di P. Stefano Conotter ocd
Intervista ad un napoletano "svedese"
Ho incontrato fra Gennaro a Bucarest, dove era responsabile della comunità dei Frati Missionari della Carità fondati da Madre Teresa di Calcutta. In lui si incontra un misto di simpatia napoletana (il nome tradisce le sue origini) e di precisione organizzativa che qualcuno ha definito "svedese".
Quando mi sono rivolto a lui per chiedere un parere o avere un consiglio, ho sempre trovato una chiarezza di giudizio che definirei sapienziale. Ecco perché ho pensato che sarebbe interessante proporgli una breve intervista per il nostro sito.
Adesso fra Gennaro vive e opera nella comunità di Parigi dei Missionari della Carità ed è là che l'ho raggiunto con le mie domande su dei temi che abbiamo discusso assieme in varie occasioni e che ritengo possano interessare anche altre persone che si confrontano con le stesse sfide. Partiamo quindi dalla prima risposta alla mia domanda.
Il bene va fatto bene: una carità caritatevole
Gennaro, un giorno abbiamo parlato del modo in cui noi religiosi viviamo la carità verso i poveri e tu hai sottolineato con insistenza l’importanza della dimensione comunitaria, potresti spiegare perché la ritieni una cosa prioritaria?
Fra Gennaro: «Cerca di avere una buona vita comunitaria, creando delle relazioni serene e fraterne con gli altri membri della comunità». Questo era il consiglio che detti a Fratel Gianni, un mio confratello che mi esponeva una certa difficoltà comunitaria. Si trattava del modo di praticare la carità, dell’approccio coi poveri, dell’impostazione dell’apostolato, ecc...
Gianni, giovane religioso, era stato inviato di recente in questa comunità perché c’era bisogno di aiuto e di un certo rinnovamento. Uomo capace e pieno di buona volontà, aveva ricevuto la responsabilità dell’accoglienza dei poveri e si era messo subito all’opera, lavorando duro, per apportare i dovuti cambiamenti e rinnovamenti. Dopo un certo tempo mi scrive raccontandomi il gran bene compiuto ed i primi frutti raccolti. Poi aggiunge: “...ma in comunità sono visto come un rivoluzionario che vuole imporre le sue idee. Cosa ne pensi, che consiglio mi daresti?”
Rispondendogli, ho distinto la situazione d’emergenza da quella ordinaria. Per emergenza intendo il caso di una persona che bussa al mio convento e che sta morendo di fame, di freddo, malata, ecc... In questo caso bisogna agire subito. Tuttavia, ordinariamente, noi non ci confrontiamo con situazioni così drammatiche. Allora, gli ho consigliato di lavorare sui rapporti comunitari perché, come sappiamo, “una casa divisa in se stessa non regge.” Una carità vissuta nella divisione non è la migliore delle carità. La carità caritatevole esige che il bene sia fatto bene.
In effetti, accanto alle ‘cose’ che diamo ai poveri o che facciamo per loro, ci deve essere la testimonianza di una vita fraterna. Così, le cose che diamo o facciamo, avranno il sapore dell’amore di Dio. La carità praticata nell’armonia comunitaria farà bene a me, alla comunità ed ai poveri. La carità praticata nella divisione non farà bene né a me, né alla comunità, né ai poveri.
Madre Teresa diceva:”Charity starts at home.” La pratica della carità comincia in comunità, in famiglia, a scuola, al lavoro, ecc...