Quale significato assumono i resti mortali di questi santi? Da sempre fin dall’antichità la tradizione della Chiesa vuole che i suoi edifici sacri siano costruiti sulle reliquie dei martiri. E questo per ricordare che ogni epoca è chiamata a costruire la Chiesa come se fosse ogni volta dalle fondamenta. Il richiamo che S. Teresa d’Avila fa alle sue monache circa la continuità dell’Ordine – «Noi cominciamo ora. Procurino sempre d’incominciare e d’andare innanzi di bene in meglio» (Fondazioni 29,32) – si può applicare a tutta quanta la Chiesa che ogni volta deve come iniziare, ritrovando le fondamenta in Cristo Gesù.

E cosa si può dire del caso specifico, una famiglia santa che ha generato una figlia santa? Giungono alla mente altre vicende simili: a S. Monica, madre di S. Agostino oppure alla Serva di Dio Margherita Occhiena, mamma di S. Giovanni Bosco, o ancora ai genitori di S. Bernardo di Chiaravalle e al loro programma di vita: «Stabilimmo che Dio ci aveva posti in questo minuscolo posto dell’universo che si chiama casa con l’unico fine di rendere questo puntino bello ai suoi sguardi infiniti».

Ma il pensiero va anche alle tante famiglie «non canonizzate», anzi talvolta con profonde ferite, e che tuttavia non hanno impedito la santità, quella sì riconosciuta dalla Chiesa, dei loro figli. La presenza di reliquie di genitori santi che hanno generato una figlia santa è come se le rappresentassero tutte e volessero lasciare ai Padri sinodali un particolare punto di vista con il quale affrontare le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione: prima missione della famiglia è quella di indicare la strada della santità. È in questo modo che trova pieno compimento ogni paternità e maternità.