di P. Marco Paolinelli ocd
Cento anni fa, il 1° gennaio 1922, la dottoressa Edith Stein, filosofa allieva di Edmund Husserl e già sua assistente, veniva battezzata nella chiesa parrocchiale di Bergzabern col nome di Theresia Hedwig (per il nome religioso, con cui è venerata nell’Ordine e nella Chiesa, Teresa Benedetta della Croce, si dovranno attendere ancora dodici anni). «Ben preparata e ben disposta, – recita l’atto di Battesimo – si è convertita dall’ebraismo alla religione cattolica»[1]. A qualcuno è dispiaciuto quel “dall’ebraismo” (ex judaismo), perché in effetti, più che da una sentita professione della fede ebraica, Edith usciva da un lungo periodo di ateismo o assoluta indifferenza religiosa; o meglio, piuttosto, da un cammino che, partendo da quella posizione, l’aveva condotta alla fede cattolica.
Infatti, se pure a volte, nella tavola dei dati cronologici della sua vita, viene dato il 1° gennaio 1922 come la data della “conversione”, c’è da osservare che la sua conversione non è stata qualcosa come una folgorazione sulla via di Damasco ma, invece, un cammino lungo, durato almeno otto anni. Dopo che Edith, quattordicenne, ebbe perso la fede ebraica della sua infanzia[2], fino a ventidue anni aveva vissuto nella più completa indifferenza per le “questioni religiose”, mentre si interessava invece di questioni sociali e politiche, e la affascinavano discipline come la filosofia e la storia. Il primo punto di svolta le fu offerto dalle conferenze che il filosofo Max Scheler tenne alla Società filosofica di Gottinga nel semestre invernale 1913/14: le rivelarono l’importanza e l’imprescindibilità delle problematiche religiose, e le spalancarono davanti, inoltre, il mondo a lei fino allora sconosciuto del pensiero e della cultura cattolica[3].
Non sembra però che, nel suo cammino di conversione, l’elemento intellettuale abbia il primo posto, o un posto di assoluto rilievo. Certo, «sono fatta così – afferma – devo riflettere»[4], e nelle sue riflessioni si affida anche alla guida che di opere di teologi quali ad esempio Möhler e Scheeben[5]. Però, l’oggetto della riflessione è costituito innanzitutto dal “fenomeno” di persone che vivono nella fede e di fede (il suo maestro Husserl le aveva insegnato che non bisogna mettersi i paraocchi davanti ai dati certi di esperienza), di persone la cui vita e il cui comportamento sono ispirati ad una fede viva – di testimoni della fede. Scrive: «Persone, con le quali avevo rapporti quotidiani e alle quali guardavo con ammirazione, vivevano nel mondo della fede. Doveva, perciò, valere la pena almeno di riflettervi seriamente»[6]. Ella ricorda poi diversi episodi e persone che l’hanno colpita e spinta a riflettere, alcuni dei quali notissimi: la donna che nell’affanno delle faccende quotidiane entra in chiesa e si inginocchia davanti al Tabernacolo le rivela che si può andare al Signore come per un intimo colloquio personale, al di fuori dei tempi del “servizio divino”[7]; il modo in cui la vedova di Adolf Reinach vive il dolore della perdita del marito caduto al fronte la mette inopinatamente davanti alla misteriosa potenza della Croce, e segna la sua resa a Cristo[8].
Testimoni di fede vissuta possono essere anche i Santi che hanno arricchito la Chiesa e il mondo con la loro esperienza di fede, oltre che con la loro dottrina: S. Agostino ad esempio, o S. Francesco, o S. Teresa di Gesù[9]. Come è ben noto, è la lettura della Vita di S. Teresa di Gesù che costituisce l’ultimo passo del cammino di conversione di Edith, convincendola a chiedere il Battesimo nella Chiesa cattolica: «nell’estate del 1921 la Vita della nostra S. Madre Teresa mi era capitata tra le mani e aveva posto fine alla mia lunga ricerca della vera fede»[10].
Forse, ancora prima di quest’ultimo passo c’era stata una sorta di esperienza mistica, di cui potrebbe essere traccia, tra molti altri nelle sue opere, un passo di Scientia crucis: «il semplice contatto [con l’Essere divino] operantesi nell’intimo non ha necessariamente come presupposto l’inabitazione per grazia. Può anche venir concesso a chi è completamente incredulo come richiamo alla fede, e come preparazione alla ricezione della grazia santificante»[11]. Nel 1919, scrivendo a Ingarden, aveva detto di sentirsi come colui che, essendo stato in procinto di annegare, è colmo di «un’infinita gratitudine per il forte braccio che lo ha miracolosamente afferrato e portato sulla terra ferma»[12].
Quanto alla data scelta per il Battesimo, è stata avanzata l’ipotesi che possa essere legata, in Edith Stein, a quella sua riscoperta del valore dell’ebraismo che ebbe luogo dopo la sua conversione alla fede cristiana, che dell’ebraismo costituisce il compimento. Il 1° gennaio si celebrava infatti allora la festa della Circoncisione del Signore e, secondo i Padri, questo segno dell’alleanza è una figura del Battesimo. Similmente, nel giorno della sua Cresima, il 2 febbraio, si celebrava allora la festa della Purificazione della Vergine (oggi della Presentazione di Gesù al tempio), ed anche questa data potrebbe essere stata scelta in riferimento ai riti ebraici.
Edith sceglie il primo nome con cui è battezzata, Teresa, in segno di riconoscenza per la Santa che l’ha «guidata alla conversione»[13]; il secondo, Hedwig, è il nome della sua madrina, Hedwig Conrad-Martius, di fede protestante, con la quale aveva stretto in quel periodo una profonda amicizia e un sodalizio intellettuale e spirituale; a Bad Bergzabern, la località del Palatinato in cui venne battezzata, risiedevano i coniugi Conrad, presso i quali Edith aveva alloggiato nel mesi decisivi della conversione.
La stessa Edith, negli anni successivi, accompagnerà diverse persone al Battesimo, e sarà madrina di diversi battezzati. In particolare, le lettere che indirizza a Erna Herrmann, una sua allieva di Spira, offrono rapide riflessioni sulla grandezza del Battesimo, e contengono anche brevi ma significative allusioni al suo proprio Battesimo: «ho potuto fare di nuovo da madrina di Battesimo ad una bambina di 7 anni e ad un maschietto di 9. Però è stato un Battesimo così poco solenne, durato solo 5 minuti nella nostra sacrestia, che ne ho veramente sofferto. Ho ripensato invece con quale santa serietà e con quale ricchezza liturgica si era svolta la cerimonia quando sono stata battezzata io. Quindi il mio augurio è che così sia anche per lei, e molto presto!»[14]. E alla stessa scrive, mesi dopo: «Non mi ha fatto sapere la data del suo santo Battesimo. Mi farebbe piacere festeggiarlo, anche se da lontano. Naturalmente sono felice con tutto il cuore che questo giorno sia vicino. Le auguro di cuore che possa essere il giorno di una vera nuova nascita. La grazia del Battesimo, e il vigore sempre nuovo dato dai santi Sacramenti, le daranno la forza necessaria a sopportare tutte le difficoltà, le discussioni con i suoi familiari e l’anno conclusivo presso l’Istituto per la formazione delle insegnanti, con le sue piccole e meschine pene quotidiane»[15]. «Il tanto atteso giorno del Battesimo non è più così lontano. Gioirò con lei quando, finalmente, avrà raggiunto la meta. Certo è ben duro dover stare davanti alla porta così a lungo. Posso pregarla, in questo giorno di grazia, di ricordarsi di mia sorella, che già da anni brama di entrare nella Chiesa e viene sempre di nuovo ostacolata da circostanze sfavorevoli?»[16]. Approssimandosi la data del Battesimo, la giovane Erna manifesta agitazione e timori, anche in relazione ai particolari esteriori del rito; a proposito di questi Edith Stein la tranquillizza, e poi: «Mi dispiace che proprio in questi giorni lei sia sovraccarica di tanti altri pensieri. Si dovrebbe avere la possibilità di raccogliersi con tranquillità. Da questo punto di vista a me è andato tutto bene. È insito nella natura delle cose che, prima del passo decisivo, ci si rappresenti ancora una volta tutto quello a cui si rinuncia e quello che si rischia. Bisogna quindi che, privi di ogni umana sicurezza, ci si abbandoni totalmente nelle mani di Dio, e così più profonda e bella sarà la sicurezza raggiunta. L’augurio che le faccio per il giorno del suo Battesimo e per tutta la sua vita futura è che possa trovare la pienezza della pace divina»[17].
Quanto a lei stessa, in diverse occasioni dichiara che col Battesimo si era sentita nuova, “rinata”. Ricevendo i certificati di nascita e di Battesimo necessari per l’ingresso in monastero scriverà: «È bello poter dimostrare in modo ufficiale che si è nati e rinati!»[18]. Con la conversione e il Battesimo, ella ha «trovato il luogo in cui c’è riposo e pace per tutti i cuori inquieti»[19], si sente come se le fosse stata tolta una benda dagli occhi[20]; i suoi lavori e i suoi scritti, che erano stati prima il centro focale della sua vita, per lei sono ormai «come può essere per un serpente la pelle vecchia che si è sfilata di dosso»[21].
Il passo sulla lettura della Vita di S. Teresa, sopra citato, continua così: «Quando, nel Capodanno del 1922, ricevetti il Santo Battesimo, ritenevo che esso fosse semplicemente la preparazione al mio ingresso nell’Ordine»[22]; non fu così, e dovette attendere più di 12 anni (anni operosi, al servizio della Chiesa) prima che si compisse il suo desiderio, o, piuttosto, prima che potesse trovar realizzazione la chiamata di Dio. Scrive però in Scientia Crucis – e si pensi al suo nome religioso: «Sotto l’albero della Croce all’anima umana viene ridonata la vita. Il fidanzamento sotto la Croce […] è stato compiuto nel Battesimo una volta per tutte»[23].
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Note:
[1] Certificato di Battesimo, in Edith Stein Gesamtausgabe vol. 28 (ESGA 28), n. 36i.
[2] Cfr. Dalla vita di una famiglia ebrea, in Dalla vita di una famiglia ebrea e altri scritti autobiografici, Città Nuova – Edizioni OCD, Roma 2007, pp. 21-482, alle pp. 67 e 166.
[3] Ibidem, p. 306.
[4] ESGA 4 (lettere a Roman Ingarden), lettera 78.
[5] Ibidem, lettera 115.
[6] Dalla vita di una famiglia ebrea, cit., p. 306.
[7] Ibidem, pp. 467-468.
[8] P. J. Hirschmann, Suor Teresa Benedetta della Santa Croce, in W. Herbstrith (ed.), Edith Stein. Vita e testimonianze, Città Nuova, Roma 1987, pp. 145, alla p. 142; la stessa testimonianza di in una lettera da lui indirizzata a Madre Teresa Renata Posselt il 13.5.1950.
[9] ESGA 4, lettera 115.
[10] Come giunsi al Carmelo di Colonia, in Dalla vita di una famiglia ebrea e altri scritti autobiografici, cit., pp. 483-506, alla p. 490.
[11] Cfr. E. Stein, Scientia Crucis, Edizioni OCD, Roma 2002, pp. 203-204.
[12] ESGA 4, lettera 96.
[13] ESGA 3, lettera 291.
[14] ESGA 2, lettera 96.
[15] ESGA 2, lettera 153.
[16] ESGA 2, lettera 171.
[17] ESGA 2, lettera 179.
[18] ESGA 2, lettera 258.
[19] ESGA 2, lettera 45.
[20] Cfr. ESGA 4, lettera 120.
[21] ESGA 4, lettera 77.
[22] Come giunsi al Carmelo di Colonia, cit., p. 490.
[23] E. Stein, Scientia Crucis, cit., p. 297.