Allora già la veneravano nella cappella a lei dedicata gli eremiti europei stabilitisi nello Wadi ’Ayin es-Siah, la valle del Carmelo da cui essi vedevano in lontananza il medesimo mare che l’estate scorsa ha restituito a questa vita la donna camerunense. Anche Josepha, protagonista della storia che proponiamo alla riflessione dei nostri lettori, ha saputo riconoscere nel miracolo del suo salvataggio la presenza materna della Vergine del Carmelo, la Stella del Mare, venerata soprattutto in Spagna come la «Protettrice della gente di mare».
Sembra che qui lo spazio tra la speranza che riponiamo nella Madre celeste e la sua presenza reale si sia ridotto fino ad assorbirsi nel segno luminoso apparso proprio dove quella povera profuga più morta che viva stava sprofondando nella notte… E dove è sgorgata la sua invocazione salita fino al Cielo: perché non trovare qui un’esperienza come quelle registrate nel Salmo 107 [106]?
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Lo dicano quelli che il Signore ha riscattato,
che ha riscattato dalla mano dell’oppressore
e ha radunato da terre diverse,
dall’oriente e dall’occidente,
dal settentrione e dal mezzogiorno
(oppure: dal nord e dal mare – cfr. Is 49,12).
Chissà che questo non sia un segno che vuole richiamarci a una conversione, a non liquidare come se niente fosse l’immane tragedia che si sta consumando nelle acque che separano Africa ed Europa, povertà e speranza, morte e vita. Di sicuro è il segno della presenza di una Madre che ancora una volta non ignora il dramma dei suoi figli. Perciò nemmeno il Carmelo può dirsene fuori.
Colui che getta il disprezzo sui potenti
li fece vagare nel vuoto, senza strade.
Ma risollevò il povero dalla miseria
e moltiplicò le sue famiglie come greggi.
Vedano i giusti e ne gioiscano,
e ogni malvagio chiuda la bocca.
Chi è saggio osservi queste cose
e comprenderà l’amore del Signore.