di P. Stefano Conotter ocd
Il primo dicembre di quest’anno, nella piccola cappella della Marlagne, ho partecipato ad uno spettacolo sulla storia del Santo Deserto fondato dal Venerabile padre Tommaso di Gesù nel 1619 in Belgio. Protagonista dello spettacolo era una “fata”, come una ninfa del bosco della Marlagne, che appariva agli spettatori e raccontava i vari avvenimenti di cui era stata testimone in questi quattro secoli.
Al di là dell’artificio teatrale per offrire un filo conduttore narrativo fra avvenimenti molto eterogenei, la foresta della Marlagne ha veramente un fascino che la fa sembrare un po’ fatata. Questo bosco di circa 42 ettari si trova nei pressi di Wepion, villaggio vicino alla città di Namur e famoso per le fragole. Quest’area forestale nel cuore della Wallonia è percorsa da ruscelli, include anche degli stagni e alcune sorgenti d’acqua. Si capisce che Tommaso di Gesù visitando questo luogo ne sia rimasto “catturato” e l’abbia con insistenza agli arciduchi Alberto e Isabella, che da Bruxelles governano i Paesi Bassi spagnoli. In pochi anni Tommaso di Gesù aveva fondato una decina di conventi di Carmelitani Scalzi, ad un ritmo impressionante, a volte anche due in un anno. Questo grande organizzatore, oltre che uomo di profonda spiritualità, volle allora un luogo dove i religiosi potessero ritirarsi per un periodo di qualche mese o alcuni anni, un deserto sul modello di quello che aveva fondato in Spagna a Bolarque.
Non era facile ottenere questa grande proprietà così vicina alla città, ma la stima degli arciduchi per Tommaso era tale che diedero la concessione e vennero essi stessi a porre la prima pietra 29 luglio del 1619 alla presenza di tutta la Corte (furono allargate le strade per far passare le carrozze dei sovrani). La costruzione durò due anni e comprendeva una muraglia che circondava la tenuta alta 3 metri e lunga quasi 4 chilometri, il convento composto da 24 celle con rispettivo giardino e laboratorio, i luoghi comuni e la chiesa al centro delle celle. Per l’altare maggiore fu il pittore di corte Pier Paul Rubens a dipingere la pala di San Giuseppe, patrono del monastero. A lato del complesso conventuale a forma di quadrato stava specularmente un giardino che era a sua volta circondato da frutteti. L’acqua così abbondante era ovviamente un elemento decisivo, sia per l’allevamento del pesce (alimento fondamentale degli eremiti) che per il mulino che permetteva di fare la farina per il pane. Non poteva mancare - siamo in Belgio! – un birrificio (la birra infatti era un altro alimento fondamentale della vita monastica); c’erano poi 10 romitori sparsi per tutta la proprietà dedicati a vari santi e profeti. Oggi rimangono solo le rovine dell’eremo di San Bernardo, davanti al quale scorre un bel ruscello e nelle cui vicinanze esiste ancora una sorgente, mentre il giardino davanti al piccolo edificio si è trasformato ora in un ameno boschetto. Visitando il luogo ho sentito il desiderio di fermarmi e restare in silenzio, incantato dalla presenza degli antichi eremiti. Gli eremi erano composti da due locali, uno dei quali era la cappella per la preghiera. Nel convento risiedevano 4 religiosi fissi, mentre gli altri vi dimoravano per un periodo limitato cha andava da un paio di mesi a due o tre anni, secondo il permesso che ricevevano dai superiori. Per permettere una totale solitudine degli eremiti, fu costruito un convento nella vicina Namur, che fungeva da infermeria e da procura.
Vicende successive
Nel XVII secolo, nella guerra che oppone la Spagna alla Francia, la Marlagne conosce il passaggio delle truppe e il saccheggio del convento nel 1651. Nel 1692 Luigi XIV vi soggiorna durante l’assedio di Namur. Nel 1794, in seguito alla Rivoluzione francese, i beni della chiesa sono considerati come proprietà della stato. Il convento è cadente e i carmelitani lasciano la Marlagne. La tenuta fu affittata a un certo François Mathon che la usò come fattoria per 5 anni. Dopo la sua partenza, gli edifici divennero una riserva di materiale da costruzione per i paesani. Nel 1801, un certo Blondeau si aggiudica la demolizione per recuperare tutto il materiale. Nel 1814 il Santo Deserto divenne un vivaio. Nel 1816, il vescovo di Namur Monsignor Pisani de la Gaude, discendente da una famiglia di origini veneziane, utilizzo la tenuta come residenza di campagna per lui e i suoi seminaristi. Monsignor Pisani fece dei lavori di restauro e costruì una cappella dedicata a Maria Maddalena consacrata nel 1819. Assieme ai 400 anni della fondazione del Santo Deserto si è celebrato quest’anno anche i 200 anni della consacrazione della cappella, dove ogni domenica è celebra ancora la Santa Messa. Nel 1833 la tenuta è rivenduta nuovamente e dal 1837 al 1850 conosce un tentativo di industrializzazione con la fabbrica di zucchero della Bassa Marlagne. In seguito alcuni terreni furono venduti e si crearono diverse proprietà. Sulla collina più alta della Marlagne il ricchissimo industriale di Charleroi Adrien Drion costruì un imponente castello che sarà inaugurato nel 1865, tre anni dopo la sua morte.
Negli anni ’20, gli eredi della famiglia Drion lasceranno definitivamente il castello, che sarà poi ripreso dalle Benedettine di Monte-Vergine fino al 1938. Dopo la seconda guerra mondiale, in cui il castello è successivamente occupato dalle truppe belghe e da quelle tedesche, sarà definitivamente raso al suolo nel 1970. 14 ettari dell’antico eremo sono allora acquistati dal Ministero dell’educazione nazionale e nel 1975 è inaugurato un centro giovanile e di formazione tutt’ora attivo.
Dobbiamo ringraziare il comitato della Marlagne che ha organizzato questo centenario e ha tenuto viva la memoria del Deserto Carmelitano come di una realtà che ha segnato la storia e la fisionomia di Namur e delle vicinanze.
E per noi carmelitani che cosa rappresenta questo luogo? Credo che sia la memoria di quella tensione polare che caratterizza il nostro carisma e di cui Tommaso di Gesù è il testimone forse più rappresentativo nella storia dell’Ordine: fondatore degli eremi e fondatore dei collegi missionari. La Marlagne testimonia che non furono due fasi successive della sua vita, ma che continuò anche nella sua maturità, a concepire il Carmelo teresiano in queste due dimensioni, quella eremitica contemplativa e quella apostolica missionaria.