di P. Aldino Cazzago ocd
Quarant’anni fa, il 30 novembre 1980, prima domenica di Avvento, alla recita dell’ Angelus Giovanni Paolo II annunciò che di lì a pochi giorni sarebbe stata pubblicata l’enciclica Dives in misericordia, la seconda del suo pontificato. Scopo principale dell’enciclica era, come disse egli stesso, «di ricordare l’amore del Padre, rivelato in tutta la missione messianica di Cristo, incominciando dalla sua venuta nel mondo fino al mistero pasquale della sua croce e della risurrezione». Il 2 dicembre successivo l’enciclica venne presentata nella Sala Stampa vaticana.
Come ha raccontato lo stesso Giovanni Paolo II nel volume Memoria e identità, pubblicato nel febbraio 2005, le sue due prime encicliche, la Redemptor hominis del marzo 1979 e la Dives in misericordia, non furono pensate a Roma, ma in Polonia durante i lunghi anni del suo ministero sacerdotale ed episcopale. La seconda era, poi, strettamente collegata alla figura di santa Faustina Kowalska che ha nell’annuncio della misericordia di Dio il cuore della sua missione ecclesiale.
Scriveva Giovanni Paolo II nel menzionato volume: «Suor Faustina Kowalska divenne la banditrice dell’annuncio secondo cui l’unica verità capace di controbilanciare il male di quelle ideologie [nazismo e comunismo] era che Dio è misericordia – era la verità del Cristo misericordioso». Poi così concludeva: «È per questo che, chiamato alla Sede di Pietro, ho sentito l’impellente bisogno di trasmettere le esperienze fatte nel mio Paese natale, ma appartenenti al tesoro della Chiesa universale». Suor Faustina morì a Cracovia nell’ottobre 1938, quando da qualche mese il giovane Karol Wojtyła con il padre si era trasferito qui da Wadowice per iniziare il suo primo anno di università.
Il tema centrale
L’enciclica si compone di otto capitoli, ma contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il numero dei paragrafi è assai ridotto: solamente quindici, anche se di consistente lunghezza. A dispetto dell’esiguo numero dei paragrafi il suo contenuto è, invece, di straordinaria densità.
Quarant’anni dopo la sua pubblicazione, il percorso teologico che in essa prende forma e alcune caratteristiche di quel contesto storico, per molti aspetti simile all’attuale, si mostrano di sorprendente attualità. Alla loro luce è possibile leggere e interpretare anche il nostro tempo non meno difficile dei «tempi critici» (n. 1) per i quali l’enciclica venne scritta.
Chi ha la pazienza di leggere di seguito tutti e quindici i corposi paragrafi del testo compie un breve, ma intenso viaggio biblico nel mondo della misericordia perché delle 140 note presenti nel testo, solo 10 non sono di testi biblici.
Il percorso che l’enciclica delinea può essere bene illustrato dalla seguente immagine. Chi sale sulla vetta di una montagna posta tra due vallate ha la possibilità di scorgere l’intero panorama che sta da un lato e dall’altro di essa. I primi due capitoli (nn. 1-3) rappresentano la vetta della montagna e portano subito il lettore nel punto del massimo svelamento del tema: Cristo «volto del Padre che è “misericordioso e Dio di ogni consolazione” (2Cor 1,3)» (n. 1). Spiega Giovanni Paolo II: «Tale verità, più che tema di un insegnamento, è una realtà a noi resa presente da Cristo. Il render presente il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza di Cristo stesso, la fondamentale verifica della sua missione di Messia» (n. 3). Cristo «rende presente il Padre come amore e misericordia» «con le sue azioni» e con la sua «predicazione» (n. 3).
Questa «realtà» del Padre «misericordioso» che Cristo vive e proclama, mentre fa trasparire il loro rapporto di intimità, ha anche importanti conseguenze di carattere antropologico. Infatti «mediante questa “rivelazione” di Cristo […] conosciamo Dio innanzitutto nel suo rapporto di amore verso l’uomo: nella sua “filantropia” (Tit 3,4)» (n. 2).
La misericordia entra nella storia
Se al seguito del pontefice il lettore guarda ora da un lato della vetta vedrà che la «realtà» (n. 3) della misericordia che Cristo ha portato a compimento si era già intrecciata con la storia del popolo d’Israele. Questi, dall’infedeltà all’alleanza con Dio, ha maturato «una peculiare esperienza della misericordia di Dio» (n. 4). In questa storia la misericordia non va letta in contrapposizione alla giustizia di Dio, ma ne rappresenta una misura più «grande» (n. 4). È questo il contenuto dell’unico paragrafo, il quarto, di cui è formato il terzo capitolo.
Nella parabola del figliol prodigo che occupa i paragrafi nn. 5 e 6, di cui è formato il quarto capitolo, il tema della misericordia di Dio, che ha accompagnato la storia del popolo d’Israele di «generazione» in generazione», trova una esemplificazione ed un approfondimento (cfr. n. 5). Qui «il mistero stesso della misericordia» è al centro del «dramma profondo che si svolge tra l’amore del padre e la prodigalità e il peccato del figlio» (n. 5). Dopo una serrata lettura della condizione umana e spirituale dell’animo del figliol prodigo – che nel suo peccato «è in certo senso l’uomo di tutti i tempi» (n. 5) – e di quella del padre che rimanendo «fedele alla sua paternità» ((n. 6) salva la «dignità del figlio» (n. 6), il papa conclude: «Il significato vero e proprio della misericordia non consiste soltanto nello sguardo, fosse pure il più penetrante e compassionevole, rivolto verso il male morale, fisico o materiale: la misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male esistenti nel mondo e nell'uomo. Così intesa, essa costituisce il contenuto fondamentale del messaggio messianico di Cristo e la forza costitutiva della sua missione» (n. 6).
La croce come «rivelazione radicale della misericordia»
Prima di volgere lo sguardo nell’altra direzione la riflessione del pontefice, e siamo al capitolo quinto, sosta per una volta ancora sulla vetta della montagna, cioè nel cuore del mistero della misericordia.
Ora Colui che era passato «“beneficando e risanando” (At 10,38)» viene «flagellato, coronato di spine, (…) viene inchiodato alla croce e spira tra strazianti tormenti» (n. 7); ora Colui che avrebbe meritato la misericordia di coloro che aveva beneficato «non la riceve» (n. 7).
La morte in croce che il Padre non risparmia al Figlio è segno e rivelazione di quella giustizia «su misura» di Dio che «nasce dall’amore», «nell’amore si compie» e genera «frutti di salvezza» (n. 7). «Credere in tale amore significa credere nella misericordia» (n. 7). Con una espressione che potrebbe valere come sintesi dell’intero documento, il pontefice scrive: «Questa [la misericordia] è la dimensione indispensabile dell’amore, è come il suo secondo nome». Poi così conclude: «e, al tempo stesso, [la misericordia] è il modo specifico» della «rivelazione ed attuazione» dell’amore «nei confronti della realtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l’uomo» (n. 7).
La croce di Cristo sul Calvario, mentre «è testimonianza della forza del male verso lo stesso Figlio di Dio», «è anche una rivelazione radicale della misericordia, ossia dell’amore che va contro a ciò che costituisce la radice stessa del male nella storia dell’uomo: contro al peccato e alla morte» (n. 8). L’amore di Dio non si esaurisce nella croce e nella morte su di essa del Figlio, ma rivela tutta la sua potenza nella risurrezione di Cristo. «Il Cristo pasquale è l’incarnazione definitiva della misericordia, il suo segno vivente» (n. 8).
«Basta la giustizia?»
Lo sguardo del pontefice si volge infine al panorama che offre l’altra vallata. Nei tre paragrafi che formano il sesto capitolo (nn. 10-11-12), Giovanni Paolo II compie una sobria ed essenziale analisi dell’inquietudine, delle varie paure che assillano l’uomo di fine millennio e dei programmi sociali ed economici che, in nome di un pur «risvegliato» (n. 12) senso della giustizia, pretendono di regolare tutti gli ambiti della vita con la sola giustizia. La domanda che egli pone è semplice e diretta: «Basta la giustizia»? (n . 12). L’asserzione summum ius, summa iniuria, mentre «non svaluta la giustizia», ricorda «la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, [e] che condizionano l’ordine stesso della giustizia» (n. 12).
La Chiesa «depositaria e dispensatrice della misericordia»
Nell’ottavo capitolo la sguardo del pontefice coglie gli aspetti essenziali della missione della Chiesa nei riguardi della misericordia. Se nel paragrafo n. 6 egli aveva già affermato che «occorre che il volto genuino della misericordia» sia «sempre nuovamente svelato», ora con un ritmo incalzante, al paragrafo n. 13, egli così si esprime: «La Chiesa deve professare e proclamare la misericordia divina in tutta la verità, quale ci è tramandata dalla rivelazione», e poi: «La Chiesa vive una vita autentica, quando professa e proclama la misericordia - il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore - e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice». Nei sacramenti dell’eucaristia e della penitenza Dio che è amore «non può rivelarsi altrimenti se non come misericordia» (n. 13).
«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). «La Chiesa, scrive il pontefice, vede in queste parole un appello all’azione e si sforza di praticare la misericordia» (n. 14), consapevole che questo modo di agire è «una caratteristica essenziale e continua della vocazione cristiana»(n. 14).
A coloro che pensano che i rapporti interumani debbano essere regolati «solamente dalla giustizia» (n. 14) perché la misericordia contribuirebbe a «mantenere le distanze tra colui che usa misericordia e colui che ne viene gratificato» (n. 14), la Chiesa risponde che la giustizia «è di per sé idonea ad “arbitrare” tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l’equa misura, l’amore, invece, e soltanto l'amore (anche quell’amore benigno, che chiamiamo «misericordia»), è capace di restituire l'uomo a se stesso» (n. 14).
Gettando uno sguardo al futuro del mondo nel quale è pur venuta crescendo «una più chiara coscienza dell’unità del genere umano» (n. 10), il pontefice rivolge il suo pressante invito: «Il mondo degli uomini può diventare sempre più umano solo se introdurremo nel multiforme ambito dei rapporti interumani e sociali, insieme alla giustizia, quell’ “amore misericordioso” che costituisce il messaggio messianico del Vangelo» (n. 14).
La conclusione che trova spazio nell’ultimo capitolo composto da un unico e lungo paragrafo, il n. 15, è un’accorata invocazione che a nome di tutta la Chiesa il papa rivolge a Dio per implorare la sua misericordia. La Chiesa, ed egli con essa, sente il dovere di farlo anche a nome di quell’uomo che oggi «non ha il coraggio di pronunciare la parola “misericordia”».
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Nel 2015 la Dives in misericordia ha trovato una magnifica eco nella bolla Misericordiae vultus che papa Francesco ha scritto per l’indire il Giubileo Straordinario della Misericordia. Pur nella loro diversa impostazione, i due testi mostrano una grande affinità di pensiero e di accentuazioni pratiche. Come ha scritto lo stesso papa Francesco, la Dives in misericordia «giunse inaspettata e colse molti di sorpresa per il tema» (Misericordiae vultus, n. 11) che affrontava. Riletta oggi la sorpresa permane.