Segnaliamo ai nostri lettori il volumetto Basoreliefuri di P. Tarcisio Favaro ocd, conventuale a Snagov in Romania: piccolo catalogo delle opere con cui il nostro padre ha abbellito il santuario romeno, ormai famoso in tutto la nazione, e che si pregia dell'introduzione di P. Rupnik che qui riportiamo:
di Marko Ivan Rupnik sj
“Rinunciando con umiltà all’affermazione orgogliosa di se stesso, l’artista e lo spettatore riconoscono e proclamano nell’Amore la realtà dell’altro, riscoprendo l’ecclesialità e il carattere rivelato della conoscenza del Vero nell’Amore come Bellezza” (Ioan Ica).
Sono passati molti anni dalla prima volta in cui padre Tarcisio mi ha fatto vedere un suo bassorilievo in terracotta. Credo si sia dovuto rendere immediatamente conto di come fossi rimasto colpito, perché con un atteggiamento umile e dimesso cercava quasi di convincermi che non era lui a fare queste cose. E più io mi stupivo e a voce esprimevo la mia meraviglia della riuscita dell’opera più lui si ritraeva.
Ho colto dietro questo atteggiamento diversi aspetti che qui mi piace mettere in rilievo. Non si tratta della falsa umiltà di un carmelitano che, come spesso accade nel mondo dei religiosi, da artista ha dovuto in qualche modo accettare una diversa visione dei superiori per lui. Non è affatto un’umiltà che nasconde piuttosto una ferita mai cicatrizzata. E lo dico per due motivi, da un lato la maturità delle opere che successivamente ho potuto ammirare, e anche, se mi è permesso, il carattere spirituale di p. Tarcisio. Io credo, anche se fossi l’unico, che lui con queste opere non c’entra. Perché proprio questo è ciò che caratterizza l’arte dei cristiani nelle epoche migliori della nostra storia. Non è affermazione soggettiva dell’artista, è un umile servizio.
Ho visto p. Tarcisio zappare la terra in Romania e mentre lo osservavo dalla finestra mi son detto, sì, p. Tarcisio capisce che l’arte è un servizio, umile, come zappare la terra. Ma che non c’è cosa più gustosa nella vita di un uomo che fare il servizio nella libertà di un amore disinteressato. C’è in effetti un nesso tra il padre Tarcisio che contemplavo dalla finestra mentre zappava e il Tarcisio scultore. La sua scultura è di una bellissima materia. La materia per sé stessa, dopo il peccato dell’umanità, non può essere bella se non in chiave seduttrice. E perciò alla fine si svela pesante, come la terra che chiude la tomba. C’è qualcosa di amaro, di grave e di mortale in ogni materia del mondo. Proprio come dice l’Apostolo in Rm 8,19 che “la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio”, cioè dei figli che non prendono, come ha fatto Eva all’ora del peccato, ma che offrono. E che ciò che prendono nelle mani lo prendono con la gratitudine di chi è felice del dono ricevuto.
Qui la materia è bella perché è tenera, leggera, è un incontro. Toccare la materia del mondo significa rispondere con tenerezza all’amore ricevuto. E questi bassorilievi sono proprio quella superficie della crosta del mondo che i figli liberi, mossi dallo Spirito Santo, sfiorano liturgicamente, per far tornare la bellezza dell’universo, di questo mantello materico del mondo. Se il mantello è, nella Scrittura, immagine della gloria, ecco l’artista monaco che fa emergere dalla terra la gloria, il fascino, il mantello. L’opera di Tarcisio è proprio esorcizzare il grave, il mortale, l’opaco della materia facendo emergere in essa la vita, la luce, l’amore.
Tanto è vero che la pastosità viene elaborata in modo dinamico, libero, lieve. Non spingendo la materia nella schiavitù di una razionalità idealista, perfezionista nella forma. Ma lasciando che emerga affinché diventi luogo di manifestazione della vita. E se il creato ha ricevuto la vita da Dio, l’uomo l’ha ricevuta secondo Dio, cioè solo l’uomo esiste in modo personale, secondo Dio, che è secondo la comunione delle persone. La cosa a mio giudizio più geniale dell’opera di questo carmelitano è che la luce e la vita che emerge dalla terra acquista la forma, cioè il modo di esistere secondo l’uomo, cioè secondo la relazione. Nelle sue opere emergono i volti, le mani, i corpi e mai rimangono isolati nella loro individualità. C’è invece tanta tenerezza, carezza, un avvolgersi nei gesti di darsi e di accogliere.
Se nella liturgia della Chiesa la materia del mondo rientra nell’esistenza secondo Dio, cioè secondo la persona, nella vita come comunione - basti pensare all’Eucaristia dove persino lo stesso Corpo di Cristo è costituito da questa sinergia della terra e del lavoro dell’uomo - questo stesso Corpo di Cristo che emerge sull’altare è la piena realizzazione della Chiesa che partecipa alla liturgia, senza la quale questo Corpo eucaristico non può apparire. Dunque il Corpo di Cristo è questa umanità vissuta a modo del Figlio, vissuta come comunione. Penso che con gli anni padre Tarcisio abbia scoperto nel suo lavoro artistico una sintesi della sua vita perché racchiude in sé il passaggio del mondo attraverso la Chiesa. Il grande teologo romeno Staniloae nel suo testo L’esperienza di Dio dice ad un certo punto che in Cristo, lo spazio non separa più, ma partecipa dell’onnipresenza divina. Finché spazio e tempo rimangono fuori dall’amore, nell’egoismo, sono tanti punti impermeabili, fatti di un prima e di un dopo, di un qui e di un lì. Quando entrano nell’amore, tutto si compenetra, tutto diventa compresente e anche la materia smette di respingere e nel suo corpo glorioso trovano spazio tutte quelle persone e quegli eventi che nel tempo storico si sono così strettamente intrecciati con Lui da diventarne parte.
L’arte nasce dalla vita che come un fiume carsico cerca di emergere, di esprimersi. La formazione artistica che a padre Tarcisio malgrado tutto non manca, non ha comunque soffocato con dei linguaggi acquisiti la genuinità della luce e della vita che in lui hanno cercato di esprimersi come volto, come gesto, come sacramento.
Già san Massimo il Confessore aveva questa grandiosa sintesi del dogma della creazione e redenzione per quanto riguarda la materia, cioè che dentro la materia del mondo posa il codice del Logos con il quale fu creata. E in questo codice che noi possiamo scoprire e decifrare è iscritta la volontà della materia che è la volontà di far parte dell’amore tra le persone come dono nelle loro mani per poter amare. Perché con l’amore si entra nella vita in Cristo. Il codice della materia del mondo è Cristo, cioè la sua divino umanità. Noi facciamo attivamente parte di questo passaggio del mondo nel Corpo di Cristo. Sergej Bulgakov con il suo modo tenace di teologare fa vedere come l’unità di due mondi, quello spirituale e quello cosmico, quello creato e quello increato è realizzata solo in modo personale, solo nella persona. Le due nature non si uniscono tra di loro ma vengono unite nella Persona del Figlio. Già Efrem il Siro diceva che l’estensione di questa unità sacramentale in Cristo su tutto il mondo è il simbolo, non come un rimando a qualche significato più spirituale o più intellettuale, ma come reale presenza dell’unità, della comunione. Come reale presenza di Cristo nel mondo, perché l’unità è realizzata solo in Lui.
Ecco, penso che l’opera di padre Tarcisio si innesti in questo grande servizio liturgico, di far valere una visione cristiana del simbolo che lui probabilmente ha potuto cogliere più facilmente nella sua immediatezza d’artista di quanto non si sia potuto cogliere negli studi di teologia occidentale dove da tanto tempo è assente una visione del simbolo realista e non idealista o soggettiva.
Ed è proprio la vocazione degli artisti spirituali far tornare questo modo di pensare, di vedere e di vivere".
Qui di seguito una galleria con i medaglioni della Via Crucis realizzati da P. Tarcisio:
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