L’eco suscitata in tutto il mondo dalla sua morte testimoniava la grandezza di un uomo e di un pontefice, la cui vita, essendo nato nel 1920, è corsa parallela a gran parte del secolo scorso e si è chiusa quando da poco meno di un ventennio era definitivamente tramontata l’ideologia marxista che, insieme a quella nazista, aveva sconvolto la vita del continente europeo.

Il giorno dopo la sua morte Paolo Mieli apriva con queste parole il suo editoriale, intitolato Nella storia, sul Corriere della Sera: «Karol Wojtyła passa adesso nella storia, storia che d’ora in poi lo annovererà tra le due o tre più grandi figure religiose, politiche, culturali, e morali del Novecento».

Quindici anni, dunque, ci separano da quella sera del 2 aprile 2005. Come ogni altro avvenimento, anche questo e, più in generale, quello dell’intero suo pontificato, è soggetto all’inesorabile legge del tempo che scorrendo li consegna alla sfera dei ricordi personali e di vasti ambiti del vivere sociale e civile.

Col passare del tempo questi ricordi si fanno sempre più rarefatti e la loro forza e capacità di “vivere” nel tempo presente svanisce sempre più. In altri casi e per una sorta di perversione della conoscenza questo eclissarsi dalla memoria si trasforma nella negazione del fatto stesso. Come spiegare altrimenti che il 15% degli italiani ritenga che la Shoah non sia mai esistita (“Rapporto Italia” 2020 dell’Eurispes), quando nel 2007 questa percentuale era appena del 2,7%?

Per una questione anagrafica, alla figura di Giovanni Paolo II sono meno legati tutto coloro che in quell’aprile 2005 avevano appena 12 o 13 anni. Oggi essi sono poco più che venticinquenni e se il posto che il pontefice venuto «da un paese lontano» occupa nella loro memoria è irrilevante, domani rischia di essere inesistente. Se essi non avranno presto qualche occasione (incontri culturali e religiosi, percorsi di studio, pellegrinaggi al suo paese natio) per conoscere più da vicino la sua vita, qualche aspetto del suo pensiero, soprattutto quello elaborato durante il suo pontificato, i loro scarni ricordi si consumeranno come la fioca luce di una candela.

Di un generale rischio della dimenticanza, o della assenza di memoria storica, era ben cosciente lo stesso Giovanni Paolo II. L’11 novembre 2003 egli ricevette in udienza un pellegrinaggio di aderenti a Solidarność. Dopo avere brevemente rievocato i fatti che portarono alla nascita del sindacato, al tentativo di spegnere le sue prime conquiste con la proclamazione dello stato di assedio il 13 dicembre 1981 e il successivo riconoscimento negli anni seguenti, così proseguì: «Ricordo questi eventi, perché hanno un significato particolare nella storia della nostra nazione. E sembra che essi stiano sfuggendo dalla memoria. Le generazioni più giovani ormai non li conoscono di propria esperienza. Si potrebbe dunque domandare se apprezzeranno giustamente la libertà che possiedono, se non si renderanno conto del prezzo pagato per essa. Solidarność non può trascurare la premura per questa storia, così vicina e allo stesso tempo ormai lontana. Non si può fare a meno di ricordare la storia postbellica del riacquisto della libertà».

«Questa storia, così vicina e allo stesso tempo ormai lontana». Sono parole che con le dovute differenze si possono applicare anche al pericolo della nostra dimenticanza di quello che Giovanni Paolo II è stato per la Chiesa e per il mondo.

Un mistico

Già durante il suo pontificato e in misura ancora maggiore a ridosso della sua morte, giornalisti e studiosi hanno più volte tentato di racchiudere in una definizione, addirittura in un unico termine, la personalità di Giovanni Paolo II. In questi giorni sono tornato a sfogliare alcuni quotidiani dei giorni dell’agonia e quelli successivi alla sua morte e ho osservato che uno dei termini più ricorrenti per definire la personalità di Giovanni Paolo II è stato quello di “mistico”. Sabato mattina, 2 aprile, giorno della morte, la Repubblica titolava così uno degli articoli del dossier dedicatogli: «Il mistico e il politico. La doppia anima del Papa».

Bronisław Geremek, storico polacco, sostenitore di Solidarność, spesso presente agli incontri estivi che Giovanni Paolo II organizzava in estate a Castelgandolfo e dal 1997 al 2000 ministro degli Esteri, ha detto che il pontefice «era un uomo di gioia, un grande mistico»[1]. Lo stesso giorno e sullo stesso quotidiano il filosofo tedesco Otto Kallscheuer, in un breve e intenso articolo di taglio filosofico, definiva Giovanni Paolo II con lo stesso aggettivo.

Qualche anno prima, in occasione del ventesimo anniversario dell’elezione a pontefice (il 16 ottobre 1998), Vittorio Messori,  in un lungo articolo sul Corriere della Sera, aveva così parlato di Giovanni Paolo II: «Innanzi tutto, direi che è un mistico allo stato puro. Direi addirittura che nel suo caso non si può neanche parlare di “un uomo di fede”, perché la fede è una scommessa, come diceva Pascal; mentre invece il Papa - che peraltro conosce bene il grande filosofo francese, che cita spesso - è posseduto da una certezza. Non ha bisogno di credere: egli vede»[2].

Chi lo ha conosciuto da vicino come il cardinale Stanisław Dziwisz, che gli è stato segretario per oltre quattro decenni, nell’omelia pronunciata a Cracovia il 16 ottobre 2005 ha detto che in lui «una profonda mistica si alleava con una semplicità quasi di bambino»[3]. Il Postulatore dell’ inchiesta per la sua canonizzazione era dello stesso parere se ha intitolato Il mistico uno capitoli del suo libro sulle ragioni della santità di Karol Wojtyła[4].

Che la qualifica di “mistico” abbia messo bene a fuoco la personalità di Giovanni Paolo II è confermato da un piccolo episodio accaduto durante il suo viaggio in Perù nel febbario 1985. Nel Palazzo del Governo, al termine del suo discorso si avvicinò a lui uno dei presenti per felicitarsi della sua conoscenza dello spagnolo. Egli allora, in spagnolo, gli rispose così: «Certo, hombre! Ho dovuto imparare lo spagnolo perché ho sempre avuto un grande interesse per il misticismo. Io sono un mistico. E la mia tesi di dottorato in Sacra Teologia fu basata sulle opere di Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce, i due più grandi mistici che ha avuto la Chiesa cattolica»[5].

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Il legame con la mistica carmelitana

Tra i fattori che hanno contribuito a dar forma alla dimensione mistica della fede nella vita di Karol Wojtyła vi è senza ombra di dubbio la conoscenza e il legame spirituale con la figura e la dottrina di San Giovanni della Croce. Tra le moltissime occasioni in cui egli ha rievocato il suo legame con il santo spagnolo ne ricordiamo solamente due. Come sappiamo, la sua conoscenza di Giovanni della Croce risale agli anni dopo il Liceo quando con il padre si trasferì da Wadowice a Cracovia per iniziare gli studi universitari e grazie all’incontro con Jan Tyranowski. Nel 1994, nel libro-intevista Varcare la soglia della speranza, ritornò a quegli anni ormai lontani con queste parole «Quell’uomo [Tyranowski], che ritengo un santo, mi introdusse ai grandi mistici spagnoli e, specialmente, a San Giovani della Croce. Prima ancora di entrare nel seminario clandestino, leggevo le opere di quel mistico, specialmente le poesie. Per poterlo fare in edizione originale, studiai la lingua spagnola. Quella fu una tappa molto importante nella mia vita»[6].

 Il 4 ottobre 1982 a Segovia, dove Giovanni della Croce è sepolto, egli ricordò così il suo legame con il mistico carmelitano: «Rendo grazie alla Provvidenza che mi ha concesso di venire a venerare le reliquie e ad evocare la figura e la dottrina di san Giovanni della Croce, al quale debbo tanto nella mia formazione spirituale. Ho imparato a conoscerlo sin dalla mia giovinezza e sono entrato in un dialogo intimo con questo maestro della fede, con il suo linguaggio e il suo pensiero, fino a culminare con l’elaborazione della mia tesi di dottorato su “La fede in san Giovanni della Croce”. Fin d’allora ho trovato in lui un amico e maestro, che mi ha indicato la luce che brilla nell’oscurità, per camminare sempre verso Dio, “senza altra luce né guida / che quella che nel cuore ardeva / Codesta mi guidava / più certo che la luce del meriggio” (S. Giovanni della Croce, Notte Oscura, 3-4)»[7].

Anche ai laici che lo frequentavano, se lo riteneva opportuno, suggeriva di accostarsi agli scritti del santo spagnolo. In una lettera del dicembre 1963, quando era ancora vescovo ausiliare di Cracovia, alla sua figlia spirituale e poi collaboratrice pastorale Wanda Połtawska, consigliò di leggere alcuni testi di San Giovanni della Croce per capire meglio come doveva strutturare il suo rapporto con Dio[8].

Da ultimo, il legame di Giovanni Paolo II con la spiritualità carmelitana è stato autorevolmente messo in risalto da Sławomir Oder, che come Postulatore ha seguito tutti i lavori della inchiesta per la canonizzazione, avvenuta il 27 aprile 2014. Ecco le sue parole: «Se fosse diventato carmelitano, molto probabilmente Wojtyła non sarebbe mai diventato papa. Ma aprendo dinanzi a lui le porte del seminario di Cracovia, Dio ha voluto fare alla Chiesa il dono di un papa dal cuore carmelitano»[9].

In una pagina di Memoria e identità, Giovanni Paolo ha scritto: «La memoria è la facoltà che modella l’identità degli esseri umani a livello sia personale che collettivo. È infatti attraverso di essa che si forma e si definisce nella psiche della persona la percezione della propria identità»[10].

Se, come è stato scritto, Giovanni Paolo II ha un «cuore carmelitano» ciò è dovuto in massima parte al «dialogo intimo» e alla paziente assimilazione del linguaggio e del pensiero di San Giovanni della Croce. Essendo parte della sua «memoria», il santo spagnolo lo è diventato anche della sua «identità» spirituale.

Note:

[1] L’amico Geremek, in Il Foglio, 5 aprile 2005, p. 1.

[2] «Quel pranzo con il mistico Wojtyła» in Corriere della Sera, 16 ottobre 1998, p. 3 del dossier.

[3] Mons. S. Dziwisz, Omelia, in L’Osservatore Romano, 26 .10. 2005, p. 6.

[4] S. Oder – S. Gaeta, Perché è santo. Il vero Giovanni Paolo II raccontato dal postulatore della causa di beatificazione, Rizzoli, Milano 2014, pp. 139-180.

[5] L’episodio è narrato in una lettera al Postulatore da chi ne fu diretto protagonista. La lettera è pubblicata in Totus Tuus, IV, n. 6 (2009) 28.

[6] Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, Milano 1994, p. 155.

[7] Giovanni Paolo II, Omelia durante la celebrazione della Parola in onore di San Giovanni della Croce, n. 2.

[8] Cfr. W. Półtawska, Diario di una amicizia. La famiglia Półtawski e Karol Wojtyła, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, pp. 148-149.

[9] S. Gaeta -S. Oder, Karol il Santo. Vita e miracoli, Paoline - San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2014, p. 41. Nel 1993 Giovanni Paolo II ha confermato Giovanni della Croce come patrono di tutti i letterati di lingua spagnola.

[10] Giovanni Paolo II, Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, Rizzoli, Milano 2005, p. 171.