5. La vita cristiana, celebrazione del Natale
di P. Romano Gambalunga ocd
La liturgia della IV domenica di Avvento (2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Salmo 88; Rm 16,25-27; Luca 1,26-38) ci prepara all’ormai prossimo Natale del Signore ponendo davanti ai nostri occhi una donna, la vergine Maria di Nazaret. Le letture della liturgia ci aiutano a cogliere il significato permanente dell’Avvento, affinché l’imminente celebrazione del Natale sia autentica celebrazione del Mistero di Dio nel mondo, allegra partecipazione alla gioia divina di stare con gli uomini, più profondo inserimento nel fiume della Vita trinitaria che «irrora cielo, inferno e ogni gente, anche se è notte» (Giovanni della Croce, La fonte). Elisabetta della Trinità ci aiuterà a gustare la bellezza della novità di vita che ci è offerta.
Avvento, tempo in cui Dio ci prepara (come) una dimora
Il Re Davide e il profeta Natan sanno che tutto debbono al Signore, il quale ha liberato il popolo dai suoi nemici. Davide, grato, pensa di costruire una dimora per l’Arca dell’Alleanza; vuole dare a Dio un luogo degno della sua presenza e Natan pensa che Dio sia d’accordo, ma si sbaglia. Nel suo discorso al profeta infatti, Dio rivela il suo pensiero, ricordando a Davide le sue azioni: egli lo ha scelto e da pastore gli ha dato dignità di Re, lo ha accompagnato sconfiggendo i nemici, ha messo il popolo nelle condizioni di vivere libero. La casa perciò la costruirà Lui: darà un terra in cui vivere e custodirà la vita del popolo, mandando una persona speciale che avrà una relazione filiale con Lui.
Al cuore dell’attesa c’è questa parola, con la quale Dio ci ricorda il suo impegno a prendersi cura di noi, sue creature, e ci rivela quello che farà. Il Salmo 88, posto come controcanto al brano di 2Samuele, ci fornisce la chiave di lettura: la casa in cui vivremo «è un amore edificato per sempre», una relazione vitale in cui il credente imparerà la paternità di Dio attraverso l’esperienza del compimento delle sue promesse: «Egli mi invocherà: “Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza”». Credere è sperimentare che Egli «è sempre vivo, sempre operante nella nostra anima; lasciamoci costruire da Lui e sia l’anima della nostra anima, la vita della nostra vita» (Elisabetta, Lettera 145).
La Vita si realizza credendo alla lieta Notizia
San Paolo con le sue parole dischiude il significato permanente dell’Avvento: il silenzio si è squarciato, il mistero è rivelato! La Chiesa vive del Vangelo di Gesù Cristo, che il Padre rivela e offre a ogni persona, affinché ponendosi in ascolto con piena fiducia si lasci avvicinare e decida di affidargli la propria vita.
Essere carmelitani significa vivere un’intimità con Gesù che pone vicino (se non “dentro”) al cuore di ogni uomo. Per questo non c’è beato o santo nel Carmelo che non abbia un’autentica passione missionaria, per la salvezza di ogni “anima”; si tratta del desiderio di partecipare la gioia dell’amore del Padre di cui si è riempiti, di condividere il suo desiderio di vedere riempita di pace e di buone relazioni la vita di ognuno.
L’Avvento è dimensione fondamentale dell’esistenza cristiana se è esperienza della parola che Dio ha detto a Natan e che trova compimento nell’unione di Gesù con noi. Così, il sogno di Cristo è quello dell’anima carmelitana: perdere felicemente se stessi per ingrandire l’amato, «essere per lui, in certo modo, un’umanità aggiunta, in cui egli possa rinnovare tutto il suo mistero», nella consapevolezza lieta che «se io cado a ogni istante che passa, egli è pronto a rialzarmi e a portarmi più avanti nella sua intimità, nell’abisso di quell’essenza divina che abbiamo già per grazia» (Lettera 214).
Custodendo la Parola diventiamo casa di Dio da lui costruita
Maria è la donna dell’Avvento, perché in lei, che concepisce il Verbo lasciando entrare nel suo cuore e custodendo le parole dell’Angelo, la volontà che Dio ha rivelato a Natan diventa realtà in maniera impensabile, provocando un cambiamento che toccherà ogni essere umano accendendovi l’allegria. Da allora la Trinità che è amore è diventata «il nostro chiostro, la nostra dimora, l’Infinito nel quale possiamo muoverci attraverso tutto» (Lettera 185). È questa, nel suo nucleo che tutti possono vivere – non richiede nessuna specifica condizione esteriore, né un particolare acume intellettuale o impegno morale – la contemplazione da cui i santi non potevano più uscire. Una nuova coscienza di sé, che dipende da quanto Dio ha fatto – ci ha reso la sua casa – e cresce nel dialogo con Lui.
Per questo in Maria vediamo che essere cristiano significa essere il “luogo” in cui Cristo abita, in cui la sua vita cresce e si manifesta; tutto è trasformato, perché l’anima che ne è consapevole può «scorgere in ogni cosa colui che ama e tutto la porta a lui» (Lettera 136). Guardando lei ci possiamo ritrovare: «Mi sembra che l’atteggiamento della Vergine durante i mesi trascorsi tra l’Annunciazione e il Natale sia il modello delle anime interiori, delle creature che Dio ha scelto per vivere al di dentro, in fondo all’abisso senza fondo» (Il cielo nella fede, par. 40). Non è un atteggiamento intimistico ma, al contrario, spinge a prodigarsi per chi ha bisogno di aiuto: «In tutto la Vergine restava l’adoratrice del dono di Dio. Ciò non le impediva di prodigarsi al di fuori, quando si trattava di esercitare la carità» (ivi).
Se abbiamo ricevuto la grazia di essere “luogo” in cui Dio abita, possiamo sperare con Elisabetta che al contatto con Signore «la nostra anima diventerà come una fiamma d’amore che si espande in tutte le membra del corpo di Cristo che è la Chiesa» (Lettera 250) ed esclamare: «O profondità, insondabile mistero, l’Essere infinito si seppellisce in me. Attraverso tutto posso, fin da questa terra, perdermi in lui, stringerlo con la fede» (Poesia 91).
Guardando Maria, non soltanto ci prepareremo a celebrare questo Natale 2014, ma la nostra vita potrà diventare sua celebrazione, a lode della sua gloria: «Questa Madre di grazia formerà la mia anima affinché la sua piccola figlia sia un’immagine viva, “raggiante”, del suo primogenito, il Figlio dell’Eterno, colui che fu la perfetta lode di gloria del Padre suo» (Ultimo ritiro, par. 2).