essere donate ai fedeli. Alla base del piedistallo i vasi e le aiuole piene di rose creano l’effetto della “pioggia di rose”, le grazie di Dio che Teresa ha fatto cadere dal cielo sulla terra. Ciò che ci interessa notare sono anche le decorazioni in bronzo intorno al piedistallo: ci sono le tre figure dei papi che hanno “glorificato” come Santa la piccola Teresa, il loro nome è (per fortuna) scritto sotto e ciascuno tiene in mano una pergamena con una frase da loro detta sulla Santa; ci sono poi alcune scritte sui cartigli che si avvolgono intorno ai festoni di rose tenuti da quattro piccoli angioletti posti ai quattro angoli, che sono appunto i quattro “motti” tipici del Santuario. In ordine cronologico, la prima figura è papa san Pio X che, all’inizio del XX secolo, promosse l’accelerazione del processo di beatificazione e che tiene una pergamena con scritto ciò che disse di Teresa dopo aver letto Storia di un’anima: «la più grande santa dei tempi moderni». Sotto si trova il festone con la frase: «(nessuno) m’invocherà / senza averne / (una pronta) risposta». Come in questo caso, non c’è sempre spazio per mettere tutte le parole visibili e quindi si fa finta che le altre parole, da noi messe tra parentesi tonde, siano scritte nelle parti del cartiglio che è nascosto dietro il festone, seguendone l’arrotolarsi intorno al festone. Le parti visibili del cartiglio le abbiamo distinte con le barrette di separazione. La seconda figura è papa Benedetto XV che nel 1921 proclamò le virtù eroiche di Teresa, con nella pergamena una propria espressione: «la Santa dell’infanzia spirituale». Sotto, il motto: «tutti / mi / ameranno». Viene poi la figura di papa Pio XI, colui che beatifica (1923), canonizza (1925) e proclama Teresa patrona delle missioni (1927). Nella pergamena c’è scritto: «La stella del mio pontificato» e nel cartiglio intorno al festone: «Passerò / (il) mio cielo / (a fare) del bene (sulla terra)». L’ultimo lato del piedistallo è occupato dallo stemma del Carmelo, con il cartiglio: «Dopo la mia / morte farò / (cadere una) pioggia di rose».
Sei “motti” sui vetri delle porte
Ritroviamo queste quattro frasi ancora una volta: ciascuna è scritta sulle due pagine di libri aperti disegnati a colori nei riquadri di vetro posti nelle porte laterali della bussola che si trova all’ingresso della chiesa, e sono intervallate, su altri due libri aperti disegnati, dalle due parti di un’altra frase tipica di Teresa presa a slogan del Santuario: «L’amore è tutto / senza l’amore tutto è niente». Questo adagio si trova anche nel cartiglio tenuto dall’angelo scolpito a bassorilievo e a mezzobusto sulla porta dell’uscita laterale che dalla chiesa dà sulla strada.
Storia dei “motti”…
I quattro “motti” hanno una storia particolare perché sono frasi pronunciate oralmente da Teresa e non scritte da lei. Due di queste sono riportate tra le ultime parole dette da Teresa negli ultimi mesi nell’infermeria, dove morirà il 30 settembre 1897, e quindi sono documentate come autentiche da numerose testimonianze e dai quaderni scritti in quei giorni dalle consorelle che riportavano le parole di Teresa. Il “terzo” motto rispunta come un ricordo tardivo nella memoria delle sue consorelle. La “quarta” frase non è invece attestata e la sua attribuzione a Teresa rimane ancora oscura.
“Voglio passare il mio Cielo a far del bene sulla terra”
Ecco quanto è stato trascritto nel famoso “Quaderno giallo” a riguardo del 17 luglio 1897 (e ricordato in molte testimonianza ai processi di beatificazione): «Sabato. Alle 2 del mattino aveva sputato sangue. Sento che sto per entrare nel riposo... Ma sento soprattutto che la mia missione sta per cominciare, la mia missione di far amare il buon Dio come io lo amo, di dare la mia piccola via alle anime. Se il buon Dio esaudisce i miei desideri, il mio Cielo trascorrerà sulla terra sino alla fine del mondo. Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra. Non è impossibile, perché nel seno stesso della visione beatifica gli Angeli vegliano su di noi. Non posso essere felice di godere, non posso riposarmi finché ci saranno anime da salvare...» (Quaderno giallo [QG] 17.7)
“Dopo la mia morte farò cadere una pioggia di rose”
Secondo quanto scritto dalle consorelle, il 9 Giugno Teresa ha risposto a Suor Maria del Sacro Cuore (sua sorella Maria) che le diceva: «Che dolore proveremo, quando ci lascerà!»: «Oh, no, vedrete, sarà come una pioggia di rose». (QG 9.6, 3). Le parole dette da Teresa sono confermate anche da altre consorelle, direttamente o indirettamente. Nelle prime edizioni di “Storia di un’anima” il testo sarà sistemato nella formula che poi divenne famosa, «Dopo la mia morte farò cadere una pioggia di rose», e che fu ripetuta nelle testimonianze delle consorelle carmelitane.
“Tutti mi ameranno”
La terza frase attribuita a Teresa è già meno attestata nei documenti dell’epoca, e la sua autenticità dubbia, perché riportata non dai quaderni stessi delle trascrizioni ma apparsa solo nel 1927 insieme alla pubblicazione di parti di questi quaderni. Il contesto di questa “aggiunta” tardiva è il momento in cui Teresa sta rileggendo uno dei suoi manoscritti autobiografici dice: «“Ciò che rileggo in questo quaderno esprime così bene la mia anima!... Madre mia, queste pagine faranno molto bene. Si conoscerà meglio in seguito la dolcezza del buon Dio...”. Con tono ispirato aggiunse: “Ah! lo so bene, tutti mi ameranno...”» (Nota (a), QG 1.8, dai Novissima verba [1927]). Nel 1952 suor Genoveffa (la sorella Celina) pubblicò i “Consigli e ricordi” che le novizie avevano raccolto su Teresa, e qui appare in un contesto un po’ diverso la frase «tutti mi ameranno». Un ricordo ritornato in mente anni dopo? Non sembra essere attestato durante i processi per la beatificazione (ordinario 1910-11 e apostolico 1915-1917).
“Nessuno mi invocherà senza averne (pronta) risposta”
Questa espressione presenta grossi problemi per essere veramente attribuita a Teresa. Assente da tutti i documenti ufficiali e da tutte le ricostruzione sui testi originali delle santa e dalle testimonianze delle consorelle, è come un meteorite “estraneo” caduto dal cielo. Da dove è venuto? Quando ne abbiamo una prima attestazione tra le parole di Teresa? Tutto è avvolto nella nebbia più che nel mistero. Sembra soprattutto apparire associato alle prime due frasi come una “prova” della volontà di Teresa di offrire le sue grazie, ma estraendole dai loro contesti e così impoverendole in una semplice immagine di “Santa dei miracoli” che ha poco a che fare con il vangelo di Gesù vissuto e annunciato da Teresa. L’aggiunta “misteriosa” non vuol far altro che aumentare “l’affidabilità” della Santa invocata richiamando i tanti fedeli fiduciosi che sono stati esauditi, e sono stati numerosi in base alle testimonianze antiche e recenti: ma Teresa non è solo questo.
Finora abbiamo trovato (in internet) questa frase, «Nessuno mi invocherà senza averne risposta» (con alcune varianti della seconda parte: «Nessuno mi invocherà invano»), citata molte volte e in diverse lingue, ma mai abbiamo potuto ricostruire la fonte originaria. Le fonti più sicure rimangono alcuni contesti religiosi-artistici dove la frase è riportata “scritta” a fianco di statue o di immagini di Teresa: nel nostro Santuario di Verona; presso l’altare della Santa nella chiesa delle monache Carmelitane Scalze sempre a Verona; in un altarino ligneo che si trova ad Acqui Terme (AL). La questione è intricata: come è possibile che i committenti di queste opere artistiche non abbiano avuto sotto gli occhi un testo scritto per poter essere “certi” che fosse una frase di Teresa? Altrimenti, penso, non l’avrebbero fatta scrivere vicino a luoghi di venerazione della Santa. Eppure per ora non abbiamo rintracciato fonti scritte dell’epoca (sembrerebbe probabile negli anni ’20 e ’30).
È significativo il fatto che nella Basilica di Lisieux siano state riportate nella circonferenza alla base della cupola solo le prime due frasi, quelle che ha certamente pronunciato Teresa, perché sono più “sicure” in base ai documenti e alle testimonianze. Le altre due più “incerte” non ci sembra di averle trovate scritte da qualche parte nei luoghi di Teresa a Lisieux o ad Alençon.
Quattro “nuove immagini” insieme ai vecchi motti
Nessuno di questi quattro “motti” è tratto da “Storia di un’anima” o dalle lettere, poesie, composizioni teatrali o preghiere di Teresa, tutti testi dove traspare più chiaramente la sua fede cristiana e la sua piccola dottrina. A quasi cent’anni dalla beatificazione e canonizzazione della Santa appare anche evidente l’urgenza di dare valore alle “immagini” di altri aspetti che caratterizzano Teresa e il suo messaggio, come a dover completare i “motti” scelti quasi cent’anni fa con altre immagini e espressioni artistiche che sono sì a volte presenti anche nella Basilica di santa Teresa a Verona, in particolare nella grande Cappella a lei dedicata, ma che sono stati meno valorizzati o meno percepiti.
I quattro motti “antichi” ci presentano una santa Teresa vista come potente “taumaturga” donatrice di grazie di guarigione fisica e spirituale. Le quattro immagini “nuove” li completano ritornando alla “piccola” Teresa nel suo percorso evangelico di vita.
Il “piccolo fiore bianco”
Insieme alla “pioggia di rose” c’è (prima) il “piccolo fiore bianco”, cioè la storia di grazie che Gesù ha donato alla famiglia di Teresa, e quindi a lei in particolare, sotto la protezione della Vergine del Sorriso, perché Teresa sia la “piccola” che canta le misericordie di Dio e getta i fiori per amore di Gesù che toccandoli dà valore infinito a questi fiori che ricadono sulla terra come grazie per fare amare Dio e per far amare il prossimo con l’amore di Gesù.
“La mia vocazione è l’amore”
Insieme al “far del bene sulla terra” c’è “la mia vocazione è l’amore”, amore che Teresa scopre di essere nel cuore della Chiesa, come scopre che questo divino Amore è tutto, opera tutto. Senza questo Amore non c’è nulla, nessuna altra vocazione nella Chiesa che possa esistere e agire, perché è quando il cuore è infiammato dallo Spirito d’amore che Gesù vive e agisce in noi, ci attira a sé e se ci lasciamo attirare da lui egli attirerà a sé le persone che si avvicinano a noi, perché solo così noi possiamo amare e far amare Dio.
La “piccola via” dell’infanzia spirituale
Insieme al “Nessuno m’invocherà senza averne risposta” c’è la “piccola via” dell’infanzia spirituale, che non è altro che la grazia di essere bambini diventando “come Gesù bambino”, che si è abbassato per renderci figli di Dio in lui, il Figlio, e per essere innalzati dalle sue braccia, l’ascensore divino, verso il Padre.
Il “Volto Santo” svela l’amore
Insieme a “tutti mi ameranno” c’è il “Volto Santo” che svela l’amore, perché Teresa è solo un pro-memoria per ricordare quanto Gesù ci abbia amato soffrendo e morendo per noi, cosa che contempliamo manifestata nel suo Volto Santo, e quanto possiamo amarlo, farlo amare e amarci come lui ci ha amato perché ci ha perdonato tutto immergendoci nella sua infinita misericordia.
Autoritratto di (Gesù in) Teresa
Dopo aver completato la stesura dei suoi ricordi d’infanzia nel quaderno che sarà chiamato poi Manoscritto A, Teresa volle aggiungervi (probabilmente alla fine del 1895 o agli inizi del 1896) la spiegazione degli stemmi che aveva disegnato per il suo sposalizio con Gesù, avvenuto l’8 settembre 1890, e le date delle principali grazie ricevute nella sua vita dal suo sposo. Gli stemmi, posti sopra l’urna della Santa che giace mentre “spira d’amore” sia a Lisieux che a Verona, contengono elementi che esprimono bene le quattro immagini “nuove” che vanno aggiunte ai quattro “vecchi” motti di Teresa. Nello “stemma di Teresa” campeggia il “piccolo fiore bianco”, illuminato dai raggi di luce della stella che è Maria che ha accompagnato il piccolo fiore nella sua crescita in grazia, soprattutto nella grazia del “sorriso”. Nell’altra metà campo dello stesso stemma ci sono un dardo infuocato, una palma e un triangolo, che esprimono l’amore che Dio ci dona per infiammare (dardo) il cuore fino al martirio (palma) d’amore, attirandoci nello stesso braciere d’amore della Trinità (il triangolo): ecco il significato del motto scritto tra i due stemmi, “L’amore si paga solo con l’amore”. Nello “stemma di Gesù” c’è nel campo basso l’immagine di Gesù bambino nella mangiatoia di Betlemme e nel campo alto il Volto Santo affiancato da un’arpa. Entrambe queste immagini esprimono l’infanzia spirituale, perché noi riviviamo per grazia “l’infanzia di Gesù”, cioè il fatto che egli è stato Figlio di Dio nella sua umanità dalla nascita alla morte, abbandonandosi fiducioso al Padre come un bambino, anche quando muore in croce. Con l’arpa si indica Teresa che vuole cantare incessantemente le melodie d’amore e di misericordia per un Dio che si abbassa (Gesù bambino) e che muore d’amore per noi (Volto Santo), perché cantando questo amore vuole che si realizzi la preghiera al Volto Santo: “Fa’ che io ti rassomigli, Gesù”.
Queste quattro immagini “nuove” quindi, disegnate dall’artista che questa volta è Teresa stessa, sono l’autoritratto di (Gesù in) Teresa. Ricordiamo che lo stesso grande artista Vincent Van Gogh si era auto-ritratto nel povero uomo aggredito dai briganti e accudito dal buon Samaritano (lo si capisce dalla benda intorno alla fronte: la stessa che Van Gogh portava per coprire la ferita che lui stesso si era inferto tagliandosi un pezzo dell’orecchio!). Teresa in quanto sua sposa si fa l’autoritratto di Gesù suo sposo.
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