di P. Giuseppe Furioni ocd
Il tempo di Avvento – come la Quaresima – si caratterizza per il colore viola. Ci si può legittimamente domandare la ragione della scelta di un colore liturgico di carattere penitenziale. Se questo è comprensibile per la Quaresima, che senso avrebbe per l’Avvento, quelle quattro settimane in cui ci si appresta ad attendere la venuta del Salvatore? Non dovrebbe essere il senso dell’attesa e della speranza, e dunque un colore che evidenzia piuttosto un sentimento di letizia, di gaudio (come appunto ci richiamano i misteri del Rosario)?
Premesso che penitenza e letizia, come ci ricorda nostro Signore, non sono sentimenti alternativi, le cose sono un po’ diverse. Ci è di aiuto a comprendere questo proprio il vangelo della prima domenica di Avvento, Mc 13, 33-37, che svolge il tema della vigilanza.
Siamo di fronte al momento conclusivo della vita pubblica di Gesù. Con questo brano si conclude il capitolo 13, e con il successivo inizia il racconto della settimana di passione. Perciò le parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli sono già riferite all’ultima fase della sua esistenza terrena. Dopo l’ingresso a Gerusalemme, Gesù va e viene dal tempio operandone la purificazione e disputando con farisei e sadducei, svelando l’ipocrisia degli scribi e riconoscendo l’umiltà della vedova. Poi se ne esce per l’ultima volta e dal monte degli Ulivi, mentre i discepoli guardano con ammirazione la bella costruzione di una delle meraviglie del mondo antico, egli emette un drastico giudizio: «Non resterà pietra su pietra!» (Mc 13,2).
Allora, prendendolo in disparte, lo interrogano Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno del loro compimento? (cfr. Mc 13, 4).
La risposta di Gesù lega assieme i segni premonitori della fine di Gerusalemme, le prove alle quali i suoi discepoli saranno sottoposti e il ritorno del Figlio dell’Uomo. E conclude invitando alla vigilanza (il vangelo di questa prima domenica di Avvento): «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (Mc 13,33-37).
È meticolosa la scansione del tempo notturno nel quale stare svegli, secondo le quattro vigiliae, secondo l’uso dei Romani, che caratterizzavano i turni delle sentinelle alle porte della città, come anche i diversi uffici che devono assumere i servi, in particolare il portiere. E uno s’immagina che si tratti d’indicazioni riferite a chissà quale futuro. Perché il Figlio dell’Uomo si manifesta con tempi e modi imprevedibili.
Eloquente è il racconto della passione di Gesù. «Venuta la sera», mentre è a tavola con i Dodici, Gesù annuncia il tradimento (Mc 14,18-20). Al Getsemani Pietro, Giacomo e Giovanni, invitati a vegliare per non cadere in tentazione, sono sorpresi nel sonno, non una ma addirittura due volte. E Gesù rinnova l’invito a vegliare per non essere impreparati nel momento della prova. E un rimprovero particolare è riservato a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?» (Mc 14,37), perché è lui il portiere di casa che deve rimanere sveglio anche per gli altri. Nel testo parallelo del vangelo di Luca (Lc 12,41) l’invito di Gesù a vigilare viene ripetuto proprio per lui, per Pietro, qui chiamato ad essere l’«amministratore fedele».
Ormai è notte quando Gesù viene arrestato, e tutti fuggono lasciandolo solo.
Al canto del gallo si svela la pavidità di Pietro: «Questa notte, prima che il gallo due volte canti, mi rinnegherai tre volte».
Infine, «al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato» (Mc 15,1).
Dunque in ogni ora bisogna vigilare, perché il Signore può tornare in ogni momento, ma non con la forza della distruzione e dell’annientamento dei nemici, ma con il potere che gli è stato dato dal Padre in forza della sua risurrezione. Quel potere per cui egli viene «in ogni tempo e in ogni uomo», come recita il Prefazio dell’Avvento, soprattutto là dove si manifesta l’amore capace di consegnarsi in maniera indifesa perfino a chi rifiuta l’incontro con il Salvatore; quel potere che è stato dato ai suoi servi e che mostra il suo splendore ogni volta che il discepolo, a imitazione del suo Maestro, non ricerca onori mondani, ma è tutto al servizio del Vangelo.
Ecco perché occorre vigilare: perché il sonno dell’abitudine non renda la casa di Dio che è la Chiesa un comodo rifugio per chi ha la grazia di abitarvi, ma si rinnovi continuamente come ambito in cui l’umanità di Cristo ininterrottamente viene – si tratta appunto dell’Avvento – incontro agli uomini grazie all’umanità dei suoi discepoli. Per questo l’Avvento è il tempo della vigilanza, ovvero della ininterrotta conversione.
San Giuseppe Benedetto Cottolengo fu sorpreso dalla venuta del Signore quando, ormai “pingue canonico” quasi “assopito” da una dignitosa carriera ecclesiastica, si trovò ad assistere una povera madre morente, rifiutata da tutti gli ospedali, e fu per lui l’occasione per ritrovare, negli ultimi quindici anni di vita, il senso di della sua vocazione e la strada della sua santità.