di P. Stefano Conotter ocd
Siamo partiti alla volta della Colombia - Stefania, Francesco, Annachiara ed io - come una piccola comunità itinerante alla scoperta delle Città di Dio, l’esperienza iniziata da padre Arcesio Escobar ocd. Ci siamo messi a disposizione delle diverse realtà incontrate condividendo momenti di vita quotidiana con le persone che vivono nelle Città di Dio che abbiamo visitato: La Gloria di Bogotà, la Fundacion Nino Jesus di Norcasia, El Arco Iris di Ospina Perez e la Città di Dio di Villa de Leyva, la prima nata, ma che noi abbiamo visitato per ultima come culmine del nostro cammino. Villa de Leyva è un po’ il paradigma e il centro dell’esperienza delle Città di Dio.
Mi piacerebbe raccontare tutte le tappe del nostro itinerario, gli avventurosi spostamenti, gli incontri vissuti, i tanti episodi e la complicità che hanno accompagnato il nostro itinerario comunitario, come anche la gioia di condividere dei tratti di cammino con Alberto, Chiara e Marta. Però lascio tutto questo al diario di bordo che abbiamo scritto man mano.
Qui vorrei parlare del colloquio avuto con P. Arcesio, iniziato nel viaggio che dall’areoporto di Bogotà ci ha portato a Villa de Leyva, nella notte del 21 agosto, e proseguito il giorno dopo nella sua cella prima del mio ritorno a Bruxelles.
All’inizio P. Arcesio mi chiede la mia impressione sulle Città di Dio che abbiamo visitato. Gli racconto un po’ quello che abbiamo visto in questi giorni: realtà semplici, a volte fragili e piccole, ma viste nella prospettiva del Vangelo. Mi viene alla mente l’immagine orientale dell’icona, come una finestra aperta sul Mistero. Ai miei giovani compagni di viaggio avevo detto a un certo momento: “se P. Arcesio vede due persone che fanno tre passi assieme, subito dice: «Ecco un Popolo in cammino!»”.
Alle tre di notte su una strada piuttosto accidentata, con alle spalle circa 15 ore di viaggio, non è facile parlare ed ascoltare con lucidità… eppure P. Arcesio ha la freschezza di parlarmi della prima comunità cristiana, della presenza del Risorto che opera fra di noi e costruisce il Regno dei Cieli con le nostre povere persone. E’ la gioia del Vangelo che ora si vive nelle Città di Dio.
Il giorno dopo ci siamo un po’ più riposati ed è il mio turno di porre qualche domanda a P. Arcesio: “Qual è, a tuo parere, il messaggio che le Città di Dio possono offrire al Carmelo?”
P. Arcesio : Prima di tutto direi che il Carisma carmelitano ci insegna che la preghiera è la forza della vita e che quindi la contemplazione è il fondamento dell’azione. Se la vita di preghiera è vera, allora fonda un’amicizia nel Signore, che è la comunità. Questa comunità è aperta al servizio dei poveri, perché nasce dall’amore di Dio che va verso i poveri. Dalla contemplazione nascono “opere e opere” come dice Santa Teresa alla fine del Castello Interiore.
Il primo messaggio delle Città di Dio è quindi dire che il Carmelo è attuale, direi che è necessario per il mondo di oggi. Il Carmelo infatti unisce mistica e profezia: il servizio del Carmelo è preghiera e accoglienza del povero.
Un secondo aspetto è che la Città di Dio è una maniera concreta di evangelizzare. Oggi si cercano nuovi modi di evangelizzazione. Qui si vivono tutti gli elementi concreti del carisma. È una vita che evangelizza: non è che io prego e poi vado a fare la catechesi, ma è tutta la vita coinvolta che diventa evangelizzazione. Le Città di Dio sono un’esperienza da vivere assieme, in comunità, con tutte le nostre differenze.
Come si fa, di solito? Prima c’è lo studio, la formazione, la preghiera etc. poi si va verso i poveri, per evangelizzare. Qui non è così, noi abitiamo con i poveri. Preghiamo con loro. Ci formiamo con loro.
Per il Carmelo è una maniera concreta di esistere, non è solo andare ad aiutare i poveri e poi tornare in convento, ma si tratta di vivere con i poveri.
Questo ci ha portato alla scoperta di una ricchezza... La Conferenza dell’episcopato latinoamericano di Puebla definisce chi è il povero a tre livelli. Povero anzitutto è colui che non ha con che cosa vivere (è la povertà materiale); poi è colui che non ha con chi vivere (è la povertà della solitudine); infine il povero è colui che non ha il perché vivere (è la mancanza del senso della vita). Una persona può essere molto ricca, ma povera di relazioni oppure aver perso il senso della vita. Così dare la possibilità a una persona di donare è offrire un senso alla sua vita.
La Città di Dio è un ponte perché tutti possano trovare un senso. Il povero aiuta il ricco dandogli la possibilità di donare. Per un altro verso, tante cose che facciamo fare a chi è accolto qui non sono tanto per una produttività, ma per dare un senso, perché una persona che viveva ai margini possa sentirsi utile. Questo è molto importante e fa scoprire una grande ricchezza.
Ci sono diversi livelli del donare. Una cosa è fare delle cose per i poveri; un’altra cosa è vivere con i poveri; ma ancora di più è prendere la maniera concreta di vivere dei poveri. Le categorie, la saggezza propria del povero. Vivere allo stesso livello, non semplicemente come il ricco che dà qualcosa al povero.
Il fondamento di questi diversi livelli è l’Incarnazione! Il Figlio di Dio non solo ci dona la salvezza, la grazia, ma viene ad abitare con noi e, ancora di più, viene a farsi uno di noi, assume la nostra condizione, ci chiede di condividere la nostra umanità.
Anche questo è importante: Gesù non solo ci dona, ma chiede che anche noi gli doniamo, aspetta la nostra umanità, le nostre mani per servire, la nostra lingua per parlare…Questa è una realtà del Carmelo e della Chiesa di oggi: la nuova evangelizzazione che non si fa solo a parole, ma con la vita.
C’è un altro livello: oggi manchiamo di speranza, il mondo soffre un’assenza di speranza. Le Città di Dio sono un segno che l’amore è possibile, è il Regno di Dio che oggi si sviluppa. Il Regno di Dio non è solo per domani, ma comincia oggi, è presente in un piccolo pezzo di Chiesa che vive l’amore, l’accoglienza.
In questo senso la Città di Dio è un’esperienza pasquale. “Annunciamo la tua morte Signore, celebriamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Facciamo l’esperienza della morte nei malati, nei nostri limiti e nei nostri peccati; celebriamo la risurrezione nella vita della comunità, dove facciamo l’esperienza della presenza del Risorto che ci salva, che ci fa vivere del suo amore, che ci fa fare l’esperienza del suo perdono. E così vediamo che il mondo a venire, il cielo e terra nuovi sono già cominciati.
C’è ancora un altro livello. Chi forma le Città di Dio è una comunità povera (nel senso della scarsità delle risorse); è una comunità formata da persone povere (che hanno delle difficoltà, che nella vita hanno sbagliato, per esempio nelle scelte famigliari, persone fragili e malate; anche povere nel senso vocazionale, nel senso che non potrebbero realizzare la loro vocazione in un Ordine); infine è una comunità povera al servizio dei poveri, di poveri che aiutano i poveri.
Un’altra dimensione è anche l’ecumenicità delle Città di Dio. Ci sono persone di altre confessioni cristiane e di altre religioni che vivono nelle Città di Dio nel totale rispetto reciproco.
La Città di Dio è poi una comunità di Comunità. Qui a Villa de Leyva ci sono cinque Comunità religiose e una comunità laicale. Il Carmelo può offrire a delle Comunità religiose con un diverso carisma la possibilità di lavorare assieme mettendo a fondamento la preghiera. La Città di Dio propone ad una comunità religiosa di tornare alle radici del suo fondatore. Basta chiedersi cosa farebbe il fondatore davanti a questa realtà? Di fronte a questo bisogno come risponderebbe? La condizione è che una comunità possa mettere al centro la preghiera, che abbia il tempo di coltivare la vita fraterna e il desiderio di mettersi al servizio dei bisogni che incontra.
Una cosa importante per noi è la capacità di sognare: una caratteristica delle Città di Dio è di sognare il sogno di Dio e mettersi a camminare, non restare fermi. Tu dicevi che P. Arcesio se vede due persone fare tre passi, dice: «Guarda un popolo in pellegrinaggio!» Sì, non importano i grandi numeri, ma conta il piccolo amato come ricchezza, accolto e contemplato nella sua preziosità.
Alle persone che accogliamo parliamo spesso di tre cose per crescere nella loro ricchezza: la libertà, la responsabilità e la coerenza di vita. Queste sono le condizioni del cammino che porta a scoprire il dono che ognuno è. Una parte importante delle Città di Dio è anche l’ascolto. Cerchiamo che ci sia sempre una stanza dell’ascolto nelle Città di Dio. Per tante persone è il bisogno più importante, il bisogno di trovare una comunità.
A questo punto chiedo a P. Arcesio se l’esperienza delle Città di Dio è solo per l’America Latina o se secondo lui vale anche per l’Europa. Lui mi guarda un po’ sorpreso: “Ma la povertà non è un’esclusiva latinoamericana, anche se ci sono delle povertà tipiche del continente, e soprattutto il Vangelo non è latinoamericano, ma è per tutti. La Città di Dio è vivere il Vangelo di Gesù che il Padre «ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4,18)”.
Alla fine pongo ancora una domanda: «E tu Arcesio come vedi l’Ordine Carmelitano?»
Padre Arcesio: Non lo so, non vorrei giudicare. Però sono preoccupato, io credo che siamo un po’ accomodati. Viviamo il carisma in maniera forse troppo teorica, lo studiamo per fare una conferenza sui nostri santi. Penso che abbiamo delle belle chiese, delle belle liturgie. Io sognerei un Carmelo più povero, più umano, più immerso nella realtà, un Carmelo che si lasci incomodare. Dobbiamo lasciarci disturbare. Noi diamo spesso quello che ci avanza, ma non condividiamo quello che ci manca (come Elia con la vedova di Sarepta). Perché non aprire i conventi ai laici, condividere la preghiera, la vita? Ho l’impressione che il Carmelo rischia di essere troppo elitario, manca l’incarnazione. Vorrei più un Carmelo della strada, del camminare, del pellegrinaggio.
Non vorrei che questo apparisse un giudizio, perché sono convinto che ci sono tante realtà belle nel Carmelo, tanti che vivono il desiderio di impegnarsi con la gente. Il mio è un punto di vista umile, da una piccola realtà come le Città di Dio che ci fa esperimentare la grande bellezza e l’attualità del nostro carisma.
La spiritualità carmelitana è una meraviglia, ma è rimasta nella gloria dei nostri santi. Come donare agli altri la possibilità di vivere la nostra spiritualità, non solo con una conferenza, bensì con la possibilità di condividere la vita con noi? E se apri la porta, poi arrivano anche le vocazioni e si fa l’esperienza della gioia, della pace. Trovo che molti frati non sono contenti e si lamentano tutto il giorno (della politica, di come vanno le cose etc.)
Se la nostra vita non attira più dobbiamo chiederci se manca qualcosa. Invece le persone portano dentro un bisogno profondo e noi siamo chiamati ad incontrare il grido che è nel cuore delle persone, anche quando non ne sono coscienti.
Parlando con Padre Arcesio si respira aria fresca, aria con i profumi di Galilea, aria di Pasqua. Agli Esercizi Spirituali di Lignano del Movimento Ecclesiale Carmelitano dell’anno scorso padre Arcesio aveva ripreso le parole del Risorto «Non temete, andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno» (Mt 28,10) e ci aveva chiesto: «Dov’è la tua Galilea?» Forse lo spirito delle Città di Dio è un vento nuovo che possiamo esportare e lasciare soffiare, se il Signore lo vuole, nel Carmelo dove l’obbedienza ci ha chiamato a vivere.
Infine voglio dire il nostro grazie a tutte le persone che abbiamo incontrato nel nostro cammino di piccola comunità itinerante alla scoperta delle Città di Dio.