Lui stesso ha scelto il nome religioso e ne spiega il motivo, alcuni giorni prima, in una lettera alla sorella Berta: «...Ci sarà qualcosa in comune con la piccola Teresa dal momento che saremo tutti e due del Bambino Gesù, ormai totalmente fratelli».[1]
Il nome rappresenta la persona. Nel nostro caso, mette in rilievo il legame privilegiato che unisce padre Maria Eugenio di Gesù Bambino a Gesù, il Figlio di Dio che fa il suo ingresso nel mondo come ciascuno di noi, sotto le fattezze di un bambino: il Bambino Gesù. Sin dagli anni del noviziato, padre Maria Eugenio entra profondamente nel mistero dell’abbassamento del Figlio. La contemplazione della povertà del mistero di Natale ci permette di accettare che il trionfo di Dio in noi sia accompagnato dall’annientamento.[2] È nella debolezza dell’uomo che la potenza di Dio dà tutta la sua misura.[3] Evocando questa esperienza dolorosa sotto l’azione di Dio, dirà più tardi: «guardare allora Gesù Bambino illumina. Nell’impotenza c’è tutto l’orizzonte della divinità, dell’infinito».[4]
Scegliendo questo nome, padre Maria Eugenio di Gesù Bambino s’inscrive in una grande tradizione dell’Ordine del Carmelo. Coloro che vi si riallacciano, infatti, venerano specialmente Gesù Bambino.[5] Scoprono nel mistero del Verbo di Dio che si fa uomo l’inizio di tutti gli altri misteri: il mistero della salvezza dell’intera umanità, dell’Eucaristia e della Chiesa. Padre Maria Eugenio amava ricordare quanto san Giovanni della Croce si mostrasse raggiante nei giorni delle festività natalizie: «Egli, abitualmente così serio, esultava e si lasciava andare a una gioia esteriore, che si esprimeva in parole, canti, giochi spirituali».[6]
Queste tradizioni sono rimaste molto vive nelle case fondate da Padre Maria Eugenio di Gesù Bambino, soprattutto nelle case di formazione. Contribuiscono a mantenere un’atmosfera di semplicità che non manca di ricordare, con le sue antinomie, il presepe di Betlemme: luce e oscurità, pienezza e povertà, gioia e silenzio.
La nuova pubblicazione, proposta dal Centro Notre-Dame de Vie raccoglie dodici testi, abbastanza brevi. Tanto da essere letti facilmente. Non sono che una piccola parte delle omelie e conferenze pronunciate da padre Maria Eugenio di Gesù Bambino tra il 1955 e il 1966 a Notre-Dame de Vie, in occasione delle feste liturgiche del periodo natalizio, con un’evidente preoccupazione formativa. In queste pagine lo sguardo contemplativo del Padre si rivolge innanzitutto verso l’alto, alla Santissima Trinità: «Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico Figlio, affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna»: gesto di misericordia![7]
Non resta però al di sopra della terra. Ci svela il mistero di Cristo nella sua realtà più umana: ecco che, sulla povertà del presepe, risplende una grande gioia. Il Verbo di Dio, nel freddo, è ridotto all’impotenza di un neonato, ma Dio ci fa partecipi della sua gioia di donarsi. La condivide prima di tutto con i pastori, dei poveri. In quel momento lo sguardo di padre Maria Eugenio di Gesù Bambino raggiunge l’altra estremità della vita di Cristo: la povertà del presepe era graziosa, quella della croce è terribile. – Se avessero affidato a noi queste realizzazioni, avremmo fatto ben diversamente – sottolinea.[8]
Segue poi l’insegnamento. Cristo è il prototipo: la Chiesa, poiché è il Corpo di Cristo, deve passare per questo annientamento. «C’è qualcosa di sublime nell’ utilizzazione del fallimento per far trionfare la misericordia»: non è in Gesù Bambino che si nasconde il segreto messo in luce dalla piccola Teresa?[9] La santità , della quale ci mostra la «piccola via», è missionaria per natura: il povero sposa il movimento del Verbo che si abbassa per amore sull’umanità.[10]
La lettura di queste pagine ci invita a cercare Gesù nella Scrittura, soprattutto nei Vangeli dell’Infanzia, ma anche nelle figure dell’Antico Testamento e nelle Lettere di san Paolo.
Padre Maria Eugenio di Gesù Bambino conosce in profondità i personaggi che hanno attorniato la Natività. Sa renderli vivi davanti ai nostri occhi. I pastori: certamente poveri, ma conoscono la campagna di Betlemme nei posti più reconditi.[11] Anna e Simeone: commoventi anziani che rappresentano la pazienza e la fedeltà dell’Antico Testamento nell’attesa di Cristo.[12]
Maria: «Era così pura e limpida da non guardare mai se stessa». Ecco che l’angelo le porta il messaggio, ne resta tutta sorpresa e si dona. In seguito deve provvedere alla vita quotidiana della famiglia, crescere il Figlio Gesù. Vive tutto ciò nella fede: a Nazareth e a Gerusalemme anche, quando Gesù adolescente, che “ha già preso un po’ d’indipendenza”, svela la sua missione.[13]
Infine Giuseppe: lavora, è pieno di dedizione nell’ombra. Le difficoltà della vita non lo risparmiano certamente. Compie la sua missione nella verità: «È il capo e tuttavia è l’ultimo...». Immerge il suo sguardo di fede in Cristo e nella Madre di Dio. Egli è il custode della Chiesa e della nostra vita interiore: «Facciamolo entrare d’ora in poi nella nostra vita spirituale come un maestro che c’insegnerà l’intimità con Gesù e Maria».[14]
Il Verbo si è annientato: il Figlio di Dio «è divenuto simile agli uomini».[15] Gesù è il Salvatore per la sua libera obbedienza al Padre: non esiste che donandosi. Donarsi è la sua vita, il suo cibo. Contemplando l’aspetto di debolezza di Cristo bambino, noi siamo trascinati a seguirlo nel dono di noi stessi al Padre.[16] Egli è la via: «Pastori o Magi, quaggiù non si può raggiungere Dio se non inginocchiandoci davanti al presepe di Betlemme e adorandolo nascosto nella debolezza di un bambino».[17]
Note:
[1] Lettera inedita; cfr. Teresa di Gesù Bambino, Ms A, 31°.
[2] Cfr. infra «La povertà del mistero di Natale».
[3] Cfr. 2Cor 12,9.
[4] Inedito, cit. in R. Regue, Padre Maria Eugenio di Gesù Bambino, maestro spirituale per il nostro tempo, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1987, p. 20.
[5] Cfr. «L’Enfant-Jésus et le Carmel», in Vives flammes, n. 127. Nelle sue fondazioni santa Teresa di Gesù diffonde il culto di Gesù Bambino, il «piccolo fondatore», cui ella riferisce tutta la propria opera. Nel XVII sec. questo culto si è diffuso in tutto il popolo cristiano, specialmente in Francia, grazie al Card. de Bérulle e a Margherita del SS. Sacramento (di Beaune), a Praga e a Cebu (Filippine). Teresa di Lisieux, «convertita» la notte di Natale 1886, visse di questa eredità del Carmelo e le diede un irradiamento tutto particolare (cfr. G. Gaucher, «Sainte Thérèse de l’E. J. et de la Sainte-Face, de la crèche à la croix glorieuse», in Carmel (1985), pp. 141-157). Edith Stein, in esilio nei Paesi Bassi, pregando innanzi ad una statua di Gesù Bambino, scriveva: «Non è lui l’imperatore segreto che dovrà mettere fine ad ogni pena? È ben lui che tiene le redini, anche se gli uomini credono di regnare» (Lettera del 2 febbraio 1942). Sul ruolo di Gesù Bambino nella fondazione dell’Istituto Notre-Dame de Vie, cfr. C. Escallier, Marie Pila. Une puissance d’amour non asservie, Éditions du Carmel, Venasque 1996, pp. 18-23; 29-31.
[6] Omelia per la vigilia di Natale, 1948, in Jean de la Croix, Présence de lumière, Éditions du Carmel, Toulouse 1991, p. 292; cfr. Crisogono di Gesù, Vita di Giovanni della Croce, Postulazione generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1984, p. 284.
[7] Gv 3,16.
[8] Cfr. infra, «Il presepe e la croce».
[9] Cfr. infra, «Il presepe e la croce».
[10] Cfr. Voglio vedere Dio, p. 832s.; pp. 1032-1033. È la testimonianza lasciata dalla sorella di padre Maria Eugenio, Berta Grialou (cfr. C. Escallier, «Aux côtés du fondateur: Marie Pila, Berthe Grialou», in Une figure du XX siècle. Le Père Marie-Eugène de l’Enfant Jésus, Colloque du Centenaire, Éditions du Carmel 1995, pp. 166-167).
[11] Cfr. infra, «La gioia di Natale».
[12] Cfr. infra, «Essi attendevano la consolazione d’Israele».
[13] Cfr. infra, «Il Verbo si è fatto carne», «Vita nascosta a Nazareth».
[14] Cfr. infra, «Nube luminosa del Verbo incarnato».
[15] Cfr. Fil 2,6-11.
[16] Cfr. infra, «Ecco, io vengo».
[17] Voglio vedere Dio, cit., p. 78.