dal Bollettino dell'Ordine
Lo scorso 7 maggio il Capitolo Generale l'ha rieletto Preposito generale. Appena eletto qual'è stata la sua prima sensazione?
San Paolo dice che i desideri della carne sono in lotta con i desideri dello Spirito. Ho vissuto un po' questa lotta dentro di me. Non nascondo che c'era in me il desiderio di fuggire dalla fatica, la paura di non avere forze sufficienti per altri sei anni di servizio, la tentazione di riappropriarmi della mia vita. Ma su tutto questo ha prevalso una logica elementare: se sei anni fa ho detto di sì perché nella scelta dei fratelli ho visto l'espressione della volontà di Dio, non potevo adesso comportarmi diversamente. E così ho finito con l'accettare con molta pace questa nuova chiamata.
Dopo sei anni nel governo dell'Ordine immagino che affronterà questo compito in modo differente: l'esperienza del sessennio scorso in cosa la potrà aiutare?
Effettivamente, oggi vedo diversamente il lavoro che mi attende. Si tratta di proseguire in un cammino già intrapreso, conoscendo meglio le difficoltà che si presenteranno, ma anche le motivazioni che ci animano a percorrerlo.
È evidente che non si può dare un giudizio globale dell'Ordine senza tener conto di ogni circoscrizione, ma se mi è permesso, vorrei chiederle che ci parli in termini generali dell'Ordine. Come sta l'Ordine?
L'Ordine è vivo ed ha in sé una ricchezza e una fecondità, di cui forse non siamo del tutto consapevoli. Mi verrebbe da rispondere alla domanda con le parole di Gesù nel vangelo di Giovanni: l'Ordine dà frutto, ma proprio per questo ha bisogno di essere potato e coltivato perché dia più frutto.
Nella vecchia Europa la crisi vocazionale è una sfida. Il Carmelo Scalzo come la affronta?
Ci sono naturalmente reazioni differenti a questa crisi. A me sembra che la reazione più sana sia quella di lavorare su ciò che dipende da noi, come diceva santa Teresa: fare quel poco che dipende da noi, che in realtà non è affatto poco, poiché si tratta di vivere fino in fondo, nelle condizioni del mondo di oggi, la nostra vocazione di comunità oranti e fraterne. Nella misura in cui saremo capaci di fare questo lavoro su di noi, sono sicuro che saremo anche capaci affrontare e superare la crisi che attraversa la vita religiosa nel mondo occidentale.
Senza dubbio, i santi Carmelitani aiutano a rispondere.
Sì, la nostra "attualità", ossia la nostra rilevanza per il mondo di oggi dipende, in realtà, proprio dalla specificità del nostro carisma. La rilettura degli scritti di santa Teresa ci ha fatto scoprire, credo, che molti dei nostri problemi trovano risposte nell'esperienza di una donna che ha vissuto cinque secoli fa. Sono risposte non scontate, originali, che ci obbligano a scavare dentro di noi e dentro il nostro modo di vivere come singoli e come comunità.
Al contrario, l'Ordine sta crescendo in altre parti del mondo?
Sì, l'Ordine registra una crescita vertiginosa specialmente in Africa e in alcune zone dell'Asia. In altre regioni si nota, comunque, una buona tenuta e una certa stabilità.
Senza dubbio una sfida è entrare in dialogo con i giovani. Come farlo in questa società dove essi ricevono numerosi messaggi?
Penso che la prima cosa da fare è ascoltare con attenzione i giovani, ascoltarli in profondità, al di là delle prime impressioni superficiali che il loro modo di parlare o di comunicare possono suscitare in noi più anziani. Vedo con chiarezza che quando un religioso o una religiosa ha questa capacità di "empatia", i giovani la percepiscono e rispondono con molto interesse e apertura.
Cambiamo argomento. La relazione delle Carmelitane Scalze ha impegnato varie giornate del Capitolo Generale. Lei ha dedicato loro diversi documenti in questo sessennio. Quali passi si compiranno nel prossimo sessennio?
La presenza delle nostre sorelle monache al Capitolo durante due giorni è stata non solo un atto di cortesia, ma un autentico incontro che ha dato luogo a un vero dialogo, in cui sono emerse convergenze e divergenze. Alla fine, le sorelle ci hanno invitato a proseguire in questo confronto, soprattutto al fine di lavorare insieme per la formazione permanente, che è - a mio parere - una delle sfide più importanti per la vita contemplativa.
Al Capitolo si è dato spazio all'ascolto delle relazioni dei laici. Un'altra sfida nei prossimi sei anni...
Abbiamo dedicato una giornata del Capitolo all'OCDS, con la presenza di alcuni membri provenienti da diverse nazioni. La realtà del laicato carmelitano è molto varia. Essere membri dell'Ordine secolare ha implicazioni piuttosto diverse a seconda delle regioni e delle culture. Credo, tuttavia, che per tutti si ponga la sfida di una seria assunzione di responsabilità in quanto laici membri della famiglia del Carmelo. Bisogna che i laici trovino il loro modo originale e specifico di vivere le varie dimensioni del carisma carmelitano, che ovviamente è diverso dal modo proprio di una comunità di frati o di monache.
Parlavamo prima di come arrivare ai giovani laici. Le chiedo dei formandi, concretamente del periodo della formazione.
Dobiamo insistere molto sulla formazione umana e cristiana, se non vogliamo che la formazione carmelitana sia una sorta di rivestimento esterno. Bisogna, in un certo senso, trovare il modo carmelitano-teresiano di formare la persona umanamente e cristianamente. Io sono convinto che nel patrimonio carismatico del Carmelo teresiano ci sono elementi sufficienti per impostare questo processo di maturazione a livello di conoscenza personale, di relazione con il Signore Gesù e di assunzione degli impegni propri della vita religiosa.
Non mi dimentico della formazione permanente. A questo proposito, c'è anche un percorso da compiere.
Dobbiamo distinguere tra formazione permanente e aggiornamento. Spesso si fa confusione tra queste due cose. La formazione permanente è ciò che io preferisco chiamare "cura di se stessi", prendersi cura della propria vocazione, della propria anima, del proprio essere. Il suo contrario è l'accidia, che etimologicamente significa proprio questo: mancanza di cura. In questo senso, la formazione permanente è un impegno personale che si realizza giorno per giorno, nelle occasioni offerteci dalla nostre esperienza di vita ordinaria (preghiera, comunità, lavoro). Altra cosa è l'aggiornamento, che implica un impegno di studio, di lettura, di informazione. Nel sessennio precedente abbiamo cominciato delle iniziative di questo tipo, organizzando corsi di formazione biblico-spirituale a Stella Maris (Haifa) e corsi per la formazione di formatori, animatori di comunità e direttori spirituali in India. Il Capitolo ci ha chiesto di continuare con queste iniziative anche in questo sessennio.
Soffermiamoci ora al Capitolo Generale, Nel documento conclusivo "E' tempo di camminare" lei invita ad una rilettura delle Costituzioni. In sintesi, qual'è l'obiettivo principale di questa rilettura.
Abbiamo deciso di intraprendere la rilettura delle nostre Costituzioni per dare continuità al cammino fatto nello scorso sessennio con la lettura delle opere di santa Teresa. Non vogliamo voltare pagina. Vogliamo, piuttosto, continuare a interrrogarci su "come dobbiamo essere", in quanto figli di santa Teresa. Per questo, la rilettura delle Costituzioni ha il fine di mettere a confronto la nostra esperienza di vita attuale con il modello propostoci dalle Costituzioni. Da un lato, ciò significa esaminare la nostra vita alla luce delle Costituzioni; dall'altro, si tratta di rivedere le Costituzioni alla luce dell'esperienza vissuta dai religiosi e dalle comunità negli ultimi trenta-quarant'anni. Sono stati anni di grandi cambiamenti. Ci sembra che sia giunto il momento di tentare di rispondere a molti interrogativi che tali cambiamenti ci pongono.
Durante il Capitolo si è anche parlato molto delle missioni carmelitane. Lo spirito missionario di santa Teresa continua ad essere vivo. Nei prossimi sei anni come la Casa Generalizia aiuterà le missioni.
Dobbiamo lavorare a vari livelli. Innanzitutto, chiarire meglio che cosa intendiamo con missione, al fine di sentirci tutti coinvolti in questo impegno missionario e di evangelizzazione, che fa parte del nostro essere carmelitani teresiani. Papa Francesco sta esortando con forza tutta la Chiesa a uscire da se stessa, evitando il rischio della chiusura e della autoreferenzialità. C'è poi un problema molto concreto, che riguarda il sostegno economico alle nuove missioni. Sono molto contento che il Capitolo abbia fatto una scelta di "comunione di beni", optando per la costituzione di un fondo di aiuto alle missioni, che sarà gestito dalla casa generalizia. Spero che così potremo rispondere, sia pure in piccola parte, alle tante richieste di aiuto che riceviamo.
Un altro aspetto importante è la comunicazione. Nel suo intervento sullo stato dell'Ordine ha utilizzato moltissime volte la parola comunicare. Cosa ci manca in quest'ambito e come potremmo camminare insieme per migliorarla.
La comunicazione è una dimensione essenziale della vita umana, e ancor più della vita comunitaria. A volte, ci facciamo una idea un po' spiritualista della comunità. Parliamo di comunione e con questo ci esimiamo dall'impegno di incarnare il dono della comunione in una esperienza concreta di comunicazione. La comunicazione è innnanzitutto quella che si vive con i fratelli che ci circondano. Oggi rischiamo di comunicare molto a distanza, virtualmente, e poco con chi abbiamo accanto. Comunicare implica molte cose: capacità di ascoltare, capacità di esprimersi, fiducia nell'altro, investimento nella relazione. Sono tutti valori che dobbiamo mettere al centro, se veramente vogliamo essere fratelli che si conoscono e sono amici, come voleva santa Teresa.
Concludiamo quest'intervista chiedendole un mesaggio per tutta la famiglia del Carmelo Teresiano.
Non trovo miglior messaggio di quello che abbiamo scelto come titolo del documento capitolare: è tempo di metterci in cammino. Non possiamo restare fermi, non possiamo lasciarsi bloccare né dalle paure, né dalle false sicurezze. Dobbiamo intraprendere un cammino attraverso la Chiesa e il mondo di oggi, ponendo la nostra fiducia e la nostra speranza non in noi stessi, ma nel Signore che ha promesso di camminare insieme a noi. È tempo di camminare, ma sapendo che "juntos andemos, Señor".