Riportiamo da L'Osservatore Romano del 20 dicembre 2021 la recensione del recente saggio pubblicato per le nostre Edizioni OCD da un padre della nostra provincia, Iacopo Iadarola: «Nessuno ha un amore più grande di questo». Contributi carmelitani per una spiritualità dell’offerta della vita.
di P. Stefano Zamboni, sci
«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Ma come si può dare la vita? In che modo offrire qualcosa che in fondo non ci appartiene, che è per noi dono prima d’essere possesso? E in quanti modi si può offrire la propria vita? Nel 2017 Papa Francesco ha promulgato un «motu proprio», ispirato nel titolo proprio alle parole del Quarto vangelo sopra riportate (Maiorem hac dilectionem), con il quale ha disposto che, come ulteriore possibile via di canonizzazione, vi sia anche quella che riconosce la testimonianza di quanti «seguendo più da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri ed hanno perseverato fino alla morte in questo proposito».
Offrire la vita per gli altri – nel senso inteso dal motu proprio di papa Francesco – è un caso particolare, quasi una concretizzazione di quell’offerta di sé che caratterizza strutturalmente l’esistenza cristiana in quanto tale. L’immagine utilizzata dal carmelitano Iacopo Iadarola, autore di un appassionato studio dedicato proprio a questo tema («Nessuno ha un amore più grande di questo». Contributi carmelitani per una spiritualità dell’offerta della vita, Edizioni OCD, Roma 2021) è quella dell’ellisse: i suoi due fuochi sono costituiti proprio dall’esplicita offerta della vita con «l’eroica accettazione propter caritatem di una morte certa e a breve termine», come recita il motu proprio, e l’offerta della vita che deve sostanziare l’esistenza ordinaria di ogni battezzato, secondo quell’universale vocazione alla santità messa in luce dal Vaticano II e recentemente richiamata dalla Gaudete et exsultate di Francesco.
Come nel gesto della donna del Vangelo che unge di profumo il capo di Gesù (cf. Mt 26,6-13) o in quello della povera vedova che getta nel tesoro del tempio tutto ciò che ha per vivere (cf. Lc 21,1-4), la risoluzione d’offrire la propria vita può apparire qualcosa di spropositato, se non addirittura folle: uno spreco inutile per chi giudica le cose solo in base a gretti criteri utilitaristici. In realtà, lungi dall’essere espressione di una patologica volontà di autoannientamento, essa deriva da un’esigenza d’amore gratuito, lieto d’offrirsi all’Amato, come testimonia a profusione in modo particolare la schiera delle carmelitane più o meno note evocate in questo volume: da Teresa d’Avila alla piccola Teresa di Lisieux, da Elisabetta della Trinità a Teresa di Los Andes, dalla “Chiquitunga” a Kinga della Trasfigurazione. Ciò a conferma del fatto che, come ricordava von Balthasar, l’esistenza carmelitana è «offerta di tutto il proprio essere al Dio di Gesù Cristo».
Se il lettore si accosterà con pazienza contemplativa e con intelligenza d’amore alle sempre stimolanti pagine di questo testo, non potrà che concordare con quanto scrive l’autore, quasi riassumendo il suo articolato itinerario: «La spiritualità dell’offerta della vita ci inchioda al ricordo di quale sia la posta in gioco: non una proposta morale, non una “passione triste” a noi estranea, ma vera morte e vera nascita, come in ogni vera storia d’amore che si rispetti» (p. 419).