Incontro
“Vieni, sii la mia luce! I poveri, i bambini di strada non mi vogliono perché non mi conoscono. Tu devi portare me a loro e loro a me”. Con queste e altre parole Gesù invitava Madre Teresa di Calcutta a uscire dal convento in cui si trovava e a fondare un nuovo istituto religioso. E’così che, nel 1950, nasce la Congregazione delle Missionarie della Carità. Poi, nel 1963, Madre Teresa fonda anche il ramo maschile, i fratelli Missionari della Carità.
La nostra missione può essere descritta come un incontro. Si tratta di facilitare un incontro tra Gesù e i poveri:“Tu devi portare me a loro e loro a me”. È evidente che per essere mediatore tra Gesù e i poveri, devo trovarmi in stretto contatto con l'uno e con l'altro. In altre parole sono chiamato a vivere una profonda vita di preghiera e unione intima col Signore e, al tempo stesso, un servizio concreto ai poveri. Madre Teresa ripeteva spesso che siamo chiamati a essere “contemplativi in azione”. Ogni giorno spendiamo circa tre ore e mezza in preghiera.
La storia di Marco
Sposato, con due figli e un lavoro, Marco viveva una vita normale. La figlia maggiore va a vivere all'estero e là si sposa. In seguito anche la moglie si trasferisce all'estero. Una separazione fatta senza litigi, con un semplice arrivederci. Intanto anche l'altra figlia si sposa e segue la sua strada. Marco comincia a bere nella speranza di sopraffare la solitudine e l’abbandono ma, di fatto, è sopraffatto dall'alcool. A lavoro arriva ubriaco una, due, tre e più volte ed è licenziato. Finisce i soldi, non paga il fitto ed è messo fuori. È così che diventa barbone, alcolizzato e vive diversi anni in strada. Ci conosciamo e comincia a frequentare il nostro centro diurno. Poi, un giorno, arriva col ventre ingrossato, le gambe gonfie e giallino in viso. Riesce a stento a camminare. Lo accogliamo tra i residenti e chiamiamo l'ambulanza. All'ospedale dicono che se avessimo aspettato solo un paio di giorni, Marco sarebbe morto di cirrosi. Gli estraggono diversi litri di liquido e dopo qualche giorno lo dimettono. Torna da noi e si riprende gradualmente. Sta con noi quasi un anno e, in questo periodo, ci occupiamo anche dei suoi documenti, dalla carta d'identità alla pensione. Cosi Marco va a vivere in una casa di riposo per anziani e viene spesso ad aiutarci. Da aiutato diventa aiutante. Inoltre, riprende i contatti con i parenti, con sua sorella e le figlie. E c'è di più. Mentre era da noi, Marco veniva spesso in cappella e pregava con noi il rosario, partecipava all’adorazione e alla messa. Poi, un giorno, mi ha detto: “frà Gennaro, desidererei confessarmi e comunicarmi. Ti prego parla col parroco”. Gli ho chiesto: “quando ti sei confessato l'ultima volta?”. Mi ha risposto: “non mi sono mai confessato”. Ho parlato col parroco e Marco ha fatto la sua prima confessione all'età di 58 anni. Ecco, è così che rispondiamo all'invito di Gesù: “devi portare me a loro e loro a me”.
Domande giuste per risposte giuste
Spesso si chiede ai religiosi: “Perché hai scelto questa vocazione?” A mio giudizio, questa è una domanda errata che spesso riceve una risposta errata. Se vuoi risposte giuste, devi porre domande giuste. Per me la domanda giusta sarebbe: “Perché hai scelto di dire ‘sì’ alla scelta di Dio?” La stessa Vergine Maria, più che scegliere Dio, ha scelto di dire ‘sì’ a Dio che l’ha scelta. Si è scoperta scelta ed allora ha scelto di rispondere ‘sì’. Così, ogni religioso sceglie di dire ‘sì’ a Colui che l’ha scelto. Risponde con generosità e amore a Colui che è Amore. La scelta di Dio è iniziativa, la scelta del religioso è risposta.
Detto questo, è facile intuire il senso ultimo della Vita Consacrata. Madre Teresa di Calcutta ci diceva: “La nostra vocazione consiste nell’appartenere a Gesù”. Lo stesso servizio ai poveri era per lei espressione del suo appartenere a Gesù, quel Gesù che lei vedeva, amava e serviva nella persona del povero. Scoprendo di appartenergli, scegli di appartenergli. E, facendo questo, scopri che Dio ti appartiene. Lui si è dato per te e vuole darsi a te. Inoltre, donandosi, Dio ci insegna a donarci.
Tuttavia, può succedere di perdere di vista questo senso ultimo della Vita Religiosa. Vediamo un altro esempio di domanda e risposta errate. Un religioso viaggiava in treno e conversava con gli altri passeggeri. Allora, una signora che voleva comprendere l’identità, il senso del religioso, gli ha chiesto: “Ma lei, cosa fa? In cosa consiste il suo essere religioso?” E lui ha risposto raccontando le cose che fa e definendosi come una persona occupatissima! Senza dubbio, le cose che facciamo sono importanti, sono la missione ricevuta dal Signore. Però, purtroppo, spesso la gente identifica l’identità del religioso con ‘le cose che fa’ e ci sono religiosi che identificano la loro vocazione con ciò che fanno. In questo caso, il senso ultimo, la cosa più importante, sarebbero le cose che facciamo. Ma, in verità, più importante delle cose fatte è l’amore che ci spinge a farle, l’amore con cui le facciamo, l’amore di Colui che ci chiama a farle. L’amore di Colui che mi appartiene ed al quale appartengo.