Lettera del Preosito Generale, P. Saverio Cannistrà, in occasione del IV centenario della nascita del Venerabile Fra Lorenzo della Risurrezione.
Cari fratelli e sorelle,
in occasione del Capitolo Generale tenutosi ad Avila nel 2009, i frati chiesero che nell’anno 2014 e sulla soglia del quinto centenario della nascita della nostra Madre Teresa di Gesù, noi commemorassimo il quarto centenario della nascita di uno dei suoi figli spirituali, nato nel 1614. Un umile frate carmelitano non-sacerdote, umile ma amatissimo da molti cristiani nel mondo intero e persino dai non-cristiani: fra Lorenzo della Resurrezione. I suoi scritti semplici ma pertinenti e luminosi, sono stati tradotti e rieditati fino ad oggi in molte lingue.
Nel 1991, in occasione del terzo centenario della sua morte, il nostro P. Camilo Maccise, allora Preposito Generale, scrisse una lettera di grande valore sulla spiritualità e la missione di fra Lorenzo (cf. Acta OCD, 1991-1992, pp. 451-458). Anch’io vorrei parlarvi brevemente di questo figlio del Carmelo a partire dalle due grandi tappe della sua vita, entrambe significative. Dapprima, il “giovane laico” Nicolas Herman – tale era il suo nome civile – quindi “il fratello laico OCD” Lorenzo della Resurrezione.
Nicolas Herman, giovane laico
Già dal punto di vista semplicemente umano e cristiano, questo primo periodo della sua vita è stimolante per noi che camminiamo alla luce di Cristo e del Carmelo, sia nella vita laicale, sia come religiosi o religiose.
Nel 1614 – in data sconosciuta – Nicolas viene battezzato nell’umile chiesa del piccolo villaggio di Hériménil nella Lorena, attualmente regione francese ma all’epoca Granducato indipendente. Non sappiamo quasi nulla della sua famiglia e della sua educazione in quest’ambiente rurale. Ma un avvenimento lo segna per tutta la vita. A diciotto anni, durante l’inverno, contemplando un albero spoglio e pensando al risveglio cosmico che riaccade nella natura ad ogni primavera, Nicolas è afferrato da un’intuizione profonda della Presenza e della Provvidenza divina, fonte di Vita che non cessa mai di manifestarsi. La sua intelligenza è invasa da una luce completamente nuova, da una fede ridestata. Dio si fa vicino, presente in tutte le cose. Quest’esperienza del Dio vivente s’imprimerà profondamente nella sua anima.
Ma la vita è dura nella Lorena di quel tempo, coinvolta nella terribile “guerra dei Trent’Anni” così distruttiva, omicida, immorale. Nicolas è arruolato nell’esercito del Granduca. In questo periodo tormentato, la sua anima perderà la bella visione dei suoi diciotto anni; più tardi si lamenterà dei peccati commessi (ma non sappiamo esattamente a che cosa si riferisca). Più volte si trova a faccia a faccia con la morte. Nel 1635 è gravemente ferito durante l’assedio della città di Rambervillers, che il Granduca di Lorena cerca di riconquistare. Nicolas è ricondotto al suo villaggio natale. E mentre il suo corpo si ristabilisce, pian piano guarisce anche la sua anima.
Qualche tempo dopo, entra in contatto con un gentiluomo eremita e decide di condividere la sua vita solitaria. Ma non è la sua strada. Intuisce certamente il valore di Dio, ma la fonte della preghiera non fluisce così come se l’immaginava. Emigra a Parigi, dove lo ritroviamo a servizio di un notabile. Ma nemmeno questo è il posto dove Dio lo vuole.
Soffermiamoci ancora un attimo presso Nicolas giovane laico. In circostanze dure ha imparato a “conoscere la vita” e a “conoscere il mondo”. Nel “combattimento per la vita”, ha vissuto lo sconvolgimento di una lunga e terribile guerra, l’irritazione e lo sgomento di tante situazioni angosciose, l’esperienza della povertà e della carestia. Ha scoperto anche la debolezza della propria natura umana, dei suoi “peccati” di cui conserverà per tutta la vita l’umile consapevolezza, come l’aveva fatto prima di lui la sua madre spirituale, santa Teresa di Gesù.
Ma l’amore vincerà. Nicolas non meriterà il biasimo dell’Angelo dell’Apocalisse: “Ho da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore” (Ap 2,4). Soldato, ferito, emigrante, operaio, il giovane laico ritrova la fiamma della luminosa divina Presenza dei suoi diciott’anni. Nel cuore del mondo e in piena lotta, lentamente si sviluppa in lui quest’anima cristiana e carmelitana che si apre senza limiti a Dio, alla sua grazia, ai suoi desideri concreti.
Nicolas resta un esempio di risveglio spirituale, di lenta resurrezione: egli è per noi tutti un silenzioso appello, un dolce invito.
Fra Lorenzo della Resurrezione
A Parigi, Nicolas Herman entra in relazione col convento San Giuseppe dei Carmelitani Scalzi in rue de Vaugirard, una grande e fervente comunità. Nel giugno 1640, all’età di 26 anni, vi entra come “fratello converso” (“frater donatus”, dicono le Costituzioni) e due mesi dopo riceve l’abito (che a quel tempo era abbastanza diverso da quello dei frati chierici, poiché non aveva cappuccio né mantello bianco; i frati conversi occupavano allora gli ultimi posti in refettorio e in coro). D’ora innanzi porterà il nome di “fra Lorenzo della Resurrezione”.
Dopo due mesi di postulandato e due anni di noviziato, il 14 agosto 1642 – vigilia della festa dell’Assunzione della Santa Vergine – Lorenzo (che ha ormai 28 anni) pronuncia i suoi voti perpetui come “frate converso”. Le Costituzioni dell’Ordine dichiaravano che questi frati “non chierici” devono essere “devoti, semplici, fedeli e dediti al lavoro, poiché sono chiamati al lavoro”; non hanno voce nel capitolo conventuale, non partecipano alla recita dell’Ufficio corale e quando non possono presenziare all’orazione mentale a motivo dei loro impegni domestici, devono pregare in altri momenti stabiliti dal Superiore, spesso la sera o durante la notte (cfr. Const. – ed. 1631, parte II, cap. 4).
Su di loro ricade perciò molto lavoro manuale; ritroveremo fra Lorenzo come cuoco della grande comunità, poi come ciabattino, spesso come aiutante in chiesa (per esempio per servire le numerose Messe dei fratelli sacerdoti, dato che a quel tempo non esisteva la concelebrazione) ma anche per via, per le commissioni necessarie e talvolta per la questua, nonché in viaggio fino in Borgogna e nell’Auvergne a far provviste.
Un inizio difficile, poi la grande gioia
Ecco dunque Nicolas Herman catapultato in un nuovo ambiente: un cambiamento incisivo come quelli che ognuno di noi può sperimentare nella propria esistenza, sia secolare che religiosa: un trasloco, un nuovo impiego, una nuova situazione di lavoro, di abitazione, d’inserimento nella vita comunitaria, familiare, sociale… Entrando in una nuova vita con nuove sfide, nuovi compagni e nuovi doveri, fra Lorenzo non si tuffa alla cieca. Sa che il Dio della grazia lo attende e lui vuole realmente donarsi a Dio senz’alcun limite. A una religiosa che conosce bene, egli scrive (parlando alla terza persona): “Voi saprete che la sua cura principale, in più di quarant’anni dacché si trova nella vita religiosa, è stata quella di essere sempre con Dio, di non fare nulla, di non dire nulla e di non pensare nulla che possa dispiacergli, senz’altro scopo che quello del suo puro amore”.
Ma a un religioso sacerdote, probabilmente il suo confessore (“pienamente istruito” sulle sue “grandi miserie” come anche sulle “grandi grazie” di cui Dio favorisce la sua anima) – in ogni caso un consigliere spirituale –, egli ricorda un altro aspetto:
Quando entrai in religione presi la risoluzione di darmi tutto a Dio in riparazione dei miei peccati e di rinunciare per amor suo a tutto ciò che non era Lui. Durante i primi anni, nelle mie preghiere mi dedicavo ordinariamente ai pensieri sulla morte, sul giudizio, sull’inferno, sul paradiso e sui miei peccati. Ho continuato in questo modo per qualche anno, applicandomi con cura durante il resto del giorno e anche durante il mio lavoro alla presenza di Dio, che consideravo sempre presso di me, spesso anche nel fondo del mio cuore. Ciò mi diede una così alta stima di Dio, che su questo punto solo la fede poteva soddisfarmi. Feci insensibilmente la stessa cosa durante le mie preghiere, e questo mi procurava grandi dolcezze e grandi consolazioni. Ecco da dove ho iniziato.
Ma ecco il rovescio, doloroso, della sua esperienza spirituale :
Le dirò tuttavia che durante i primi dieci anni ho sofferto molto. La causa di tutti i miei mali erano l’inquietudine che avevo di non appartenere a Dio come l’avrei desiderato, i miei peccati passati sempre presenti ai miei occhi e le grandi grazie che Dio mi concedeva. Durante tutto questo tempo cadevo spesso ma mi rialzavo subito. Mi sembrava che le creature e Dio stesso fossero contro di me e che soltanto la fede fosse a mio favore. Ero talvolta turbato dal pensiero che ciò era solo un effetto della mia presunzione, che pretendevo di essere subito là dove gli altri non arrivano che a prezzo di fatica; altre volte pensavo che ero bell’e dannato, che non c’era alcuna salvezza per me. Quando ormai ero rassegnato a terminare i miei giorni in tali turbamenti e inquietudini – che non hanno affatto diminuito la fiducia che avevo nel mio Dio e che non sono serviti che ad aumentare la mia fede –, mi ritrovai improvvisamente cambiato e la mia anima, che fino ad allora era stata sempre turbata, si sentì in una profonda pace interiore, come nel suo centro e in un luogo di riposo.
Da questa lettera si può facilmente dedurre che fra Lorenzo – che si trova “in religione da oltre quarant’anni” – ha attraversato un’intensa notte dell’anima durante i “primi dieci anni” della sua vita religiosa, e che in seguito “vi sono trent’anni” di “grandi gioie interiori”, come dice lui stesso nella lettera alla religiosa che abbiamo già citato, nella quale c’informa maggiormente sulla sua “pratica” costante della Presenza di Dio e sugli effetti positivi che ne trae:
Attualmente si è così abituato a questa divina presenza, che ne riceve continui soccorsi in ogni occasione. Sono circa trent’anni che la sua anima gode di gioie interiori così continue e così grandi, da poterle moderare a mala pena. Se talvolta si assenta un po’ troppo da questa divina presenza, Dio si fa subito sentire nella sua anima per richiamarlo; ciò gli accade spesso quando è più impegnato nelle sue occupazioni esteriori. Risponde con grande fedeltà a queste attrattive interiori: con un’elevazione verso Dio o con uno sguardo dolce e amoroso, oppure con qualche parola che l’amore produce in questi incontri. […] L’esperienza di queste cose lo rende così certo che Dio è sempre nel fondo della sua anima, che non può concepirne alcun dubbio, qualunque cosa faccia e gli accada.
Lo spirito del Carmelo
Sottolineiamo il fatto che, entrando al Carmelo, fra Lorenzo ha trovato una comunità fervente nella quale lo spirito della Riforma teresiana era ben vivo. Proprio a Parigi i confratelli di Lorenzo hanno tradotto le opere della santa madre Teresa e di Giovanni della Croce. Nel corso di prediche e conferenze, oppure nei consigli dei suoi superiori e confessori, al nostro cuoco è certamente accaduto spesso d’intendere le parole della nostra santa madre Teresa che ci ricorda che non bisogna affatto affliggersi “quando l’obbedienza vi chiede di applicarvi a cose esteriori: vi mettesse pure in cucina, siate persuase che il Signore è in mezzo alle pentole e verrebbe ad aiutarvi, interiormente ed esteriormente, […] tanto più che il vero amante non cessa mai d’amare e pensa sempre all’amato! […] Però è necessario che nelle nostre opere, anche se non agissimo che per obbedienza e carità, cerchiamo sempre di non distrarci e di volgerci interiormente verso Dio” (Fondazioni, cap. 5)
Per quanto riguarda l’armoniosa e fruttuosa unione di contemplazione e azione, il nostro fra Lorenzo – anch’egli intensamente attivo e profondamente contemplativo – offre dei suggerimenti pertinenti ai sacerdoti e agli studenti carmelitani, ma anche alle nostre sorelle contemplative e ad ogni cristiano laico o religioso, quando ci accade di essere chiamati agli impegni quotidiani e al servizio apostolico, umile e nascosto oppure glorioso e riconosciuto.
L’uomo e la guida
Per conoscere fra Lorenzo, la cosa migliore da fare è leggere le sue “Massime spirituali” e le “Lettere”, il cui testo autentico è stato recentemente ritrovato in modo provvidenziale. Si scopre in fra Lorenzo un uomo intelligente, assolutamente onesto; ha lo spirito limpido e va all’essenziale; la sua dottrina è fondata sia sulla fede che su una profonda esperienza di Dio; la sua parola è semplice ma convincente; ciò che dice è sempre ricco e dotato di senso; consulta talvolta dei “libri”, come dice lui stesso, perché non trascura la sua nutriente lettura spirituale; si sente che ha un cuore aperto e una natura retta; ha un buon senso dell’umorismo e non mena il can per l’aia.
Ha degli amici celebri che lo stimano molto. Il futuro biografo di Lorenzo, Joseph de Beaufort, vicario generale di Mons. Antoine de Noailles (vescovo di Châlons-sur-Marne e più tardi cardinale di Parigi, nuovamente con il de Beaufort come vicario generale), è venuto spesso a consultare il frate e racconta che il nostro cuoco mistico gli disse in occasione del loro primo colloquio: “Dio illumina coloro che hanno il vero desiderio di essere suoi; se ero mosso da questo intento, potevo chiedere di lui ogni volta lo volessi, senza temere d’importunarlo; in caso contrario, che mi astenessi dal venire a trovarlo…”.
Alcuni testimoni dicono che Lorenzo era rozzo, non nel senso di maleducato ma di diretto, di campagnolo, di semplice operaio, insomma di uno che non perde tempo con i complimenti e le belle formule… Beaufort abbozzerà così il ritratto del suo buon ‘staretz’: “La virtù di fra Lorenzo non lo rendeva affatto selvatico. Aveva un’accoglienza aperta, che suscitava fiducia e faceva intuire immediatamente che si poteva rivelargli tutto e che in lui si aveva trovato un buon amico. Da parte sua, quando conosceva coloro con i quali aveva a che fare, parlava con libertà e mostrava una grande bontà. Quel che diceva era semplice, ma sempre adatto e pieno di senso. Attraverso un’esteriorità rozza, si scopriva una singolare saggezza, una libertà superiore alle capacità ordinarie di un povero frate converso, una penetrazione che superava tutto ciò che ci si sarebbe aspettato da lui”. Ancora: egli aveva “il cuore più buono del mondo. La sua gradevole fisionomia, il suo aspetto umano e affabile, il suo tratto semplice e modesto gli guadagnavano rapidamente la stima e la benevolenza di tutti coloro che lo vedevano. Più lo si frequentava, più si scopriva in lui un fondo di rettitudine e di pietà che non s’incontra quasi in nessun altro. […] Lui, che non era di quelle persone che non si piegano mai e che considerano la santità incompatibile con dei modi di fare genuini, lui che non ostentava nulla, si umanizzava con tutti e agiva con bontà verso i suoi fratelli e amici, senza pretendere di distinguersene”.
Il grande Fénelon, altro ammiratore del nostro cuoco mistico, lo ha conosciuto personalmente e testimonia: “Le parole proprie dei santi sono ben diverse dai discorsi di coloro che hanno voluto dipingerli. Santa Caterina da Genova è un prodigio d’amore. Fra Lorenzo è rozzo per natura e delicato per grazia. Io l’ho visto ed ho avuto con lui un’eccellente conversazione sulla morte, mentre era molto malato e… molto allegro”. E rivolgendosi a Bossuet nel corso delle loro sottili dispute sulla vera mistica, scriverà: “Si può apprendere tutti i giorni studiando le vie di Dio negli ignoranti esperimentati. Non si sarebbe potuto imparare praticamente, conversando per esempio col buon fra Lorenzo?”.
Alcune idee-guida del suo insegnamento
Senza dilungarci sulla sua vita teologale, intessuta di fede desta, di fiducia incrollabile, di carità incondizionata, ascoltiamo fra Lorenzo che ci comunica le sue forti e mature convinzioni, così come le troviamo nelle sue “Lettere” e “Massime spirituali”.
- Una lunga esperienza personale ha convinto il nostro fratello che la pratica della Presenza di Dio è un mezzo eccellente per intensificare l’unione con Dio. Alla sua guida spirituale ha spiegato – lo abbiamo già letto sopra – in qual modo sia passato progressivamente da un’“orazione” più meditativa a un contatto affettuoso col Signore, presente “nel fondo del mio cuore”, continuando ad agire nella stessa maniera durante il “resto della giornata e perfino durante il mio lavoro”. Prosegue:
«Non percepisco alcuna fatica né dubbio sul mio stato, poiché non ho altra volontà che quella di Dio, che cerco di compiere in tutte le cose e alla quale sono così sottomesso che non vorrei sollevare da terra un filo di paglia contro il suo ordine, né per altro motivo che non sia il suo puro amore. Ho abbandonato tutte le mie devozioni e le preghiere non obbligatorie e mi dedico solo a mantenermi sempre alla Sua santa presenza, nella quale rimango con una semplice attenzione e uno sguardo generale e amoroso in Dio, che potrei chiamare presenza attuale di Dio, o meglio ancora un colloquio muto e segreto dell’anima con Dio, che non si interrompe quasi più e che mi provoca talvolta degli appagamenti e delle gioie interiori, e spesso anche esteriori, così grandi che fatico a moderarli».
- Lorenzo diventa quindi un autentico profeta e apostolo della via della Presenza di Dio. Scrive a una religiosa:
«Se fossi un predicatore, non predicherei nient’altro che la pratica della presenza di Dio ; e se fossi direttore, la consiglierei a tutti, tanto la ritengo utile e necessaria. Secondo me, tutta la vita spirituale consiste in questo e mi sembra che, praticandola come si deve, si diventa spirituali in poco tempo».
- Ma senza sforzo non si ottiene molto. Già al momento di entrare al Carmelo, Lorenzo era convinto che bisogna “dare tutto per il Tutto”. Per imparare a vivere “die ac nocte”, notte e giorno, nella Volontà e nella Presenza di Dio, come ci invita a fare la Regola del Carmelo, ci vuole quella “determinada determinación” di cui parlava santa Teresa di Gesù. Il carmelitano Lorenzo, figlio spirituale di Teresa di Gesù e di Giovanni della Croce, la pensa allo stesso modo. Nella lettera già citata, scrive:
«So che per questo bisogna che il cuore sia vuoto di tutte le altre cose, poiché Dio solo vuole possederlo; e poiché Egli non può possederlo esclusivamente senza svuotarlo di tutto ciò che non è Lui, così non può agirvi né fare ciò che vorrebbe, se noi non gli abbandoniamo interamente il cuore affinché ne possa fare quel che desidera».
Ma, prosegue Lorenzo, l’unione con Dio ricercata per “amore puro” diventerà sorgente di grande felicità:
«Non c’è al mondo modo di vita più dolce o delizioso che la conversazione continua con Dio; soltanto coloro che la praticano e la gustano possono comprenderlo».
- Questa pratica della Presenza bisogna dunque apprenderla, magari riapprenderla tutta la vita. Lorenzo confessa che anche lui, all’inizio, ha dovuto faticare:
«In quest’esercizio feci non poca fatica, ma perseveravo nonostante tutte le difficoltà che vi incontravo, senza spaventarmi né inquietarmi quando mi distraevo involontariamente. Non mi occupavo meno del mio Dio durante la giornata che durante le mie preghiere, […] perfino quand’ero immerso nel mio lavoro. […] Ecco la mia pratica ordinaria da quando sono entrato in religione. Benché non l’abbia praticata che con molta codardia e imperfettamente, ne ho ricavato tuttavia grandi vantaggi. […] Infine, a forza di ripetere tali atti, essi ci diventano più familiari e la presenza di Dio diviene come naturale».
- L’apprendimento di questa pratica della Presenza sarà dunque progressivo, ma costante. Ecco ciò che Lorenzo, da buon pedagogo, consiglia a una signora con tatto e lungimiranza:
«Questo Dio di bontà non ci chiede molto: un piccolo ricordo ogni tanto, una piccola adorazione, talvolta domandargli la sua grazia, qualche volta offrirgli le vostre fatiche, prendervi la vostra consolazione con lui; durante i pasti e le vostre conversazioni, elevate qualche volta verso di lui il vostro cuore: il minimo ricordo gli sarà sempre graditissimo. Per far questo non bisogna gridare forte: è più vicino a noi di quanto pensiamo. Non è necessario essere sempre in chiesa per essere con Dio; possiamo fare del nostro cuore un oratorio nel quale possiamo ritirarci ogni tanto per intrattenerci con lui, umilmente e amorosamente. Chiunque è capace di questi colloqui familiari con Dio, gli uni più, gli altri meno. Egli sa che cosa possiamo fare».
- A poco a poco si formeranno in noi la volontà e l’abitudine di volgerci frequentemente verso il Dio presente. Lorenzo ci raccomanda:
«una grande fedeltà alla pratica di questa presenza e allo sguardo interiore di Dio in sé, che bisogna fare sempre con dolcezza, umilmente e amorosamente. […] Bisogna curare particolarmente che questo sguardo interiore preceda anche d’un solo attimo le vostre azioni esteriori, che ogni tanto le accompagni e che sempre le concluda. Poiché ci vuol tempo e molto lavoro per acquisire tale pratica, non bisogna perciò scoraggiarsi quando vi si manca, poiché l’abitudine non si forma che con fatica; ma quando essa sarà formata, si farà tutto con piacere».
- Fra Lorenzo vuole condurci alla profonda unione con Dio; all’anima fedele, egli apre degli orizzonti bellissimi e gioiosi:
«Questa presenza di Dio, un po’ faticosa all’inizio, se praticata con fedeltà produce segretamente nell’anima degli effetti meravigliosi, vi attira in abbondanza le grazie del Signore e la conduce insensibilmente a questo semplice sguardo, a quest’amorosa percezione di Dio presente ovunque, che è la più santa, la più solida, la più facile e la più efficace maniera di pregare. Tramite la presenza di Dio e questo sguardo interiore, l’anima si familiarizza con Dio a tal punto che essa trascorre pressoché tutta la vita in atti continui di amore, d’adorazione, di contrizione, di fiducia, di rendimento di grazie, di offerta, di domanda e di tutte le più eccellenti virtù. E talvolta essa può diventare un solo atto che non finisce più, perché l’anima è sempre nell’esercizio ininterrotto di questa divina presenza».
Tre mesi prima di morire, il nostro fratello scrive:
«Ciò che mi consola in questa vita è che vedo Dio attraverso la fede. E lo vedo in un modo che potrebbe farmi dire talvolta: ‘Non credo più ma piuttosto vedo, esperimento ciò che la fede ci insegna’. E con questa certezza e questa pratica della fede, vivrò e morirò con lui. [E ancora, parlando della “fiducia”:] Non ne avremo mai abbastanza verso un amico così buono e fedele che non ci abbandonerà mai, né in questo mondo né nell’altro».
- Dopo aver evocato un orizzonte così luminoso, Lorenzo rivolge a tutti quest’ultimo incoraggiamento, col quale terminiamo la nostra piccola antologia:
«So che si trovano poche persone che arrivano a questo livello: è una grazia di cui Dio favorisce soltanto alcune anime elette, perché in fin dei conti questo semplice sguardo è un dono della sua mano munifica. Tuttavia, per consolare coloro che intendono abbracciare questa santa pratica, dirò che egli la dona ordinariamente alle anime che vi si dispongono. E se non la dona, si può almeno – con l’aiuto delle sue grazie ordinarie – acquisire tramite la pratica della presenza di Dio un modo e uno stato di preghiera che si avvicinano molto a questo semplice sguardo».
Una scoperta provvidenziale
Fino ad oggi non disponevamo che di un solo testo stampato degli scritti di Lorenzo, edito dal sacerdote de Beufort nel 1691 e dal quale dipendevano tutti i lettori e gli scrittori. Ora, in modo assolutamente provvidenziale è stato scoperto un manoscritto del 1745 contenente la trascrizione delle opere di alcuni autori religiosi del diciassettesimo secolo, alla fine delle quali si trovano… anche le Lettere e le Massime spirituali di fra Lorenzo della Resurrezione.
Su questa base verrà condotta una nuova edizione critica dei testi di fra Lorenzo. Il nostro fratello ne uscirà ancor più vero, libero, “teresiano”, dato che sono stati messi in evidenza alcuni tratti stilistici agiografici del de Beaufort, propri della sua epoca. Ciò non diminuisce affatto la nostra immensa gratitudine nei confronti di Joseph de Beaufort: senza di lui, i posteri non avrebbero conosciuto questo semplice fratello laico. Egli ha subito intuito la ricchezza spirituale del cuoco mistico da lui frequentato per un quarto di secolo, così come ha compreso l’importanza della sua dottrina e l’irraggiamento apostolico che i suoi scritti e il suo esempio avrebbero potuto avere. Lorenzo è un profeta del Sole di Dio che illumina la nostra vita, a condizione che noi stessi non preferiamo restare nell’ombra.
La missione di fra Lorenzo continua
Fra Lorenzo occupa un posto privilegiato nel cuore di molti cercatori di Dio nel mondo intero, anche presso i nostri fratelli protestanti, anglicani e ortodossi. Molti cristiani lo amano, lo ascoltano e lo venerano come una guida luminosa e un vero santo. Con la sua vita esposta al Sole di Dio e la sua testimonianza radiosa, fra Lorenzo della Resurrezione, vero figlio del Carmelo, prosegue oggi la sua benefica missione. Egli ci conduce a Dio, presente in tutta la vita, con la semplicità e l’amore. Non esistiamo a frequentarlo…
Festa dell’Esaltazione della Croce
Roma, 14 settembre 2014
P. Saverio Cannistrà, O.C.D.
Preposito Generale